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La strage di Stato. L’imperialismo e il movimento anarchico.

La strage di Stato. L’imperialismo e il movimento anarchico.

Il ricordo della strage di stato (Milano, 12 dicembre 1969) tende a limitarsi al ricordo delle vicende politiche e personali dei compagni ingiustamente perseguitati, che hanno lasciato nelle carceri lunghi anni della loro vita o che sono stati assassinati dai servi dello stato, come Giuseppe Pinelli. Queste brevi note vorrebbero invece porre alcune questioni di fondo e, se possibile, ribaltare alcuni luoghi comuni sul movimento anarchico. Credo che ora abbiamo gli elementi per approfondire il ruolo del movimento anarchico nella società del tempo.

Una domanda che dobbiamo porci è senza dubbio perché l’Italia sia divenuta uno dei centri, sicuramente il più importante in Europa, della restaurazione guidata dall’imperialismo angloamericano.

Legare la strage di stato alla crescita del movimento studentesco e delle lotte operaie nel 1968-1969 e legare l’attacco al movimento anarchico alla facilità di infiltrazione al suo interno sono spiegazioni comode che lasciano in ombra sia problemi strutturali dell’imperialismo, sia il reale ruolo svolto a livello internazionale dalle varie componenti del movimento anarchico nelle lotte antimperialiste, dalla rivoluzione algerina a quella cubana.

Possiamo prendere come punto di partenza della strategia della tensione la scissione del Partito Socialista del luglio 1969, quando il gruppo socialdemocratico, confluito nel PSI nel 1966, decise di staccarsene nuovamente. Oppure il convegno all’hotel Parco dei Principi, organizzato dall’istituto di studi militari “Alberto Pollio”, animato da giornalisti fascisti, e a cui parteciparono esponenti dei vertici militari e dei servizi segreti. In tale convegno Guido Giannettini espose la concezione della guerra rivoluzionaria, dottrina elaborata pochi anni prima dallo stato maggiore francese e adottata e applicata successivamente dai vari governi della Nato.

È bene ricordare che Guido Giannettini, pubblicista neofascista, sarà arruolato nel servizio segreto militare e sarà coinvolto nelle stragi e nei tentativi di eversione dei vent’anni successivi.

La strage di stato e più in generale la strategia della tensione si inquadrano nell’intervento del governo USA nella politica italiana, a partire dalla transizione dalla monarchia alla repubblica. Successivamente, negli anni ‘50 del secolo scorso, gli Stati Uniti organizzano un piano di operazioni psicologiche denominato Demagnetize e poi, nel 1956, estendono all’Italia l’organizzazione paramilitare segreta Stay-behind, creando una struttura denominata Gladio.

Gladio arruolò vecchi arnesi della Repubblica Sociale, giovani neofascisti e partigiani anticomunisti, fu dotata di depositi di armi ed esplosivi, a cui attinsero a piene mani gli esecutori delle stragi. Secondo autorevoli storici, negli anni ’50 e ’60 venne messo in campo dalla CIA il più oneroso piano di intervento “coperto” destinato ad orientare le istituzioni rappresentative in un regime democratico occidentale.

Quanto esposto finora, però, ci dice che l’Italia è stata al centro dell’interesse dell’imperialismo angloamericano, ma non ci dice ancora perché.

La ragione principale è sicuramente la posizione strategica dell’Italia al centro del Mediterraneo; un’altra ragione, poco studiata, è il ruolo tradizionale del Papato che ha contato sulle potenze straniere per contrastare un forte potere politico in Italia; un’ulteriore ragione da non sottovalutare può essere il peso del movimento anarchico nella politica italiana e all’interno del movimento anarchico internazionale nel suo complesso.

La narrazione consolidata di un movimento anarchico sclerotizzato, composto da vecchi militanti estranei allo scontro sociale che si svolgeva in quegli anni, debole sul piano organizzativo, tanto da essere permeabile alle infiltrazioni e alle provocazioni, narrazione tramandata dalle forze della sinistra del tempo e periodicamente riproposta da storici di ispirazione marxista, è smentita dalle ricerche sull’anarchismo in Italia, sia quelle legate agli albori della contestazione giovanile (provos, beatniks etc.), sia quelle più specifiche che si occupano del ruolo svolto dalle organizzazioni giovanili anarchiche.

