Search

Bergoglio e Kirill. Così lontani, così vicini.

Bergoglio e Kirill. Così lontani, così vicini.

I media, dall’inizio conflitto russo-ucraino, hanno diffuso due differenti immagini: Bergoglio, il pacifista, contrapposto a Kirill, il “patriarca armato”. Rappresentazioni che non ricalcano tanto i profili personali, ma che vogliono sottolineare una presunta profonda diversità delle due chiese; quella cattolica, universalista e pacifista, la russo-ortodossa nazionalista e storicamente al servizio dell’imperialismo russo, l’icona del panslavismo. Così è o appare? Per risolvere il quesito occorre mettere in fila una serie di questioni che possono orientarci partendo da fatti concreti, al fine di proporre riflessioni e valutazioni generalmente disattese dai media, in particolare sui temi dei valori e del pacifismo cattolico. Le posizioni tra Roma e Mosca sotto il profilo dei valori sono molto vicine. Una pietra miliare del riavvicinamento tra le due confessioni è la dichiarazione congiunta rilasciata dai due leaders, nel corso del loro ultimo incontro del 12 febbraio 2016 a l’Avana alla presenza del leader cubano Raul Castro. Il fulcro della dichiarazione è la difesa dei valori della famiglia, dove si sottolinea che “la Famiglia è retta dall’unione tra uomo e donna, è pensata congiuntamente tra i coniugi come un cammino di santità e la loro apertura alla procreazione ed all’educazione dei figli”. Non manca e non potrebbe mancare il riferimento alle “unioni di altro tipo”. A tale proposito Il documento cita letteralmente: “ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e maternità, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica”. Viene precisato inoltre che “la trasformazione di alcuni Paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa”. Si aggiunge inoltre: “il processo di integrazione europea è stato accolto da molti con speranza, tuttavia, invitiamo a rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa, debba restare fedele alle sue radici cristiane”. La dichiarazione è assolutamente attuale considerate le affermazioni del Segretario di Stato della Santa Sede, monsignor Parolin, che ha rilasciato al quotidiano La Stampa, ad inizio conflitto. Alla richiesta di un parere sulle affermazioni di Kirill riguardo la “decadenza delle democrazie liberali che andrebbero di pari passo con la secolarizzazione” Parolin precisava che “e’ innegabile che il mondo attuale stia tentando di promuovere un’antropologia che si discosta dalla visione cristiana e che si rispecchia nei “nuovi diritti”, fondati su un approccio esclusivamente individualista. La stessa Chiesa cattolica riconosce il grave rischio che ciò comporta per la difesa e la promozione della dignità umana e non può che essere preoccupata al riguardo”. Le dichiarazioni del patriarca di Mosca sulla “radice” del conflitto russo-ucraino, appaiano molto forti e nette: “il conflitto non ha natura fisica ma metafisica, che è la difesa dell’ortodossia cristiana dal secolarismo occidentale che il primo Gay Pride di Kiev del 2019 ne è stata una minacciosa manifestazione.”. Tali affermazioni riconducono all’integrazione storica culturale tra il Patriarcato di Mosca ed il nazionalismo russo. All’inizio degli anni duemila si è sviluppata l’idea del Russkij Mir (mondo russo), in sintesi, l’incontro di una costruzione politica, “l’Idea Russa”, con la “Santa Rus”, i cui rappresentanti sono le comunità battezzate nel Dniepr, ovvero russi, ucraini e bielorussi. Di fatto un unico corpo dove l’unità politica si sovrappone ai valori dell’ortodossia e soprattutto una vera e propria alternativa di civiltà nei confronti di un occidente “eticamente smarrito”. Non è un caso l’entusiasmo con il quale Kirill ha accolto gli emendamenti alla costituzione russa del 2020 che introducono la menzione di Dio, la difesa del matrimonio come unione tra uomo e donna, la promozione dei valori tradizionali della famiglia. Significativo che Bergoglio, mentre si propone come mediatore tra Kiev e Mosca, costruendosi l’immagine dell’uomo di “pace”, nello stesso tempo non abbia mai commentato e soprattutto chiesto a Kirill di sospendere il suo programma culturale-politico desecolarizzazione della società russa. D’altra parte significherebbe rinnegare la dichiarazione comune dell’Avana del 2016 e soprattutto rinnegare il vero obiettivo culturale-politico di Bergoglio che è quello di una restaurazione del primato religioso e cattolico sulla “razionalità” occidentale”. Per quanto riguarda il pacifismo cattolico, che tanta fortuna mediatica ha avuto ed ha soprattutto oggi, è opportuno effettuare alcune riflessioni che vengono generalmente disattese dai media. Proviamo a mettere in “fila” le contraddizioni del pacifismo cattolico. Al primo posto non possono che esserci gli articoli 2308-2309-2310 del catechismo, che compongono insieme ad altri il “capitolo sulla guerra”. Accanto ad affermazioni che rinnegano in via di principio i conflitti, si disciplina il comportamento dei credenti nel caso di una “giusta” guerra”. L’articolo 2308 cita: “Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per evitare le guerre. Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare il diritto di legittima difesa”. L’articolo 2309 espone in modo più articolato le “strette condizioni” che, una volta verificatesi,  non “potranno negare ai governi il diritto di legittima difesa”. L’articolo 2310, preso atto dell’inevitabilità di un conflitto, dichiara che “i pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio alla patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono, il loro dovere, concorrono al bene comune della nazione ed al mantenimento della pace.”