Search

L’ENI al centro del rifinanziamento

L’ENI al centro del rifinanziamento

Le nuove missioni italiane all’estero, deliberate dal Consiglio Dei Ministri nel 21 maggio 2020, con un costo complessivo di 1.387.747 € per l’anno corrente ed un impiego di 8.613 unità, presentano una novità sostanziale: l’Africa è al centro del rinnovato impegno militare. La centralità dell’Africa è la logica conseguenza di una triplice partita: gli interessi dell’ Eni, dell’apparato industriale militare e del formarsi delle nuove frontiere geopolitiche. Tali fattori pongono l’Africa, in particolare la sponda mediterranea, il Sahel e il Golfo di Guinea, al centro dei nuovi equilibri internazionali. Delle 46 missioni all’estero 23 sono situate in Africa e tra cinque nuove missioni approvate, ben quattro sono operative tra la sponda mediterranea africana ed il Golfo di Guinea. EUNAVFOR MED Irini (sorveglianza nel Mediterraneo), Task Force TAKUBA (contrasto alla presenza salafita jihadista nel Sahel), I’impiego di un dispositivo aeronavale nel Golfo di Guinea ed il rafforzamento del lato Sud della NATO. L’Africa rappresenta il futuro degli interessi economici italiani: il belpaese nel 2019 è risultato il primo investitore europeo in Africa e L’ENI, dal 1959, è presente nella fascia Mediterranea e quella sub-sahariana, ne è il principale protagonista. Su 1,8 milioni di boe (barili di petrolio equivalenti) al giorno di idrocarburi prodotti dall’ENI, l’Africa Sub-Sahariana contribuisce per 398mila boe, seguita dall’Africa settentrionale con 386mila e dall’’Egitto con 344mila boe. Eni, per quanto riguarda il gas, ricava la maggior parte di risorse dall’Egitto grazie alla scoperta dell’enorme giacimento di Zohr, con 42mila boe/giorno, seguita dall’Africa settentrionale con 33mila boe e dall’Africa Sub-Sahariana con 20mila boe. Il rifinanziamento delle missioni militari introduce un elemento di novità, la presenza nel Sahel.
La dislocazione geografica del Sahel, cerniera tra sponda Mediterranea, Golfo di Guinea e corridoio di transito dei flussi migratori Africani, ha fatto emergere il ruolo chiave di un’area che sino a qualche decennio orsono era del tutto irrilevante sotto l’aspetto economico e strategico. Oggi invece Agadez, una delle principali città del Niger, è definita la porta d’ingresso dell’Unione Europea, il confine più a sud dell’Unione Europea. Il controllo dei flussi migratori permette all’Occidente europeo di regolare, a seconda della necessità dei cicli di mercato, il costo della manodopera. Un bacino di forza lavoro a bassissimo costo che in alcuni settori, vedi quello agricolo, diventa indispensabile per sostenere la competizione internazionale. L’ Italia, da tempo, era presente nell’area con missioni di addestramento delle forze di polizia per il controllo del territorio: MISIN, MINUSMA, EUTM Mali, EUCAP Sahel e EUCAP Sahel Niger Alle precedenti missioni si aggiunge la Task Force Takuba, operazione che rafforza la presenza italiana accanto a quella francese storicamente presente nel Sahel.
La Francia, in un contesto di progressivo deterioramento della situazione di sicurezza e di profonda destabilizzazione regionale, alimentata dall’attivismo di gruppi armati di ispirazione salafita-jihadista, legati ad al-Qa’ida (Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin, JNIM) o allo Stato Islamico (Islamic State in the Greater Sahara, ISGS), non è più in grado di sostenere i crescenti impegni finanziari derivati dalle operazioni belliche. La richiesta della Francia di collaborazione militare è di fatto una significativa apertura agli interessi italiani .
Da sottolineare anche che il Sahel negli ultimi anni ha visto un crescente interessamento da parte dei maggiori attori economici internazionali. Le recenti scoperte di uranio, oro e soprattutto “terre rare”, i minerali indispensabili all’industria elettronica, hanno determinato una particolare attenzione da parte dei maggiori complessi produttivi mondiali.
L’altra novità di rilievo nel decreto di rifinanziamento è l’operatività militare è nel contrasto alla pirateria e alla criminalità armata nel Golfo di Guinea, tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio. L’obiettivo, come riportato nel decreto, e quello di “assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali nell’area, con particolare riferimento alle acque prospicienti la Nigeria”.
L’area è interessata da tempo dal fenomeno della pirateria legata al commercio degli idrocarburi: il 90% circa dei sequestri in mare nel mondo sono avvenuti dunque in quest’area Per tutelare interessi strategici, il decreto missioni 2020 dispone l’impiego di 400 militari, 2 mezzi navali e 2 mezzi aerei per assicurare la protezione delle piattaforme offshore e degli impianti di estrazione di ENI, garantire la sicurezza delle rotte di commercio marittimo nell’area, rafforzare la cooperazione ed il coordinamento con gli stati africani che affacciano sul Golfo e fornire un’attività di sorveglianza navale non continuativa.