Un quadro del movimento anarchico internazionale del tempo ci viene fornita dalla relazione presentata da Gino Cerrito al convegno “Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo”, organizzato a Torino dalla Fondazione Einaudi dal 5 al 7 dicembre 1969, alla vigilia della strage di Stato.

Gino Cerrito (Messina 1922 – Firenze 1982) è stato uno dei principali storici del movimento anarchico, impegnato attivamente nella Federazione Anarchica Italiana.

In questa relazione, dal titolo “Il movimento anarchico internazionale nella sua struttura attuale”, Cerrito sostiene che: “Gli anni 1960, pur se caratterizzati da una pronunciata tendenza verso lo Stato burocratico centralizzato, accentuano le spinte decentralizzatrici relegate ai margini della società per oltre mezzo secolo. La stessa grande industria è trascinata verso la decentralizzazione dalle necessità dell’economia di mercato. Senza perdere nessuna delle sue caratteristiche, essa è obbligata a creare succursali periferiche, ricche di quelle autonomie amministrative e funzionali che contrastano con i princìpi classici dell’imperialismo capitalista.”

Si aprono così nuovi spazi all’iniziativa del movimento anarchico, al quale però vengono anche posti nuovi interrogativi dall’irrompere di una nuova gioventù libertaria, che non contesta più solo “la precarietà dei patti associativi e perciò la carenza di un’organizzazione solidamente strutturata; ma l’ideologismo dei vecchi militanti, il conflitto evidente fra la teoria e la pratica, l’idea che l’organizzazione assommi in sé ogni virtù e le particolari chiusure immobilistiche da essa derivanti.”

Cerrito individua nel dibattito in corso al tempo nel movimento anarchico in America Latina sulla partecipazione alla guerriglia un punto di demarcazione che si estende a tutto il movimento anarchico internazionale.

Nella relazione vengono individuati diversi filoni: il primo persegue una politica di pratica azione rivoluzionaria, che cerchi di realizzare oggi quanto è possibile, senza rinunciare a ciò che è conseguibile in seguito alla progressiva trasformazione educativo-rivoluzionaria delle masse. Questo filone ritiene che il movimento debba essere sensibile alle sollecitazioni della realtà, da cui deve trarre alimento per il suo rinnovamento critico. A questo indirizzo sono riconducibili la Federación Ibérica de Juventudes Libertarias, l’Anarchist Black Cross e l’Organisation révolutionnaire anarchiste (O.R.A.) francese, sia pure in contrasto fra loro sul terreno delle alleanze. Un altro filone invece si orienta invece per lo scioglimento delle tradizionali federazioni e per la ricostituzione successiva e spontanea di gruppi che provvedano a riesaminare e a riformulare i princìpi stessi che stanno alla base dell’anarchismo. La Federazione Anarchica Italiana aveva da poco deciso insieme alla F.A.G.I. (Federazione Giovanile Anarchica Italiana), di riunirsi a breve in congresso per passare all’analisi e alla definizione della funzione del movimento, prescindendo da ogni pregiudizio ideologico e organizzativo. Secondo Cerrito, gli effetti di quest’operazione di dissoluzione del movimento anarchico tradizionale sarebbero stati però compromessi da istanze e giustificazioni confuse, frutto di due diverse teorie le quali dividevano questo settore. La prima tendenza sosteneva che il proletariato prende coscienza di classe nella misura in cui si organizza da sé in senso libertario; compito del movimento anarchico sarebbe perciò di suscitare quest’organizzazione inserendosi in essa ed evitando ogni divisione di teoria e pratica, di preparazione intellettuale e di maturazione reale, di struttura e di sovrastruttura. I sostenitori della seconda tendenza, condividendo le teorie situazioniste, consideravano ogni tipo di organizzazione come manifestazione sovrastrutturale e perciò autoritaria e affermavano la necessità della fusione violenta e individuale del rivoluzionario nel movimento reale. Non si tratterebbe quindi di ricostruzione del movimento ma di sua distruzione.

