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La Rivoluzione e la nozione dello stato

La Rivoluzione e la nozione dello stato

Essendo partigiano della libertà, primo attributo dell’umanità, penso che l’uguaglianza debba stabilirsi nel mondo per mezzo dell’organizzazione spontanea del lavoro e per mezzo della proprietà collettiva delle associazioni produttrici liberamente organizzate e federate nelle comunità, e per mezzo della federazione pure spontanea dei comuni, non con l’azione suprema e tutrice dello Stato. Questo è il punto che divide principalmente i socialisti libertari (collettivisti-rivoluzionari o anarco-comunisti) dai comunisti autoritari partigiani dell’iniziativa assoluta dello Stato.

Lo scopo è lo stesso: entrambi entrambi vogliono la creazione di un nuovo ordine sociale fondato unicamente sull’organizzazione del lavoro collettivo, inevitabilmente imposto a ciascuno e a tutti per la forza stessa delle cose, a condizioni economiche uguali per tutti, e sulla appropriazione collettiva degli strumenti di lavoro.

Soltanto che i comunisti si immaginano che essi potranno arrivarvi con lo sviluppo e l’organizzazione della potenza politica delle classi operaie e principalmente del proletariato delle città, con l’aiuto del radicalismo borghese. Mentre i socialisti libertari, nemici di ogni partito e di ogni alleanza equivoca, pensano che si può raggiungere questa meta solo con lo sviluppo e l’organizzazione sociale delle masse operaie sia delle città che delle campagne, compresi tutti gli uomini di buona volontà delle classi superiori, i quali, rompendo con tutto il loro passato, vorrebbero francamente schierarsi con essi, accettando integralmente il loro programma. Da tutto ciò, due diversi metodi. I comunisti credono di dover organizzare le loro forze operaie per impadronirsi della potenza politica degli Stati. I socialisti libertari si organizzano in previsione della distruzione, o, se si vuole una parola più gentile, in vista della liquidazione degli Stati.

I comunisti sono partigiani del principio e della pratica dell’autorità, i socialisti libertari non hanno fiducia che nella libertà.

Egualmente partigiani gli uni e gli altri della scienza che deve uccidere la superstizione e abolire la fede teologica – metafisica, i primi vorrebbero imporla, gli altri si sforzano di propagandarla, affinché gli raggruppamenti umani, convinti, si organizzino e si abbiano a federare spontaneamente, liberamente, dal basso all’alto, per un loro proprio movimento e conformemente ai loro reali interessi, ma non seguendo un piano tracciato in precedenza e imposto alle masse ignoranti da alcune”intelligenze superiori”. I socialisti libertari pensano che vi è molto più spirito pratico e buon senso nelle aspirazioni istintive delle masse popolari che non nell’intelligenza profonda di tutti questi dottori e tutori dell’umanità.

I socialisti libertari pensano, al contrario, che l’umanità si è lasciata troppo lungamente governare, e che la fonte dei mali non risiede già in questa o quella forma di governo, ma in ogni governo qualunque esso sia.

Se si vuol parlare di una dittatura collettiva, anche se esercitata da parecchie centinaia di individui dotati di “facoltà superiori” quali sono i cervelli tanto vasti, tanto potenti, per abbracciare l’infinita molteplicità e diversità degli interessi reali, delle aspirazioni, delle volontà, dei bisogni la cui somma costituisce la volontà di un popolo, capaci di creare un’organizzazione sociale che possa soddisfare tutti?

Questa organizzazione [imposta dalle “intelligenze superiori”] non sarà mai altro che un letto di Procuste, sul quale la violenza più o meno accentuata dello Stato forzerà la disgraziata società a spegnersi. È ciò che è avvenuto sempre fino ad ora ed è precisamente a questo sistema antico dell’organizzazione obbligatoria che la rivoluzione deve porre un termine, rendendo la più completa libertà alle masse, ai gruppi, ai Comuni, alle associazioni, agli individui medesimi, distruggendo una volta per sempre la causa storica di tutte le violenze: la potenza e l’esistenza stessa dello Stato.

Michail Bakunin

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