Libia e Mediterraneo Est
La guerra in Libia è condizionata da due nuovi elementi che la stanno proiettando da un piano locale ad una dimensione globale. Il primo è il sostegno degli Emirati Arabi ad Ahftar (Cirenaica).
Gli Emirati Arabi dimostrano sulla fascia nordafricana-mediterranea un doppio interesse: da un lato, quello più conosciuto, lo scontro intra-sunnismo con Ankara. Le posizioni anti Fratelli Musulmani sostenute dagli Emirati si contrappongono al sostegno Turco alla narrazione sunnita della quale i fratelli Musulmani ne sono i rappresentanti più radicali. Accanto a questa valutazione, molto di facciata, che tende a ridurre i conflitti unicamente alla dimensione confessionale, vi è un altro elemento, non analizzato e diffuso dai media, ma molto più concreto:gli Emirati hanno l’obiettivo di costruire sul fronte meridionale del bacino mediterraneo una infrastruttura portuale ed una presenza geopolitica integrabile con la via della seta marittima cinese.
La Cina, pur geograficamente distante dallo scenario mediterraneo, in realtà condiziona, attraverso gli Emirati, la vicenda libica. Gli Emirati sono il più fedele partner commerciale mediorientale della Cina. Il consolidare la presenza nel mediterraneo garantirebbe alle merci cinesi una continuità degli scali portuali che risalgono dalla Penisola arabica su per il Corno d’Africa fino Suez e proseguono verso la Libia. Sistema che gli Emirati vorrebbero sovrapporre alle vie della seta cinese – usando il progetto di Pechino – come moltiplicatore dello loro influenza.
L’altro elemento di novità che rimescola le carte del conflitto libico e degli equilibri geopolitici tra Mediterraneo, Europa, Turchia e Russia è la scoperta di una enorme riserva di gas nel mediterraneo dell’Est e la sottoscrizione tra Grecia Cipro ed Israele del PROGETTO GASDOTTO EAST MED. È previsto uno sviluppo per 2.000 chilometri, dal Medio Oriente al Sud Europa, e potrà trasportare fino a 12 miliardi di metri cubi all’anno; al gasdotto verranno conferite anche quote del gas egiziano.
L’East Med collegherà le riserve di gas offshore alla Grecia continentale e all’Italia, aggirando la Turchia, e mira a fornire una stima del 10% del gas naturale europeo. La EU ha definito il gasdotto come “project of common interest” in quanto permetterebbe ai Paesi europei di diversificare le fonti di approvvigionamento e ridurre la propria dipendenza dalla Russia, dal Caucaso e dall’Africa del Nord. L’accordo sul Gasdotto East Med potrebbe essere determinante per i Paesi del Mediterraneo orientale per consolidare la loro posizione sul piano internazionale.
A traino del gasdotto si stanno configurando alleanze inedite che rimescolano le carte del tavolo geopolitico. Lo scorso gennaio è stato infatti firmato un accordo quadro per la trasformazione dell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF) in una vera e propria organizzazione internazionale il cui scopo è dare vita ad un mercato regionale del gas nel Mediterraneo Orientale. Attualmente gli stati membri del forum sono Egitto, Israele,Grecia, Cipro,Italia,Giordania ed Autorità Palestinese. USA e Francia hanno chiesto successivamente di aderirvi.
A spingere dall’esterno per East Med sono in particolare gli USA desiderosi di veder rafforzata la posizione negoziale di Israele e di controbilanciare il peso economico della Russia nel mercato energetico Europeo, vedi il gasdotto Nord Stream che collega direttamente la Russia alla Germania via Baltico.
Il progetto industriale e le adesioni al Forum Del Gas Mediterraneo hanno spinto la Turchia a sottoscrivere con Tripoli, contemporaneamente all’accordo militare, anche un memorandum per unire le Zone economiche esclusive di Libia e Turchia – tagliando geograficamente (e dunque in modo geopolitico) il sistema East Med. L’appoggio turco alla Tripolitania mira in realtà a rafforzare la propria posizione nel Mediterraneo, al fine di scongiurare l’avvio del progetto dell’East Med.
La reale motivazione dell’intervento di Erdogan in Libia è che la Turchia non può perdere l’attuale posizione di hub energetico. La Turchia, se pur priva di risorse energetiche, è la via di transito delle maggiori pipeline che collegano la Russia o le repubbliche del Caucaso all’Europa. Dal Turk Stream al Tanap, meglio conosciuto nel suo tratto adriatico come TAP, al Blue Stream, queste sono le principali arterie che garantiscono l’approvvigionamento al sistema produttivo Europeo.
La Repubblica Turca di fatto detiene il controllo, la capacità di chiudere i “rubinetti” delle pipelines, posizione che rende non solo sotto l’aspetto economico (riscossione dei diritti di transito), ma soprattutto geopolitico. Il progetto East Med è di fatto un concorrente di assoluto peso che sposterebbe di molto il ruolo strategico dell’hub energetico turco.
