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Vite da buttare. La Geo Barents bloccata ad Augusta. A Cutro nessuno salva i naufraghi.

Vite da buttare. La Geo Barents bloccata ad Augusta. A Cutro nessuno salva i naufraghi.

La nave di Medici senza Frontiere, la Geo Barents, è in fermo amministrativo nel porto di Augusta, accusata di aver violato le norme imposte dalla legge sulle ONG, che obbliga a salvare solo un gruppo di naufraghi per volta, pretendendo che siano trasportati in porti lontanissimi. La Geo Barents è accusata anche della mancata consegna della scatola nera della nave, sebbene normalmente venga richiesta solo in caso di incidente occorso all’imbarcazione. L’ultima di una lunga serie di trappole per impedire i salvataggi in mare.
La Geo Barents e le altre navi delle ONG operano in un settore del Mediterraneo dove non c’è nessuno che si occupi di soccorrere i naufraghi.
Le guardie costiere italiana e maltese non escono dalle acque territoriali, la guardia costiera libica opera solo respingimenti, per ricacciare nell’inferno dei suoi campi di concentramento chi aveva provato a fuggirne.
I mercantili ed i pescherecci vengono intimiditi e ricattati da anni: così capita che, nonostante l’obbligo di soccorso in mare, spesso voltino lo sguardo e filino via veloci, temendo sequestri, multe, controlli ossessivi.
Impedire alle navi delle ONG di prestare soccorso in acque internazionali significa condannare a morte altre migliaia di persone. Chi fugge dalla guerra, dalle persecuzioni, da una vita al limite della sopravvivenza non ha altra alternativa che le incognite di un viaggio, che solo le leggi degli stati rendono pericoloso. Non ci sarebbero passeur, trafficanti, prigioni per migranti, violenze, stupri e torture se le frontiere fossero aperte per tutt* quelli che desiderano attraversarle. Non ci sarebbero lager e respingimenti in Libia se l’Italia non pagasse il governo di Tripoli per fare il lavoro sporco, per spostare sempre più a sud il confine, per rendere ancora più invisibili i corpi, le vite, le storie individuali e irripetibili di ogni essere umano tenti di prendersi un pezzo di vita, un frammento di libertà.

A ricordarci la violenza delle frontiere e di chi le custodisce sono i morti che a volte finiscono sul bagnasciuga del nostro paese. I corpi dei bambini e delle bambine, degli uomini e delle donne.
É successo a Cutro, sulla costa calabrese.

Per giorni il mare ha continuato a restituire i cadaveri di persone annegate perché nessuno le ha soccorse quando la loro nave stracarica si è spezzata in due.
A centro metri dalla costa, in un mare in tempesta, nessuna imbarcazione della guardia costiera italiana li ha raggiunti. Oggi si rimbalzano le responsabilità tra Frontex, Guardia di Finanza, Guardia costiera e potere politico.
Resta il fatto che i
l primo cadavere lo ha avvistato un pescatore.

“Quei migranti potevano essere salvati. Non è vero che le condizioni del mare rendevano impossibile avvicinare la barca dei migranti” Queste affermazioni, per le quali è stato minacciato di querela dal Viminale, sono di Orlando Amodeo, per lunghi anni dirigente medico della polizia di Stato e da anni soccorritore a Crotone.” “Noi abbiamo imbarcazioni in grado di affrontare il mare anche a forza 6 o forza 7 – ha detto ancora Amodeo – Io sono salito a bordo di quelle imbarcazioni, qui in questi anni, e abbiamo compiuto salvataggi in condizioni simili”
Smentito persino da uno dei suoi, Piantedosi ha tirato dritto ed ha contrattaccato negando tutto.
Implacabile,
il ministro dell’interno ha puntato il dito sulle vittime, “perché la disperazione non giustifica viaggi a rischio” per i propri figli. Chi scappa dalla guerra, dalla desertificazione, dalle dittature non ha altra scelta che portare con se bambini e bambine, anziani, malati, fragili.
Riccardo Gatti, responsabile per Medici senza Frontiere della GeoBarents, già capitano della Open Arms, ha detto chiaro che “Nessuno prende il mare con i propri figli se pensa che la terra sia più sicura”.
Per capire il meccanismo che ha portato alla strage di Cutro occorre tuttavia fare un passo indietro al 2019. Fino all’inizio di quell’anno la Guardia costiera italiana pubblicava un bollettino mensile su quelle che all’epoca erano le uniche operazioni che venivano attivate in caso di imbarcazioni in distress, ovvero quelle SAR (search and rescue –
ricerca e salvataggio). Dal 2019 questi bollettini sono diventati trimestrali e hanno iniziato a dar conto di altre operazioni che venivano affiancate a quelle SAR, ovvero quelle di Law enforcement, ovvero quelle di polizia di frontiera nei confronti dei migranti, che, sebbene in pericolo, erano etichettati come persone “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”.
Se una nave viene segnalata da Frontex come nave di clandestini, interviene, in funzione di polizia e non di soccorso, la Guardia di Finanza. La stessa Guardia di Finanza che per anni ha addestrato i colleghi libici sulle motovedette regalate dal governo italiano di turno.
A Cutro sono partite forze di polizia senza mezzi adatti al soccorso, perché il loro compito non è salvare vite ma arrestare chi viola la legge. Per questo motivo la Guardia Costiera che avrebbe mezzi e competenze per intervenire è rimasta in porto, finché non è stato troppo tardi.
Nulla di casuale. Tutto pianificato da anni nelle stanze del governo e dei propri funzionari sul territorio.


Piantedosi e la sua gang stragista vorrebbero aiutare la gente in viaggio a morire a casa propria. Non sempre gli riesce. Nel frattempo li trattano da delinquenti da fermare ed arrestare, anche se il mare sta prendendosi le loro vite.
In fondo ormai non capita spesso che q
ualcuno finisca su una spiaggia italiana a smuovere la coscienza inquieta di un paese, che pare avere smarrito la memoria dei propri migranti, delle loro vite grame, dei pericoli, delle persecuzioni e delle umiliazioni che le hanno segnate.
Non lasciamoci peraltro distrarre dallo spettacolo della commozione e del cordoglio messi in scena da Mattarella e dal Partito Democratico. Per anni hanno legiferato ed agito, sia pure con maggiore accortezza e prudenza, allo stesso modo del governo di destra. Hanno misurato le parole ma hanno arato gran parte del terreno sul quale oggi bivaccano le squadracce di Meloni.
Un mondo senza stati né frontiere è l’unica alternativa possibile.
A ciascuno di noi l’impegno a rendere sempre più forti le lotte, le reti di solidarietà sulle frontiere, il sostegno all
e navi, che nonostante le leggi contro di loro, tenacemente provano a sottrarre alla ferocia delle frontiere chi naufraga nel Mare di mezzo.


m.m.

Per un approfondimento, ascolta la diretta dell’info di Blackout con Riccardo Gatti Geo Barents

www.anarresinfo.org

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