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Mia nonna e gli accordi sindacali

Mia nonna e gli accordi sindacali

Da destra: il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, il segretario generale della Cisl Annamaria Furlan e il segretario in pectore della Uil, Carmelo Barbagallo, durante la conferenza stampa al termine dell'incontro con il Governo, Roma, 17 novembre 2014.  ANSA/ANGELO CARCONI
“Pensar male è brutto, e la cosa peggiore è che ci azzecchi quasi sempre”: è la versione familiare, dettami da piccolo dalla mia nonna materna (che sosteneva di averla a sua volta imparata dal nonno…), di questo proverbio solitamente attribuito all’ineffabile Giulio Andreotti – che evidentemente pensava anche a se stesso ed alle sue azioni. La frase mi è venuta in mente già in occasione delle varie “anticipazioni” in merito all’idea di un Anticipo Pensionistico (APE) da finanziare con un prestito da restituire con comode rate sulla pensione stessa, poi concretizzatosi nell’ultimo accordo tra governo e sindacati dove all’APE si è aggiunta poi la RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata).
In poche parole, l’accordo consiste, per ciò che concerne l’APE, nella possibilità volontaria di lasciare il lavoro, raggiunti i 63 anni, 3 anni e 7 mesi prima della pensione di vecchiaia tramite un anticipo pensionistico che il lavoratore stipulerà con l’Inps, ammortizzato con rate ventennali sulla pensione. Se il lavoratore lascia questo mondo terreno prima dei vent’anni del rimborso, il residuo sarà a carico di un’assicurazione con cui si sarà stipulata una adeguata polizza (non dovrebbe perciò venire caricata sulla reversibilità o comunque sugli eredi). In alcuni casi di lavoratori in particolare stato di difficoltà economica (ma il loro numero da determinare in base al reddito non è stato ancora precisato) scatterebbe l’APE “social”, dove lo Stato si farebbe carico in toto dell’anticipo pensionistico; inoltre, le imprese, per favorire i processi di turn over, vengono lasciate libere di accollarsi i costi dell’APE al posto del loro dipendente – se lo desiderano… Dovrebbero risultare agevolati anche i lavoratori precoci, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare prima dei diciannove anni e che hanno raggiunto quarantuno anni di contributi, e coloro che hanno svolto lavori usuranti, che potranno anticipare l’età pensionistica fino a diciotto mesi relativamente a quella che sarebbe stata la loro sorte con la riforma Fornero. Dopo di che, come dicevamo, c’è la RITA, che verrà concessa a chi ha maturato redditi in un fondo integrativo, ma vuole attingervi prima dell’età di pensionamento per ottenere una rendita temporanea per il periodo di lì alla pensione, ottenendo determinate agevolazioni fiscali (una tassazione inferiore a quella prevista per gli anticipi e pari invece a quella prevista sulla pensione complementare che sarebbe stata erogata).
I Sindacati firmatari dell’accordo, che prevede anche altri aspetti (la quattordicesima mensilità per i pensionati con redditi fino a circa mille euro, l’allargamento della no tax area a redditi pensionistici superiori all’attuale, la ricongiunzione gratuita dei redditi maturati con gestioni pensionistiche diverse…), hanno dichiarato più o meno unanimemente, con qualche solito distinguo, che sono sia pure parzialmente soddisfatti dell’accordo, il quale, pur con i suoi limiti, andrebbe positivamente in controtendenza relativamente a ciò che era accaduto negli anni passati. Allora per quale motivo mi è risuonata nella mente la frase di mia nonna?
Sarò sicuramente diventato un malfidente a forza di essere stato cresciuto in una famiglia in cui si dicevano tali malignità, ma ho l’impressione che il governo sia riuscito, nascondendolo in mezzo ad alcune piccole concessioni, a far passare un principio assai pericoloso per i lavoratori, specie quelli delle aziende in difficoltà nella crisi economica (in pratica, la maggioranza), e che quello fosse il reale obiettivo di Matteo Renzi e del suo entourage.
Mi spiego. In molti casi, nelle aziende in crisi spesso si risolvono determinate situazioni tramite il ricorso ai prepensionamenti, i quali, fino ad ora, non erano a carico in alcun modo del lavoratore. Da oggi, il governo ha aperto la porta alla possibilità che il lavoratore dell’azienda in crisi si paghi da solo i costi del prepensionamento. Adesso, le condizioni possono anche apparire relativamente favorevoli al lavoratore – ma si sa, la crisi è crisi ed allora..
Enrico Voccia


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