La primavera è finita e con essa sembrano finite le preoccupazioni e i dibattiti accesi dalle vicende elettorali che ne hanno punteggiato la conclusione.
Le elezioni europee prima, quelle francesi e quelle britanniche poi, hanno generato un’ondata di interesse, di timore e di speranza che in breve si sono rivelate infondate. La “minaccia della destra” alimentata dai risultati delle elezioni europee ha finito per avvantaggiare la candidata Ursula Von der Leyen, presidente uscente della Commissione Europea, mentre in Francia il successo al secondo turno del Nuovo Fronte Popolare si è tradotto in un rafforzamento del presidente e del suo ruolo di esponente del grande capitale e di garanzia della governabilità, di fronte alla incapacità da parte dell’assemblea rappresentativa di esprimere una maggioranza di governo. Nel Regno Unito, infine, il successo elettorale del Labour è la migliore garanzia che gli interessi dell’oligarchia finanziaria saranno rispettati.
Se consideriamo invece la situazione sociale rispetto ad un anno fa, vediamo che tutti i principali problemi non sono stati risolti. Nonostante le dichiarazioni altisonanti, i vertici e convegni di studi organizzati dalla Commissione Europea, la miseria aumenta, la casa diventa un miraggio e curarsi è sempre più difficile per chi vive nell’Unione Europea. Intanto vanno avanti le politiche di riarmo e si orienta l’economia verso la guerra: nei prossimi anni per i vari stati dell’UE ci sarà bisogno di 800 miliardi in più all’anno, anche per accontentare il vorace appetito delle multinazionali che fabbricano armi. L’esperienza accumulata durante la pandemia sarà largamente utilizzata per impiantare politiche comuni volte al reperimento delle risorse finanziarie necessarie, alla definizione dei progetti d’investimento comuni e, soprattutto, tenere sotto controllo il malcontento sociale.
Se guardiamo a quest’aspetto, vediamo che le speranze sollevate da una ripresa dello scontro di classe in Europa dalle lotte dello scorso anno si sono affievolite. L’ondata di scioperi che ha investito il Regno Unito fra il 2022 e il 2023 si è conclusa con accordi al ribasso firmati dai rappresentati del Trades Union Congress, il sindacato ufficiale legato al partito laburista. In Francia, l’accesa protesta popolare provocata dalla riforma delle pensioni è stata lasciata affievolirsi dalle organizzazioni più rappresentative e dagli stessi partiti di opposizione, proprio nel momento in cui il dominio di Macron era più scosso.
Se vediamo gli avvenimenti dell’ultimo periodo in una prospettiva più lunga, non possiamo fare a meno di collegare quelle sconfitte con i risultati elettorali di queste settimane. I dirigenti dei partiti di sinistra avevano tutto l’interesse a capitalizzare l’entusiasmo generato dai movimenti di massa e incanalarlo nel rassicurante meccanismo della delega politica, mentre i dirigenti sindacali puntavano all’appoggio di un possibile governo “amico”: i movimenti di lotta avrebbero potuto ottenere maggiori risultati solo aumentando il loro grado di autonomia e di unità: quello che più temono i gruppi dirigenti. Le grandi lotte sono state portate nelle urne e, come sempre succede, sono state soffocate da una valanga di carta.
Dopo questa valanga di carta, i nuovi governi o quelli vecchi riconfermati non saranno in grado di risolvere i vecchi problemi della società. Non saranno in grado ma non ne hanno nemmeno la volontà, visto che i principali gruppi politici che si contendono i posti di governo sul continente, socialisti, popolari, liberali, sono d’accordo nel sostenere la nuova/vecchia Commissione Europea e la sua politica a sostegno delle classi privilegiate e della guerra.
Intanto i vecchi problemi si aggraveranno, rendendo necessarie nuove misure repressive da parte dei governi.
Non è da escludere, quindi, a breve nuove esplosioni di malcontento e di rivolta sociale sia in Francia che nel Regno Unito.
In Italia le ripetute scadenze elettorali confermano la sfiducia nelle istituzioni: alle ultime elezioni europee più della metà degli aventi diritto al voto non si è recata alle urne, e percentuali analoghe si registrano spesso anche alle amministrative. La sfiducia investe sia il meccanismo della delega, sia chi si presta al gioco elettorale, qualsiasi sia la posizione che esprime. Di fatto, la sfiducia si diffonde soprattutto fra le classi sfruttate, che vedono i loro problemi sollevati solo nelle occasioni elettorali e le stesse lotte sfruttate per una manciata di voti a questa o quella lista.
Occorre ripartire da qui, da un radicale rifiuto delle elezioni, per costruire una forza di massa capace di trasformare le cose. L’unica maniera per convincere lavoratrici e lavoratori, attivisti, militanti di base che le loro lotte non saranno sfruttate per una scadenza elettorale è con l’esempio, con la presenza nelle lotte per costruire unità, autogestione e autorganizzazione, costruendo insieme soluzioni concrete che rappresentino un aumento delle capacità soggettive dei movimenti di base di gestire la società. In particolare i sindacati hanno un ruolo importante, in quanto struttura permanente, nella formazione delle militanti e degli aderenti, per sviluppare una coscienza di produttori e quindi riportare al centro della discussione il superamento del modo di produzione capitalistico.
Questo tema sembra essere completamente scomparso dall’orizzonte politico. Uno dei meriti dell’iniziativa, per altri versi contraddittoria e lacunosa, del collettivo di fabbrica dell’ex-GKN è essersi assunto il ruolo di promotore di questa trasformazione nel concreto di una realtà produttiva che questo sistema ha condannato a morte. Al di là della validità della proposta concreta e degli strumenti (la legge regionale) su cui punta il collettivo, sono stati rimessi sul piatto due temi ignorati anche nel dibattito del movimento più largo: dare concretezza al superamento del capitalismo e dare un ruolo centrale, in questo processo, alle lavoratrici e ai lavoratori. Perché non c’è emancipazione delle classi sfruttate nell’ambito del sistema capitalistico, e non c’è superamento del capitalismo senza emancipazione delle classi sfruttate. Emancipazione che non vuol dire solo passaggio di proprietà dei mezzi di produzione, e ancora meno il fatto che vada al governo l’una o l’altra delle liste elettorali; emancipazione vuol dire capacità di affermare la propria soggettività, vuol dire costruzione dal basso degli organismi che avranno il compito di affrontare i mille problemi di una società complessa in trasformazione. Una soggettività che parte dalla lotta per migliori condizioni di vita e di lavoro e costruisca una società migliore per ogni persona.
Tiziano Antonelli