Ha fatto recentemente discutere la notizia delle linee guida didattiche per il primo ciclo di istruzione che Valditara vorrebbe adottare a partire dal prossimo anno scolastico. Non esiste ancora nessun testo ufficiale e nemmeno ufficioso, ma il ministro ha avuto cura di utilizzare tutti i canali di informazione per diffonderne il contenuto generale, che puzza inequivocabilmente di reazionario, nazionalista, identitario, escludente, anche soltanto per l’orizzonte fascista in cui questi orientamenti si inquadrano.
Il latino opzionale alle scuole medie è qualcosa che si è già visto tra il 1963 e il 1977. La scuola media unica, istituita nel 1962, metteva fine alla distinzione, dopo le elementari, fra ginnasio e avviamento professionale. In un momento storico di forte impulso sociale, di dibattito progressista, di lotte che portarono alla scolarizzazione di massa, studiare il latino nella media unica, anche a livello opzionale, poteva essere un modo per accedere al liceo. Oggi reintrodurre il latino alle medie ha un significato assai diverso. L’esclusione sociale è la caratteristica della fase politica attuale. Nella scuola, la divaricazione tra licei e istituti tecnici professionali è sempre più massiccia. L’istruzione tecnica è cannibalizzata dalle aziende, la filiera riduce non solo un anno di scuola, ma erode l’apprendimento a favore dell’addestramento, lo studio a favore del lavoro precoce, le ore di insegnamento a favore delle ore direttamente affidate alle aziende, all’alternanza scuola lavoro e all’apprendistato. Le ragazze e i ragazzi che si iscrivono a queste scuole, così dichiaratamente e ferocemente svincolate dall’asse culturale, non sceglieranno sicuramente di fare latino alle medie. È chiaro che le divisioni di classe non passano certamente solo attraverso il latino, ma ci sarà un motivo in più per viverle sulla propria pelle, a tredici anni, durante una mattinata di scuola.
E in ogni caso il latino che vuole reintrodurre Valditara non è certo quello che si lega alla riflessione sulla lingua e alla curiosità delle scoperte lessicali. Tantomeno il ministro è credibile quando parla di latino come palestra di logica. Il latino di Valditara è la lingua della “romanità”, dei conquistatori del mondo, di quelli che andavano in giro a fare deserti chiamandoli pace: ancora una volta identitarismo, nazionalismo e ignorante disconoscimento delle molteplici interferenze linguistiche che storicamente si creano, soprattutto nei territori che sono stati attraversati da transiti e dominazioni diverse, e che comunque dal latino hanno ereditato più sermo vulgaris che doctus.
Valditara ha poi annunciato che toglierà di mezzo la geostoria per valorizzare la storia. Peccato che nella scuola primaria e media, a cui sono dedicate le nuove linee guida, la geostoria non esista: la storia e la geografia sono materie distinte e ovviamente sta all’insegnante fare gli opportuni agganci interdisciplinari. La geostoria esiste sì, ma nel primo biennio delle superiori, che però è un ordine non riguardato dalle nuove indicazioni. Fu la Gelmini a introdurla nel 2010 all’interno di una riforma che operò tagli colossali finalizzati a risparmiare sul personale: dalle tre ore di storia e due di geografia si passò a tre ore di “storia e geografia” materia unica con voto unico. Fu un crollo di ore e una confusione didattica che solo l’effettivo lavoro in classe, basato, per chi vuole e sa usarli, su margini di libertà di insegnamento e apprendimento, è riuscito in parte a correggere trovando anche spunti di interesse interdisciplinare e multiculturale che senz’altro non erano nelle previsioni della Gelmini.
La storia che Valditara vuole valorizzare depurandola dalla geografia è sempre quella della visione tronfia e celebrativa, traboccante nazionalismo e culto delle radici occidentali, che caratterizza la sua visione politica e quella del suo governo. Una storia che vorrebbe seppellire qualsiasi impianto metodologico critico e scientifico – in pratica tutta la storiografia moderna – definito “ideologia”, per farsi esclusiva narrazione. Forse senza nemmeno accorgersene, vista la pochezza intellettuale, il ministro torna indietro di parecchio, torna alla logografia precedente Erodoto, quando l’invenzione narrativa prevaleva sulle fonti, torna a Livio, che non differenziava (consapevolmente, sapendo di trovare più gradimento!) tra fatti e narrazione desunta da miti. Torna a prima di Lorenzo Valla, quello che dimostrò, grazie alla comparazione filologica, quindi con metodo scientifico, che la donazione di Costantino alla base del potere temporale dei papi era un falso clamoroso, una “narrazione” arbitraria.
