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Per un comunismo libertario degli individui, dei generi, delle genti e delle specie

Per un comunismo libertario degli individui, dei generi, delle genti e delle specie

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L’antispecismo libertario, quale personalmente lo intendo, è lotta per una società in cui sia abolita ogni forma di coercizione e sfruttamento coatto, sia nei confronti degli esserti umani, sia nei confronti degli altri animali. Una società, dunque, incentrata, sull’anarchia intesa come idea regolativa, sia dei rapporti sociali, sia dei rapporti tra le specie. Un comunismo libertario esteso a quella comunità interspecifica di cui, di fatto, facciamo parte, e la cui sopravvivenza è per noi stessi esiziale, la stessa che ciecamente il modello di sviluppo dominante, radicato anche nelle abitudini di tutti noi, sta distruggendo, o compromettendo, a ritmi e velocità che gli sforzi “in direzione ostinata e contraria” provenienti da una parte dei movimenti di base, non riescono ad oggi ad arginare o contrastare adeguatamente.

Rispetto alla tematica antispecista, come a quella ecologista, i movimenti socialisti e comunisti dell’Ottocento e del Novecento hanno scontato, pur con diverse eccellenti eccezioni, ritardi teorici e organizzativi che affondavano le loro radici in un modello sviluppista, progressista, e positivista di comunismo, che aveva preso forma nell’Ottocento, e che assegnava ad un progressivo incremento delle tecniche di sfruttamento della natura non umana, in ogni sua forma (energetica, ambientale, microorganismica, minerale, vegetale, animale), il compito di garantire una produzione adeguata a sfamare e far vivere dignitosamente l’umanità tutta. Il mito marxista del “massimo sviluppo delle forze produttive” ne fu la voce più roboante, e contribuì, non meno del modello di progresso del capitalismo occidentale, a ingabbiare, nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”, il lavoro industriale in forme neoschiaviste e l’utopia di una emancipazione attraverso la scienza e la tecnica in processi di devastazione ambientale e inquinamento selvaggi.

Il movimento anarchico, dotato di buoni anticorpi rispetto al modello sviluppista, ha saputo esprimere, nei suoi primi 2 secoli di vita, una sensibilità critica crescente rispetto al tema delle devastazioni ecologiche, mentre, ancora oggi, solo alcune sue frange sono orientate a riconoscere una centralità sociale alla questione animale, ad impegnarsi in scelte alimentari vegetariane, a praticare un attivismo antispecista.

In queste poche righe, non posso che segnalare alcuni dei motivi per cui ritengo importante che questa sensibilità, queste scelte, questo impegno trovino sempre maggior spazio all’interno del movimento anarchico, dei movimenti libertari e anticapitalisti, della società tutta.

In un assetto sociale ed economico come quello attuale, in cui il massacro di esseri umani, il massacro di altri esseri viventi, e la devastazione ambientale per fini di profitto e conservazione o espansione del potere sono la regola, e rappresentano il motore fondamentale dell’economia, il destino di uomini, animali ed ecosistemi è indissolubilmente intrecciato e nessuna forma di concreta e profonda liberazione sarà possibile in una di queste tre sfere finché si penserà di poterla realizzare scaricando lo stato di schiavitù, il modello della riduzione del vivente a “strumento animato” o puro mezzo, sulle altre due. Questione sociale, questione animale e questione ambientale, ovvero, le tre grandi problematiche del riscatto dell’umanità dalla “vita offesa”, della “dignità” e libertà da restituire alla vita animale, e della crisi ecologica globale da fronteggiare, si presentano, dunque, di fatto, come tre corni di un’unica, complessa, grande questione sociale, irrisolvibili ove li si separi una dall’altra. Niente e nessuno si salverà dalla riduzione a mero strumento del profitto, se non si realizzeranno modi di organizzare l’economia, la società e, i rapporti con la natura, umana e non umana, e il suo incessante trasformarsi, non incentrati sull’accumulazione del profitto stesso.

Al movimento anarchico toccherebbe, dunque, a mio avviso, il compito di far emergere, anche attraverso una rielaborazione critica della propria stessa tradizione, sia sul piano della riflessione e della progettualità, sia nelle pratiche quotidiane e nelle sperimentazioni sociali, il legame stretto e costitutivo tra questi tre orizzonti della lotta anticapitalista.

In particolare, a quelle componenti del movimento che si riconoscono, come la FAI, nelle forme organizzative e negli scopi dell’anarchismo sociale toccherebbero l’onore e l’onere di uno sforzo che miri ad estendere, certo in maniera articolata, non rigida, tenendo conto delle contingenze storiche e locali e dei vincoli che esse impongono, il principio della cooperazione non coatta anche ai rapporti tra gli umani ed altre specie sociali.

Il bisogno di cooperazione e il bisogno di libertà che l’anarchismo sociale riconosce in ogni essere umano, e tenta di soddisfare realizzando l’anarchia, albergano, infatti, con evidenza, in tutti gli animali sociali e, più probabilmente, in tutti gli esseri senzienti, e solo l’arroganza antropocentrica ha fatto sì che, per millenni, gli uomini fossero troppo ciechi, pigri, o maldisposti, per accorgersene o ammetterlo. Quella stessa arroganza che, fin dai tempi di Aristotele, proprio associandola agli animali non umani, pretese che anche gran parte dell’umanità fosse per natura votata a fungere da “strumento animato” per una èlite di individui, considerati “naturalmente” superiori, destinata invece al comando.

Marco Celentano

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