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Migrazione e negazione

Migrazione e negazione

Dallo scorso mese di giugno, i conflitti in Siria e in Palestina uniti agli strascichi di primavere infauste del Magreb e ai “normali” flussi migratori proveniente dall’Africa sub-sahariana, hanno ridestato l’attenzione mediatica sul problema dell’immigrazione.

Ovviamente ci si guarda bene dal far capire da dove arrivano le persone, e si presta la massima attenzione affinché ci sia la più grossa confusione possibile tra profughi, rifugiati politici, migranti, richiedenti asilo e gente in transito. Tutto questo ha una molteplicità di risvolti, in primis mascherare la totale inefficienza delle operazioni di soccorso, assistenza e la totale ingovernabilità del fenomeno in funzione delle attuali leggi in vigore, in seconda analisi un’emergenza in casa ai tempi della crisi, è ossigeno puro per i grossi apparati statali e parastatali, dalle forze armate alla croce rossa, passando per la protezione civile e le varie associazioni, in questo momento ce n’è per tutti. Ma non finisce qui, è tempo di elezioni, in molte zone si rinnovano consigli regionali, comunali e provinciali e quale migliore assist per la campagna elettorale di un’emergenza, ed è tutto uno snocciolare dati, un diramar di notizie false su epidemie, un lucrare continuo sui nervi dell’italiano medio che, già provato dai salassi dell’austerity e dal collasso del paese, ora finalmente ha l’illuminazione e capisce finalmente di chi è la colpa, ovviamente dei migranti. Troppe speculazioni sulla pelle del prossimo, dal sistematico furto del lavoro, all’impennata di crimini e degrado; numeri a caso, dati forniti senza un raffronto con la realtà statistica, perché se per anni i TG non fanno che parlare dei pirati della strada e degli stupri solo quando sono coinvolti degli stranieri, allora di colpo, il solito italiano medio crede che i suoi compaesani si siano redenti e che impazzi la frenesia del nero assassino, si perché da che mondo e mondo lo straniero è sempre e solo nero, il che la dice lunga sulla percezione del problema. Problema che mostra tutta la sua portata di contraddizioni nel momento in cui la rabbia popolare, viene cavalcata e fomentata fino a quando non si condensa in una legge, e in un momento ci si accorge che lo Stato, nel suo generale disinteresse delle problematiche sociali, stava per sbattere fuori anche l’unico sostegno a disabili e anziani, le cosiddette badanti, tutte rigorosamente straniere. Ci si accorge ora delle condizioni di sfruttamento del lavoro bracciantile, quando per pura necessità qualche italiano ha messo piede nei campi è s’è trovato un suo connazionale a trattarlo come un migrante e a pagarlo quanto un migrante (in certi posti è vero che vige l’uguaglianza). Si potrebbe continuare con i mantra più gettonati, dagli stranieri che rubano le case agli italiani, a quelli occupano i posti a scuola degli italici fanciulli. Tutto grasso che cola per la governance, che continua indisturbata a disintegrare ricerca ed istruzione, che demolisce ogni straccio di garanzia sociale, dall’abitare, alla mobilità, dalla salute al lavoro. Dall’ambiente alla cultura tutto è in vendita o è dismesso, e se qualcuno chiede spiegazioni le risposte sono sempre pronte, ce lo chiede il mercato, ce lo chiede l’Europa, c’è la crisi, bisogna fare sacrifici o molto più semplicemente ci sono troppi migranti nel paese!

Ma questa non è che la scusa di turno, espedienti mediatici per dare alla gente qualcosa contro cui abbaiare e contro cui sfogare le ansie per un’esistenza precaria, devastata dall’abitudine alla delega e drogata dal consumo. Si inibisce la capacità di reagire nella misura in cui si forniscono capri espiatori, che placano l’ansia e ingigantiscono la rabbia, ma nell’agire convulso e schizofrenico dei governanti, manca sempre quel contatto con la realtà che viene sistematicamente sottovalutato. Come nel caso delle badanti, hanno fatto fiasco rischiando di scoperchiare il vaso delle negligenze del welfare, ora, con il ritorno all’agricoltura come mezzo di sostentamento, in sostituzione di un lavoro perduto o mai conquistato, si rischia che qualche altarino si scoperchi, lasciando le pudenda di un sistema effimero alla mercé del libero arbitrio di chi vive in prima persona il disagio di quella quotidianità che non ha mediazione alcuna.

E’ forse osservando la realtà che ci circonda senza la mediazione di chi ci vuol spiegare come vanno le cose, che si può percepire che i conti non tornano, che c’è una falla nella semplice spartizione delle colpe, che c’è qualcosa di sordido nel dar sempre la colpa a qualcosa o qualcuno, senza mai domandarsi se forse non ci sia in tutto questo una minima corresponsabilità.

Qui non si sta operando una sterile ricerca di colpevoli, non c’è un’accusa gratuita, o un’inchiodare il “cittadino” alle sue vergogne, c’è se mai la ricerca di un’affermazione di principio che possa ribaltare la situazione. Principio che vuole la responsabilità maggiore in chi delega la sua vita, in chi rifiuta di essere parte attiva nelle scelte che lo riguardano da vicino, è in questa l’infamia più grande, nascondere le proprie responsabilità addossando tutte le colpe all’ultimo arrivato, a chi non ha voce per difendersi e pochi strumenti per esprimersi. Allora ben vengano le esperienze di autorganizzazione dei migranti, la sindacalizzazione spontanea e autonoma dei braccianti agricoli, il dotarsi autonomamente di una voce comune che dia risalto ad una condizione sociale ben definita e strumentalmente voluta da apposite leggi dello Stato, Bossi-Fini su tutte. Recuperare una voce collettiva, che faccia da contraltare ai mantra di governo, ripetuti per giustificare un fallimento pluridecennale, per nascondere le responsabilità collettive di una classe dirigente e di chi l’ha resa tale. Il migrante fa paura in quanto condensa in sé le contraddizioni insanabili prodotte dalla società occidentale, gente cui è stato devastato il territorio, rendeddolo socialmente instabile e ambientalmente invivibile. Persone costrette da interessi particolari a lasciare la propria terra e a cercare rifugio a casa dei devastatori, che non trovano di meglio da fare che sfruttare ulteriormente l’occasione, arricchirsi nuovamente e spremere fino in fondo ogni risorsa possibile, dal lavoro a basso costo, ai fondi pubblici per far fronte alle emergenze, dalla pietà delle donazioni, agli apparati internazionali che macinano fondi solo per restare in piedi. Questo c’è dietro ad ogni singolo migrante, ed è proprio questo che facciamo di tutto per non vedere, il fatto che siamo tutti responsabili della sua condizione.

J. R.

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