L’Italia, in un contesto in rapida evoluzione, sta giocando nello scacchiere del Mediterraneo su più tavoli, soprattutto su tavoli contrapposti. Da una parte è alleata ad Erdogan nell’appoggio alla Tripolitania, dall’altra partecipa attivamente al progetto del gasdotto East Med che nei suoi presupposti economici e geopolitici è di segno nettamente anti turco. Edison è presente nel consorzio con la società greca Depa, denominato Igi Poseidon impegnato nella realizzazione dell’ East Med.
L’importanza della partecipazione italiana del progetto è stata ribadita da Lapo Pistelli (Responsabile relazioni internazionali ENI) il quale ha dichiarato: “Credo che oggi la sfida per le imprese italiane sia investire soprattutto nel Mediterraneo orientale, l’Eastmed. E’ un bene che quest’anno sia nato l’Eastmed forum, che ha avuto un primo effetto di mitigare per esempio le relazioni tra Egitto e Israele”.
D’altra parte L’Italia non può schierarsi nettamente sul fronte Anti turco. Con un interscambio annuo di quasi 18 miliardi di euro la Turchia è un importante partner commerciale. L’Italia nel 2019 si conferma quale 5° partner commerciale della Turchia e secondo tra i Paesi europei. La Turchia rappresenta un determinante partner commerciale, soprattutto per quanto riguarda il commercio di armi. L’Italia, nel 2013, autorizzava esportazioni di armamenti per 11,4 milioni di euro. Nel 2018 la quota è balzata a 362,3 milioni, collocando così la Turchia al primo posto tra i Paesi della NATO e al terzo su scala globale dopo Qatar e Pakistan.
In sintesi l’Italia non può prendere una posizione netta anti turca, così come non può escludersi dal progetto del gasdotto East Med. e soprattutto dipende da Ankara per il transito della pipeline TAP. Tale situazione si è pertanto tradotta in una duplice posizione anche sul piano militare: l’Italia il 26 agosto 2020 ha partecipato con le forze greche, insieme a quelle di Cipro e Francia alle manovre militari Eunomiaesercitazione che si è tenuta nelle acque tra Creta e Cipro. Dall’altra parte, la marina militare italiana ha svolto nello scorso luglio anche con la marina turca una manovra congiunta (Passex Italia – Turchia) con lo scopo di dimostrare che Roma non ha interesse ad arrivare allo scontro frontale con Erdogan.
Nel ruolo di “bilancia”, che l’Italia sta cercando di ottenere nel nuovo scenario energetico e geopolitico del Mediterraneo, non può mancare il sostegno all’Egitto, “avversario” degli interessi italiani (con il sostegno alla Cirenaica) nello scacchiere libico. Ricordiamo che l’ENI è stata la protagonista principale nella scoperta e realizzazione dell’immenso giacimento di gas egiziano Zohr che conferirà una parte della sua produzione nel gasdotto East Med.
La centralità dell’Egitto non è targata solo ENI, mediante lo sfruttamento del giacimento di Zhor, ma si vede anche nel commercio di armi: nel 2019 sono stati autorizzati la vendita di armamenti al governo di Al-Sisi per 872 mln di euro. Per la piena comprensione del quadro complessivo africano-mediterraneo e del ruolo del complesso militare-energetico-industriale occorre tenere conto di un nuovo orientamento ideologico nel concetto di “libero mercato”.
Nel Giugno 2017, a conclusione del vertice del G7 di Taormina, viene prodotto un comunicato nel quale c’è un passaggio di enorme interesse (poco sottolineato dai media e dagli opinionisti) per le strategie economiche. Si afferma un nuovo principio quello del fair and free trade e non solo del free trade, ovvero del giusto e libero mercato. In altre parole si afferma che il mercato trova un limite (giusto) in alcuni settori, ad esempio nei settori strategici, e tra questi primari sono quelli energetico e industriale militare. Il limite (giusto) da realizzarsi sono le nazionalizzazioni o misura ultra protezionistiche.
La nazionalizzazione o l’ultra protezionismo sono, al momento, la risposta del capitalismo occidentale per affrontare la fase di acuta crisi, non potendo più garantire la piena occupazione e la protezione del Welfare. Se la nazionalizzazione o la protezione del proprio apparato produttivo, sono una necessità, diventa indispensabile individuare contemporaneamente quelli che sono i settori di maggiore crescita e prospettiva industriale. La risposta, che il mercato ha dato in questi anni, è univoca: l’apparato militare industriale.

Il “giusto interesse nazionale” viene quindi individuato nell’apparato militare industriale, l’unico settore che, a livello globale, in questi anni di profonda crisi, non ha smesso di crescere. Unico settore che fa da traino alle concentrazioni del capitale. Ancora una volta l’apparato militare ed il suo complesso industriale è strumento ed a sua volta protagonista dell’evoluzione del capitalismo mondiale.

Articoli correlati