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Lotto marzo spezziamo il patriarcato

Lotto marzo spezziamo il patriarcato

Una recente ricerca dell’Ires della regione da cui scrivo, il Friuli Venezia Giulia, ci mostra come il gender gap salariale sia ancora molto alto, si parla di 9500€ all’anno, circa 730€ al mese lordi compresa la tredicesima, che le donne lavoratrici del settore privato della regione guadagnano in meno all’anno rispetto ai loro colleghi maschi.

Le ragioni, secondo quella ricerca, sono soprattutto legate alla diversa disponibilità di carriera per le donne che rinuncerebbero più facilmente degli uomini a corsi professionalizzanti, trasferte ed altre occasioni di incentivazione qualificanti ai fini salariali a causa degli impegni familiari e a causa di una sistematica mancanza di strutture assistenziali, come ad esempio asili, o assistenza domiciliare per persone anziane e o disabili.

Un serpente che si morde la coda, insomma: le donne si formano meno perché hanno più responsabilità extra lavorative e quindi guadagnano meno e di conseguenza possono essere più sacrificabili in caso di bisogni familiari stringenti, rinunciando ad una carriera lavorativa più soddisfacente e remunerativa che ovviamente, secondo questa spirale, ha possibilità molto minori di potersi realizzare.

Questa società nonostante il femminismo mainstream è ancora una società basata sulla famiglia e sul ruolo che le donne hanno in essa.

Non è un caso che l’ennesima proposta pensionistica riguardi specificatamente le donne. Già la Riforma Dini del 1995 consentiva 4 mesi di anticipo dell’età pensionistica per figlio per un massimo di 2 anni di anticipo (per quelle donne che si trovano nel sistema contributivo pieno). Ora l’ultima legge di bilancio del 2023, nell’ambito della così detta Opzione donna, ha esteso l’anticipo pensionistico a tutte le lavoratrici che hanno una certa anzianità contributiva e che hanno avuto figli e che si trovano a dover accudire familiari di primo e secondo grado.

Questo ci dice alcune cose ben precise, peraltro fin troppo note: innanzi tutto le donne hanno un valore aggiunto in quanto madri, secondariamente ad esse è affidata la cura dei componenti familiari.

Le donne vengono quindi valutate per il loro potere riproduttivo, a cui è assegnato un valore in termini economici, un* figli* vale 4 mesi di pensione anticipata; forse questo accade perché mettendo al mondo una persona piccola garantiamo un* sostitut* nel momento della nostra dimissione lavorativa?

Le donne inoltre sono, ancora nel 2023, coloro su cui pesa la gestione della cura e  dell’accudimento, ed anche questo ha un valore economico, pur sempre e solo nel momento finale della propria carriera lavorativa.

Credo che quest’ultimo passaggio si illumini di immenso quando purtroppo assistiamo impotenti ai frequenti femminicidi/suicidi di coppie di anziani.

Il nostro mondo è ancora un mondo familista in cui cioè la famiglia tradizionale, quella di sangue per intenderci, è la base dell’organizzazione sociale, all’interno della quale l’assistenza è completamente affidata alle donne.

C’è poco da stare allegre quindi se poi la Sanremo canterina ci dice che dobbiamo “sentirci libere”.

La società in cui viviamo è strutturata ancora su un ordine ben preciso in cui i ruoli, affidati ai due soli generi riconosciuti, quello maschile e quello femminile, sono funzionali al mantenimento dello status quo.

La cellula ultima del tessuto sociale è la famiglia, essa è incentivata attraverso tutta una serie di condizionamenti che iniziano fin dalla più tenera età a formare i nostri desideri, sogni, prospettive di vita.

Apparentemente alcuni passi avanti sembrano essere stati fatti: nel reparto giocattoli iniziano timidamente a comparire giochi neutri, non indirizzati specificatamente a maschi o femmine, anche se la divisione cromatica a colpo d’occhio rimane ancora molto forte.

Da alcuni anni hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali delle librerie pubblicazioni indirizzate alle  persone piccole che esaltano figure femminili di successo nei vari ambiti delle scienze e della storia e a volte si trovano giocattoli che un tempo erano destinati solo ed esclusivamente alle “femminucce”, come piccole scope per pulire casa o articoli del genere, che riportano immagini di “maschietti”.

Certo la strada è ancora lunga ma è ovvio che se durante uno degli appuntamenti televisivi più pop l’ospite-valletta indossa abiti che lanciano messaggi considerati femministi, dal “sei libera”, all’abito “madre guerriera”, all’abito “gabbia” del patriarcato da rompere, a quello del corpo nudo, qualcosa ci dice che alcune delle ragioni della lotta contro il patriarcato sono diventate abbastanza mainstream.

Il punto però a mio avviso, é che queste ragioni sono state fagocitate e distorte da un sistema consumista pacificato che aiuta il potere (Stato e Capitale per dirla in modo molto semplicistico) a mantenere di fatto lo stato delle cose.

Tutto cambia per nulla cambiare nella sostanza.

Certo, abbiamo la Ferragni che sostiene economicamente le case rifugio delle donne vittime di violenza, ed è certamente  una cosa positiva, benché saldamente ancorata a una società capitalista, ma nulla viene davvero modificato nemmeno rimanendo nel quadro stesso dell’elemento pop: la donna è pur sempre una aiutante valletta ad esempio, ma soprattutto e più di tutto non possiamo certo aspettarci che chi vive del profitto metta in discussione il sistema di cui vive.

Il femminismo, il transfemminismo, deve essere radicale e intersezionale.

Deve cioè partire dalla contestazione dell’intera struttura, dalla radicale messa in discussione, dalla radicale decostruzione degli assi di potere attraverso cui essa si basa: genere, razza, classe, provenienza geografica, abilismo…

Anche quest’anno lotto marzo sarà sciopero femminista, transfemminista. Sciopero dei generi, sciopero dai generi. Sciopero produttivo e riproduttivo. Uno sciopero politico che ha lo scopo di rimarcare le forti differenze e disuguaglianze economiche e di potere su cui è strutturata, su cui si basa questa società.

Una giornata di lotta in cui, una volta di più, mettere in luce e portare in piazza, nello spazio pubblico, le ragioni della lotta contro il patriarcato.

Donne e soggettività LGBTQIA+ si trovano insieme, anche quest’anno, a rimarcare quanto la strada verso una società più giusta e libera sia ancora lunga e insidiosa se non illuminata nella giusta prospettiva.

Quello che ci interessa sovvertire è l’ordine patriarcale basato sul binarismo di genere, sull’eteronormatività e sul capitalismo come sistema economico e sullo Stato al servizio dei potentati.

Quello che vogliamo è un mondo in cui le differenze di genere siano libere da condizionamenti culturali imposti; un mondo in cui le necessità materiali possano essere soddisfatte a seconda delle proprie esigenze e non delle proprie disponibilità economiche, secondo la logica di a ciascun* secondo il proprio bisogno; un mondo in cui i confini non esistano più, cosa che al momento è concessa solo alle merci, secondo una logica di saccheggio coloniale; un mondo in cui non ci siano più guerre e armi per farle; un mondo in cui le abilità non siano condizioni di discriminazione. Un mondo in cui le differenze siano davvero una ricchezza collettiva.

Argenide

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