. Al di là del contemplare la possibilità di una “giusta guerra”, è doveroso ricordare che le gerarchie della chiesa cattolica partecipano attivamente all’apparto militare attraverso il clero dell’Ordinariato Militare Italiano, ovvero i cappellani militari, arruolati di diritto nelle forze armate ed equiparati agli ufficiali. A capo dell’Ordinariato Militare vi è un Arcivescovo Ordinario Militare, designato dal papa, su proposta del Presidente del Consiglio, dei ministri della Difesa e dell’Interno. L’Ordinariato Militare, al quale è riconosciuto il grado di generale di corpo d’armata, è assistito per i suoi compiti da un vicario generale con il grado di generale di divisione e dagli ispettori con il grado di generale di brigata. I costi dei cappellani, complessivamente in numero di 166, corrisponde a circa 10 milioni di euro. Accanto alla funzione burocratica, di non minore importanza è il valore simbolico della sovrapposizione tra la “spada e la croce”, e questo lo si evince dai patroni che le quattro armi che compongono le forze armate nazionali si sono intitolati. I “patroni” sono: per il Corpo dei Carabinieri è la Madonna, Santa Barnaba per la Marina, San Giovanni XXXIII per l’esercito, la Madonna di Loreto per l’aviazione e per ultimo San Maurizio per gli Alpini. Non solo le strutture ufficiali della Chiesa hanno formali e stretti legami con l’apparato militare ma anche il mondo cattolico nel suo complesso. A tal fine è significativo ricordare che la più importante università cattolica a livello mondiale, ovvero l’Università del Sacro Cuore di Milano, intrattiene da tempo legami con le più qualificate organizzazioni militari. L’ateneo nel dicembre del 2017, ha firmato il Memorandum of Cooperation con la Nato Rapid Deployable Corps in Italia (Nrdc-Italia), per lo sviluppo di progetti di formazione e ricerca nel campo della difesa. Lo scopo dell’accordo è creare una sinergia tra mondo accademico ed apparato militare per la comprensione degli scenari dello scacchiere internazionale e la formazione di studenti nelle strutture di comando. Ci troviamo quindi di fronte ad una struttura del tutto strategico-operativa e sinergica tra l’ateneo cattolico e l’apparato militare. Significative sono le affermazioni dei rappresentati delle due parti. Da parte del generale di divisione, firmatario dell’accordo, si affermava che: «Sono fermamente convinto che ciò possa fornire ai militari dell’Alleanza un prezioso contributo alla comprensione delle dinamiche culturali e delle complesse dimensioni politiche, economiche e sociali che caratterizzano i moderni scenari di crisi, che la Nato monitorizza costantemente». A sua volta il rettore dell’Ateneo cattolico dichiarava”: «Si tratta di una grande opportunità per la nostra Università, grazie a questo accordo i nostri studenti potranno fare pratica, verificando personalmente come funziona il meccanismo della difesa, che mira anzitutto a prevenire il pericolo». Per ultimo, ma non in ordine di importanza, ricordiamo che, a partire dall’anno accademico 2005/2006, la facoltà di Scienze Politiche dell’Università del Sacro Cuore ha organizzato per gli studenti (circa una trentina compresi docenti e dottorandi) frequentanti regolarmente le lezioni una visita di studio al Quartiere Generale della NATO a Bruxelles. La visita, offerta dalla Divisione Diplomazia della NATO, si svolge con la partecipazione ad una serie di briefing, tenuti dai funzionari NATO, sui vari aspetti dell’organizzazione e le prospettive dell’Alleanza Atlantica. Nel maggio del 2016, al tradizionale “viaggio di studio” presso il Quartiere generale NATO, si è affiancata anche la visita al Supreme Headquarters Powers in Europe, con briefing su argomenti di stretta operatività militare quale il processo decisionale strategico presso L’Allied Command Operations. Ultimo aspetto, che viene pressoché tralasciato dagli opinionisti, è la radice religiosa del conflitto russo-ucraino, dove le rotture religiose hanno preceduto di diversi decenni quelle politiche. Stalin, nel 1946, impose alle comunità cattoliche di rito greco (uniati), forti di 4 milioni di fedeli, di confluire nella chiesa Ortodossa Moscovita. Solo negli anni 90, all’avvento di Gorbaciov, vi fu il riconoscimento della personalità giuridica delle chiese uniate e soprattutto il far ritornare in loro possesso dei beni ed edifici religiosi “confiscati” dal patriarcato moscovita. Fu questo il primo passo per arrivare ad una ulteriore frattura, questa volta nel mondo ortodosso. Nel 2018 avvenne il cosiddetto “scisma ucraino”, con la fondazione delle altre chiese ortodosse dell’Ucraina, operazione che venne diretta nelle “retrovie” dal patriarca di Costantinopoli, il principale antagonista di Kirill, accogliendo anche il consenso di una parte significativa dell’universo ortodosso, in particolare quello greco, d’Alessandria d’Egitto e Bulgaro. In sintesi, la questione religiosa ha anticipato, per poi sovrapporsi a, quella politica. Da rimarcare che la ritrovata indipendenza delle chiese uniate è diventata uno dei principali strumenti di propaganda del nazionalismo russo. Le chiese di rito greco cattolico, alle quali apparteneva l’eroe nazionale ucraino, il collaborazionista Stepan Bandera, furono e sono, soprattutto oggi, uno dei simboli dell’identità del nazionalismo ucraino. Ricordiamo inoltre che la partita russo-ucraina, sul piano religioso, è di tutto spessore. Lo scisma ortodosso comporta, per il patriarcato moscovita, la perdita netta della sovranità su 15 milioni di fedeli. In conclusione, i fatti contraddicono le percezioni, le “immagini” che si vogliono costruire. Ciò che si tiene nascosto, invece, ci racconta di più di quanto appare.

Daniele Ratti

Articoli correlati