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Bancarotta dei partiti

Bancarotta dei partiti

Un dato passato abbastanza sotto silenzio nell’ultima campagna elettorale è la bancarotta economica dei partiti. Una bancarotta che si è riflessa, ad esempio, in scarsissime iniziative di piazza e nel minore uso della propaganda tramite manifesti da attacchinare: gli spazi appositi sono rimasti spesso deserti. D’altra parte l’aumento dell’astensione negli ultimi anni ha colpito anche le basi militanti dei partiti, pensiamo sopratutto al PD, provocando un’emorragia di iscritti e un pesante calo delle entrate economiche. Addirittura cominciano a chiudere le sedi persino in territori ereditati dal fu PCI.
Quello che sono riusciti a comunicare durante la campagna elettorale sono state al più suggestioni, spesso più simili di quanto si pensi, sono mancati programmi, contenuti e chiare linee politiche che distinguessero realmente un partito dall’altro. D’altra parte chi ha deciso, con un scarsissimo dibattito parlamentare e tentato di tenere il più possibile in silenzio la faccenda, di mandare un contingente militare nel Niger e nel sud della Libia può differenziarsi realmente dai neofascisti che vanno a sbraitare in televisione di voler prendere manu militari il controllo della Libia?
Se un Salvini vuole reintrodurre la leva obbligatoria gli esponenti del PD che vogliono il servizio civile obbligatorio, ulteriore furto di tempo ai giovani lavoratori-studenti cui già è imposta la corvè dell’alternanza scuola lavoro, si può dire che tra questi soggetti vi è stata una sostanziale differenza nelle proposte? E tra la gestione Minniti dell’ordine pubblico e dei flussi migratori e le tentazioni più reazionarie della destra vi è questa grande differenza?
L’aumento della disoccupazione, della miseria relativa, le profonde modifiche del mercato del lavoro hanno eroso, quando non han fatto saltare del tutto, anche le filiere clientelari dei partiti un tempo di massa, hanno tolto loro terreno da sotto i piedi.
D’altra parte è sempre più palese che gli esecutivi e le loro strutture profonde, che si sono rafforzate negli ultimi anni checché ne dica la vulgata sovranista, agiscono esclusivamente per gli interessi propri e per gli interessi della classe dominante che non solo rappresentano ma di cui fanno direttamente parte.
L’elemento centrale di questa desolante tornata elettorale è stato l’astensionismo diffuso che ha segnato un’ulteriore divario tra le politiche del sistema dei partiti – nessuno escluso – e le esigenze reali dei ceti popolari. Siamo consapevoli che si tratta a grandi linee di un astensionismo a bassa motivazione rivoluzionaria: però dobbiamo essere pure coscienti che siamo in presenza di una forte indicazione proveniente dal corpo sociale su cui gli anarchici dovranno lavorare con metodo e sopratutto con continuità.
Dovremo mettere al centro di ogni nostra iniziativa il valore strategico dell’astensionismo libertario, come elemento di rottura dei meccanismi di potere, per riuscire a costruire una vera partecipazione diretta che escluda ogni passaggio di delega e che neghi sempre e comunque qualsiasi forma di rappresentanza istituzionale.
Gli anarchici per la loro storia e la loro coerenza devono assumere un ruolo di primo piano nella battaglia astensionista in quanto rappresentano l’unica alternativa a governi e poteri economici.
La nostra capacità politica, in questa fase di ingovernabilità cronica, dovrà essere quella di radicare nella società una cultura autogestionaria, coinvolgendo quei soggetti sociali che si sono autonomamente chiamati fuori dalle illusioni parlamentari.
Su questo terreno discriminante e nello stesso tempo qualificante, il terreno dell’azione diretta, non si possono fare concessioni né tanto meno ipotizzare mediazioni pseudo liberali o tardo-bolsceviche, per altro oggettivamente fuori epoca storica.
L’astensionismo anarchico, di là delle sacrosante dichiarazioni di principio, si deve qualificare con un progetto di autorganizzazione di classe nelle fabbriche, nei quartieri e nelle città favorendo nuove aggregazioni sociali indipendenti dal sistema dei partiti.
Il compito dell’anarchismo militante nel futuro più prossimo sarà quello di inserire nel suo programma la battaglia astensionista dandogli un valore permanente mettendo all’ordine del giorno percorsi di autogestione e di autogoverno.
FAI Reggiana


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