Renzi si è reso odioso poiché viene percepito da gran parte dell’opinione pubblica non come un politico ma come un lobbista, come un servitore di interessi di potentati privati. La percezione non è dovuta a commenti malevoli o a “fake news”, ma allo stesso modo di porsi di Renzi, riconfermatosi anche dopo l’ennesima batosta elettorale; un atteggiamento altezzoso e schernevole verso l’uditorio, che suggerisce un messaggio implicito che va oltre le parole: ”io non devo rendere conto a voi, ma a quelli che mi hanno messo qui, cui voi non sareste neppure degni di sciogliere i calzari”. Bisogna vedere perciò se la sconfitta di Renzi sul piano elettorale implichi anche una sconfitta del lobbying che egli rappresenta.
Sino agli ultimi giorni di campagna elettorale Renzi non ha rinunciato al suo ruolo di lobbista, tanto da usare il caso della maestra Lavinia Flavia Cassaro,[1] colta dalla solita “provvidenziale” telecamera ad inveire contro dei poliziotti durante una manifestazione antifascista. Renzi è arrivato ad invocare il licenziamento dell’insegnante per quel suo comportamento. La ministra dell’Istruzione ed il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale competente hanno prontamente obbedito aprendo una procedura disciplinare contro Lavinia. Il dogma lobbistico della licenziabilità del dipendente pubblico si è esteso quindi sino a coinvolgere comportamenti che avvengano fuori del luogo di lavoro.
Ora si pretende che dopo aver subito una carica e delle manganellate, i manifestanti mantengano uno stile sobrio ed “istituzionale”, che un insegnante emani santità anche fuori dal contesto scolastico e reagisca alle provocazioni poliziesche magari citando Calamandrei, in base alla melassa del politicorretto vigente. Quanto questa melassa sia melmosa e subdola, lo si è riscontrato allorché a delle frasi dettate da un momento di esasperazione, i media hanno voluto attribuire il valore di un programma politico.
In base ad un astratto standard di irreprensibilità si è avviato un linciaggio nei confronti della maestra, additando alla pubblica opinione il suo rifiuto di “pentirsi”, non si sa bene di che, forse di blasfemia o lesa Maestà. In realtà non ci sono neanche gli estremi dell’oltraggio a pubblico ufficiale, dato che si trattava di uno sfogo che sarebbe rimasto senza destinatari se non vi fosse stata la “provvidenziale” telecamera ad attribuirle il valore di un messaggio, creando così artificiosamente il caso.
Il caso di Lavinia rappresenta una svolta storica poiché vede estendersi le pratiche di mobbing lavorativo dal luogo di lavoro al sociale tout court. Si è voluto fabbricare un precedente da utilizzare anche in futuro e lo si è fatto senza alcuna base giuridica, dato che dal 1993 il rapporto di lavoro dei docenti è regolato da un contratto di natura privata, che non consentirebbe al datore di lavoro di debordare dall’ambito della prestazione lavorativa.
Sul luogo di lavoro il dipendente “licenziando” viene sottoposto a provocazioni da parte del Dirigente e di colleghi compiacenti, in modo da indurlo a reazioni che configurino un illecito disciplinare. Nell’ambito del lavoro però queste tattiche di mobbing risultano sempre meno efficaci dato che molti lavoratori ne hanno colto lo scopo ed hanno fatto ricorso alle opportune contromisure. Accade così che, nelle guerre psicologiche che si svolgono sul luogo di lavoro, spesso siano i dirigenti “mobbizzatori” a soccombere e dare di matto.
Occorreva quindi estendere la provocazione anche fuori del luogo di lavoro, in modo che il lavoratore fosse sotto tiro H24; tanto che viene da sospettare che certe telecamere non siano lì a caso.
La provocazione poliziesca è un sistema che non si limita al random dei pestaggi e della ripresa video delle eventuali reazioni. La provocazione ha assunto infatti una sua “dignità” giuridica come strumento di “indagine”, perciò la figura dell’agente provocatore è stata accolta dalla legislazione e dalla giurisprudenza sia italiana che europea. Nel programma del Movimento 5 Stelle sulla Giustizia si propone esplicitamente di far ricorso all’agente provocatore anche per i reati della Pubblica Amministrazione.[2] In realtà il moralismo 5 Stelle non fa altro che avallare una pratica già prevista e già in atto.
Cambiano i partiti ma i dogmi lobbistici rimangono gli stessi. Il problema è che il lobbismo ha acquisito ormai un monopolio ideologico e le centrali sovranazionali del lobbying (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale) sono quelle che ispirano i programmi dei partiti anche al di là delle intenzioni soggettive.
Meno male che c’è la Corte di Cassazione a vigilare perché non avvengano abusi nell’uso dello strumento della provocazione a fini di indagine. Si fa per dire, dato che la Corte si spinge addirittura ad affermare che la istigazione a delinquere da parte dell’agente provocatore sia legittima, purché si configuri come “concausa” e non come causa esclusiva del reato.[3] Qui siamo sul piano non delle sentenze ma delle boutade, visto che sul piano pratico è impossibile distinguere tra concausa e causa esclusiva. La Corte di Cassazione lascia perciò mano libera alla provocazione poliziesca.
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NOTE
[1] http://torino.repubblica.it/cronaca/2018/02/28/news/torino_la_maestra_che_offese_i_poliziotti_ora_temo_per_il_lavoro_ma_sono_una_buona_educatrice_-189989465/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P3-S1.6-T1
[2] http://www.altalex.com/documents/news/2018/02/23/elezioni-2018-il-programma-del-m5s-sulla-giustizia
[3] http://www.altalex.com/documents/news/2008/10/10/agente-provocatore-e-punibile-l-azione-delittuosa-a-carattere-istigativo