Marco ROSSI, Le ombre di Fiume. Tra nazionalismo e sovversione, 1919-1924 (Milano, Zero in Condotta, 2023)
Recensione di Francesca Tasca
Da tempo Marco Rossi è impegnato attivamente nella ricerca storica sulle vicende del movimento operaio negli anni cruciali che seguirono la Prima guerra mondiale. E una particolare attenzione riserva all’antifascismo anarchico. Procedendo proficuamente in questo ambito di indagini, con Zero in Condotta pubblica ora “Le ombre di Fiume. Tra nazionalismo e sovversione, 1919-1924” (Milano 2023). L’interesse dell’autore è approdato agli avvenimenti fiumani proprio ricostruendo gli eventi che portarono Argo Secondari a fondare nel 1921 gli Arditi del Popolo. Si constata, infatti, che non pochi appartenenti alla formazione antifascista erano stati in precedenza Legionari nella città sul golfo del Quarnaro. Un libro necessario, dunque. Che, pur non presumendo di dipanare del tutto e definitivamente la questione, tenta per lo meno di chiarire, all’interno delle diverse, contraddittorie componenti del Fiumanesimo, anche il peso e la presenza della componente libertaria, in seguito rimossa dalla finale fascistizzazione del mito fiumano.
Tensioni libertarie ed elementi antiborghesi sono riscontrabili nelle vicende esistenziali di alcuni dei volontari giunti a Fiume di cui Rossi ripercorre le toccanti biografie: ex-Legionari fiumani che agirono contro il fascismo, oppositori attivi entrati nella resistenza, organizzatori di reti clandestine e, in alcuni casi, deportati e uccisi nei campi di concentramento. Insieme alla bella riproduzione di un nutrito apparato di immagini fotografiche, fonti e documenti (pp. 347-368), correda il volume un indice dei nomi comprendente oltre 800 lemmi (pp. 369-381), sintomatico soprattutto dell’acribia con cui Rossi ha seguito pressoché passo passo i percorsi individuali di tanti che parteciparono all’impresa fiumana.
In tale prospettiva si può spiegare allora, pur tra le reciproche distanze, anche l’incontro avvenuto nel novembre del 1922 di cinque membri del Direttorio dei Legionari dannunziani con Errico Malatesta, a casa dell’ormai anziano rivoluzionario: un tentativo di unire le forze in funzione antifascista appena pochi giorni dopo la marcia su Roma (Appendice, pp. 345-346). Del resto, Fiume fu davvero crocevia di dinamiche fra loro antitetiche: effimere convergenze che si catalizzarono intorno alla figura di Gabriele D’Annunzio. Il quale, tra l’altro, aveva affermato pure: “Io sono per il comunismo senza dittatura (…) Tutta la mia cultura è anarchica”. Così riporta testualmente un’intervista pubblicata sulle pagine stesse di “Umanità nova” del 9 giugno 1920, rilasciata a Randolfo Vella, inviato per il giornale anarchico a Fiume (Appendice, pp. 335-336).
Inoltre, anche se la causa fiumana non fu in senso stretto una causa anarchica, una certa reticenza continua ad avvolgere i fatti di Fiume soprattutto perché la spedizione costituì il più grave fatto di indisciplina dell’esercito italiano: una sedizione che godette di “un largo e trasversale consenso nell’opinione pubblica, in Italia e all’estero” (p. 13). Si era verificata una rivolta militare che aveva infranto i consueti vincoli gerarchici e la catena del comando. Questo aspetto, favorevolmente accolto dagli ambienti anarchici, alimentava invece il vivo timore borghese che la sedizione militare dilagasse e arrivasse a Roma. Testimonianze attestano poi che a Fiume vigesse un’atmosfera lontana dalla tradizionale disciplina e dalla inflessibile gerarchia militaresca. Del resto, Fiume fu anche il tentativo di realizzare quella “città degli artisti e per gli artisti; città senza leggi e senza agenti d’ordine; senza cimiteri e senza banche” (p. 21). L’avamposto di un nuovo mondo, insomma: la patria dei senzapatria. Fiume costituì “uno stato di eccezione (…) sospeso tra potere e anti-potere, fra trasgressione della norma e normatività della trasgressione, rappresentò un’occasione esistenziale senza paragoni” (p. 20). Plurali furono le correnti e le personalità attive nella città sul golfo del Quarnaro – fra loro assai divergenti, eppure convergenti nel condiviso progetto della “Città di Vita” (secondo la celebre definizione dello stesso D’Annunzio). Il volume di Rossi è, quindi, una sfida a togliere la pesante, unilaterale cappa della fascistizzazione del mito fiumano per provare a riscoprire esistenze autenticamente consacrate alla libertà: adesioni individuali improntate al sovversivismo che negli anni successivi, con coerenza, proseguirono nell’azione antifascista.
Fonte ampiamente usata da Rossi è il giornale “La Testa di Ferro”, periodico che ospitò interventi degli orientamenti più radicali e iconoclasti del Fiumanesimo. Oltre che di esponenti di anticonformismo intellettuale, le pagine de “La Testa di Ferro” accolsero il significativo contributo anche di alcuni noti anarchici individualisti. Emblematica è la polemica con i futuristi marinettiani sostenitori di posizioni militariste e patriottiche, diametralmente opposte al programma anarchico, con il quale eppure si poteva riconoscere un comun denominatore ribellistico e in cui si intravide anche una precaria sintonia nell’intento di distruggere l’ordine vigente.
È noto: gli echi dell’occupazione di Fiume, un territorio di appena 21 km quadrati ma con una posizione nell’Adriatico di assoluta rilevanza strategica, “uno spazio, fra terra e mare, oggetto di secolari contese” (p. 10), coinvolsero un’area assai più ampia. E benché l’impresa di Fiume si collochi cronologicamente dal 12 settembre 1919 al 31 dicembre 1920, i suoi prodromi e le sue ripercussioni si distendono lungo un arco temporale ben più esteso. Innumerevoli formule e contrapposti paradigmi interpretativi hanno cercato e cercano di definire l’esperienza, tumultuosa e polifonica, di quei neanche sedici mesi. Il volume di Rossi prova ad offrire nuovi angoli visuali, per restituire alla storia la sua complessità contraddittoria. Per ritrovare, al di là di ferree rigidità definitorie, le ombre proprie delle molteplici pieghe del reale, le sfumature uniche delle singole vicende individuali.