Secondo Valditara la storia deve essere narrazione della storia nazionale, secondo una visione eurocentrica. Una evidente distorsione, una visione fuori dal tempo e dallo spazio che non considera quello che è la società attuale, ma anche un grosso limite che la storia dei programmi scolastici attuali ha già. Insomma, Valditara, pur mettendoci del suo in modo insopportabile, sputa sul bagnato. La storia dei nostri libri scolastici è già eurocentrica e improntata ad un approccio occidentale. La storia del bacino del Mediterraneo e del Medioriente (perché fin lì si spinge, non oltre) si limita all’antichità; poi quelli che avevano dato vita alla scrittura, all’agricoltura, alla ruota, alla metallurgia diventano di colpo dei barbari, quando arrivano i greci e i romani. Di loro non si parla più e nella visione degli studenti la loro storia si ferma all’immagine di qualche migliaio di anni fa, gli egiziani sono perennemente immaginati di profilo, si fa fatica a rappresentarceli “come noi”; c’è una sorta di infantilizzazione di questi popoli, fermi ad una fase arcaica senza evoluzione. Visione discriminante e razzista? Certo, non si può studiare tutto, senza contare che la storia si allunga costantemente e che bisognerebbe andare non solo in largo nello spazio, ma anche in lungo nel tempo. Intanto, in largo non ci si va, ed è già così, anche senza i dettami di Valditara. E questo non andrebbe dimenticato quando si denunciano gli interventi del ministro di turno semplicemente difendendo la scuola che c’è, senza darsi prospettive di concreto e radicale cambiamento.
Molte sarebbero le cose ancora da dire sulle linee didattiche che Valditara vuole introdurre.
Il ministro esorta allo studio dell’epica, riferendosi non solo a quella classica ma anche alle saghe nordiche, e sollecita la lettura della Bibbia. A parte il fatto che l’epica classica fa già parte dei programmi scolastici, è ovvio che la lettura della Bibbia ha l’evidente scopo di esibire un’egemonia religiosa su base etnica in una scuola che, soprattutto alle medie, per forza di cose è sempre più multietnica e multiculturale. Nell’esortazione a studiare le saghe nordiche è impossibile poi non riconoscere le nostalgie di Valditara per gli anni d’oro del suo partito. Come non ricordare la Lega dei primordi, quella che, nella volontà di rappresentarsi come patria locale portatrice dei valori dell’Occidente, costruiva un identitarismo incardinato sulla naturalità della mitologia fluviale, del sole delle Alpi, dei riti del Po, fondendo in un pateracchio grottesco riferimenti celtici, medievali e cristiani?
E poi l’immancabile riferimento alla lingua italiana. L’elaborazione scritta, il bello scrivere, e la lettura sono improvvisamente avvertite come elementi di fragilità in una scuola in cui da vent’anni queste attività vengono distrutte tramite test Invalsi, prove iperstrutturate e standardizzate, questionari a crocetta, approccio esclusivamente funzionale al testo, di cui vanno individuati solo i dati necessari per rispondere a domande definite secondo un preciso comando. Non ci pare che Valditara, nonostante le lamentazioni di maniera sulla perdita linguistica degli studenti, si discosti da questa tendenza.
Insomma, le indicazioni didattiche di Valditara sono da una parte la beota riproposizione di quello che spesso già c’è nei programmi scolastici e di cui evidentemente il ministro non ha contezza; dall’altra rappresentano una strizzata d’occhio alla didattica tradizionale, un’operazione tutta politica di consolidamento di consenso rivolta all’elettorato di destra che ha voglia di ascoltare un lessico caratterizzato da richiami alla tradizione, alla serietà, alle presunte radici dell’occidente.
Nel concreto, la scuola viene invece spinta in tutt’altra e ugualmente deleteria direzione, come abbiamo già accennato. La didattica per competenze, la perdita secca di ore destinate all’asse culturale nei tecnici ma non solo, l’obiettivo di quadriennalizzare tutte le scuole superiori, licei compresi, il dilagare della scuola azienda che impone propri contenuti, modalità e stili: tutto questo, che è purtroppo realtà quotidiana, ha ben poco a che vedere con i vuoti proclami di ritorno alla tradizione strombazzati da Valditara. Proclami che comunque vuoti non sono perché parlano di identitarismi, di egemonia, di esclusione sociale, di suprematismo rivolgendosi a un mondo reazionario che adora questo linguaggio, così come adora, al contempo, alleggerire la scuola da qualsiasi “zavorra” culturale per renderla più funzionale all’addestramento lavorativo precoce, al mercato, allo sfruttamento. Sta a noi non sottovalutare questa solo apparente schizofrenia, coglierne il senso e la portata, contrastare queste politiche sia nella scuola che nel più generale contesto sociale, con tutti i mezzi a nostra disposizione, a partire dai nostri luoghi di studio e di lavoro.
Patrizia Nesti
immagine: Patrick Guenette