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Gli anarchici e le elezioni

Gli anarchici e le elezioni

Siamo ancora qui a parlare di elezioni. Stavolta sono state elezioni comunali, si sono eletti sindaci di molti piccoli comuni e di alcune grandi città. Come molti sapranno, noi anarchici non votiamo, e non per disaffezione verso la politica. No, noi la politica la facciamo in un altro modo, fuori dalle aule e dai palazzi, col sedere ben staccato dalla poltrona. Il motivo? Non crediamo nella delega, crediamo che la politica sia una cosa da fare in quanto lavoratori e cittadini, crediamo che ogni persona sia un soggetto politico, e non un suddito da governare. Per questo gli anarchici non vogliono essere governati.

Il PD ha perso in maniera così netta che il conducator Renzi ha dovuto dire che sì, quegli altri non raccolgono più un voto semplicemente di protesta, ma sono il cambiamento. Cambiamento? Di nomi e di poltrone certo. Non certo di politiche, perché quelle sono condizionate da un sistema che non tiene conto delle idee e della volontà di fare, ma dei vincoli e dei lacci stabiliti da un’ideologia economico-politica condivisa in vario grado da tutti i partiti e che, ironia della sorte, si definisce liberista. La libertà però è a senso unico. Se anche un amministratore volesse andare nella direzione di potenziare i servizi pubblici, gestire direttamente il trasporto locale o reinternalizzare la gestione di acqua e rifiuti, non lo potrebbe fare. C’è una sola strada lasciata sgombra dalle leggi dello stato italiano e dell’Europa: quella del taglio dei servizi e della privatizzazione.

Non ci sono differenze reali fra le politiche messe in campo dalle vari partiti. Non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello regionale e locale. Privatizzazioni e tagli pesantissimi dei servizi, affidamento di gas, acqua e rifiuti a colossali aziende multi-utility, spesa di somme incredibili per organizzare grandi eventi che portano beneficio solo alle aziende coinvolte e nessuno per i cittadini. A Milano l’anno scorso è andata in scena l’Expo che, oltre a essere una macchina da soldi per proprietari dei terreni e aziende, ha sdoganato il lavoro gratuito. Migliaia di persone hanno lavorato senza beccare un soldo. Il tutto organizzato dal neo-eletto sindaco di centrosinistra. Si parla solo di competitività, di brand territoriali, di riqualificazione. Vengono emanate ovunque ordinanze anti degrado non per punire chi ha devastato e cementificato i territori, non contro chi promuove attivamente il degrado sociale licenziando e affamando i lavoratori ma contro chi beve una birra fuori dalle distese dei locali. Strada seguita in modo tri-partisan con ordinanze-fotocopia da centrodestra, centrosinistra e pentastellati. L’accanimento contro i poveri e gli emarginati non si ritrova solo dove impera la destra più o meno leghista, ma anche nelle città fino a ieri governate dal centrosinistra come Torino, che in fatto di sgomberi e sfratti forzosi non è seconda a nessuno.

Gli esempi potrebbero continuare, ma ci fermiamo qui.

P arliamo un po’ dei voti dei ballottaggi che hanno rivelato ripugnanti alleanze. Tutti i candidati cinque stelle hanno vinto ai ballottaggi perché su di loro sono confluiti i voti di destra, e non è un caso. C’è affinità vera fra elettorato di destra e cinque stelle. La componente autoritaria nel movimento è talmente palese che non serve nemmeno commentarla. Il ducetto genovese decide, tutti gli altri ubbidiscono o sono fuori. Fra le proposte politiche, poi, si trova ben poco a favore dei lavoratori e in genere delle fasce deboli della società. Non basta invocare l’onestà e scagliarsi contro i politici ladri. Non rubare è una condizione necessaria ma non sufficiente per fare gli interessi dei cittadini. Un piccolo esempio che può dare un’idea precisa sulle priorità di questa gente: i soldi derivanti dall’autoriduzione dei loro stipendi da parlamentari finiscono in un fondo per sostenere “i piccoli imprenditori”. Non i disoccupati, non i precari, non i profughi dalla guerra. La scelta di campo è netta. E non tragga in inganno la proposta del reddito di cittadinanza, vero specchietto per le allodole. Solo se cambiassero radicalmente il sistema dei conti pubblici, il fiscal compact e tutte le altre politiche di austerity marca UE, allora sarebbe praticabile il reddito di cittadinanza. Ma in quel caso forse non servirebbe nemmeno più.

Dal canto suo il PD paga per le politiche di destra che ha portato avanti in questi anni. Al di là dei proclami e della politica spettacolo, dei tweet e dei ciaoni, il governo marca PD ha devastato il welfare e cancellato i diritti dei lavoratori molto più dei precedenti governi berlusconiani, per non parlare di tutte le porcherie mazzettare a Roma e gli intrallazzi bancari, una legge elettorale cilena e una riforma istituzionale che più autoritaria non si può. Come dicevamo all’inizio, noi anarchici non votiamo per principio. Delegare significa consegnare un assegno in bianco a qualcuno che probabilmente non conoscete e di cui non potete aver fiducia, e autorizzarlo a decidere per voi.

Non sono possibili soluzioni dall’interno, né dei palazzi romani né del municipio della vostra città. Le decisioni vengono prese altrove e la tanto sbandierata democrazia non è che un paravento.

Rifiutare il voto e praticare l’autogestione è il passaggio preliminare del cambiamento sociale.

Federazione Anarchica Reggiana-FAI

via Don Minzoni 1/d Reggio Emilia

lunedì 27 giugno 2016


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