La relazione di Cerrito mette dunque in evidenza il dibattito interno al movimento anarchico e al tempo stesso segnala come l’anarchismo fosse tornato ad essere polo d’attrazione per ampi settori giovanili, studenteschi ed operai. Una situazione che poneva in luce come il movimento anarchico rappresentasse un elemento di pericolosità per il mantenimento dell’ordinamento socioeconomico internazionale.

Ad esempio, il dibattito all’interno del movimento anarchico in America Latina sulla guerriglia non sarebbe possibile senza una partecipazione in essa di settori del movimento anarchico, basti pensare al coinvolgimento dell’anarchismo uruguaiano nell’esperienza dei tupamaros.

Di fronte al risvegliarsi delle masse giovanili, di fronte alle esperienze rivoluzionarie in ogni parte del mondo, i partiti della sinistra spesso assunsero atteggiamenti di sospetto se non di aperto contrasto, basti pensare all’atteggiamento della sinistra parlamentare francese di fronte alla rivoluzione algerina. Al contrario, negli anni ‘50, l’appoggio del movimento anarchico alle rivoluzioni in corso, a quella algerina e a quella cubana in particolare, fu tutt’altro che sporadico o individuale.

Pur con un ruolo minoritario, il movimento anarchico fu l’unica componente del movimento operaio che appoggiò apertamente le lotte di liberazione, criticandone al contempo gli sbocchi autoritari.

L’applicazione in Francia della dottrina della guerra rivoluzionaria che, dopo l’esperienza algerina, sarà applicata anche nell’Esagono e porterà al colpo di Stato dei De Gaulle, aveva l’obiettivo di colpire quelle componenti del movimento anarchico che, come la Fédération Communiste Libertaire, si erano opposte con ogni mezzo, legale e illegale, alla guerra d’Algeria. Non è un caso quindi che, nel momento in cui l’Italia si confermava centro dell’anarchismo mondiale, grazie alla credibilità che la Federazione Anarchica Italiana aveva a livello di massa e fra le forze politiche antifasciste, e grazie all’organizzazione del primo congresso dell’Internazionale di Federazioni Anarchiche (Carrara 1968), l’imperialismo decidesse di dare il via ad una aggressione senza precedenti.

La strategia della tensione quindi non nasce con il ‘68, non è solo un tentativo di arginare l’onda della contestazione giovanile, della richiesta di una società più giusta e più libera. La successiva periodizzazione, imperfetta come ogni periodizzazione, ci avrebbe fatto sapere che i “trenta anni ruggenti”, successivi alla seconda guerra mondiale, stavano volgendo alla fine. Il sistema monetario e finanziario scricchiolava, i tassi di crescita stavano rallentando e con essi diminuiva la redditività del capitale, il saggio di profitto. L’unica strada possibile era quella di costringere la classe operaia a lavorare di più e ad essere pagata di meno; le classi dominanti, i governi, le istituzioni internazionali dovevano quindi prepararsi ad una stagione di forti contrasti sociali. Per questo i governi cercarono di liberarsi dal controllo degli organi rappresentativi, in varia maniera: colpi di stato e governi autoritari (come quello di Richard Nixon negli USA) erano all’ordine del giorno; la dottrina della guerra rivoluzionaria sarà applicata a piene mani, dall’America Latina all’Indonesia, dalla Germania all’Italia. La battaglia per la verità sull’assassinio di Giuseppe Pinelli, la battaglia per la scarcerazione degli anarchici ingiustamente accusati degli attentati e della strage di Piazza Fontana travalica quindi l’ambito del movimento anarchico e della sua perenne lotta contro questori e magistrati. La scarcerazione di Pietro Valpreda e compagni, e ancora di più quella dei compagni accusati delle bombe del 25 aprile 1969 a Milano è stata una grande vittoria, ottenuta con un impegno capillare di tutto il movimento. Questa vittoria ha pesato sugli equilibri politici italiani per tutti gli anni ‘70 e ha rallentato l’evoluzione autoritaria delle istituzioni, così come il peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari fino alla metà degli anni ‘80.

Tiziano Antonelli

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