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Gli anni in cui ci siamo ripresi il futuro

Gli anni in cui ci siamo ripresi il futuro

Era il 1987, trent’anni fa, e ci stavamo appena di riprendendo dal cosiddetto “riflusso” che aveva chiuso la stagione dei movimenti di lotta degli anni Settanta con un lungo letargo che sembrava destinare all’infinito chi era nato troppo tardi per farsi il 68 e anche il 77 al grigiore, al conformismo o in alternativa all’eroina e all’allegria di plastica delle Febbri Del Sabato Sera e delle Milano Da Bere. Il movimento dell’85 aveva riportato sulle strade i movimenti studenteschi dopo anni in cui nelle scuole e nelle università non c’erano più scioperi ed occupazioni e le assemblee erano solo riti vuoti, la mobilitazione antinucleare seguita all’incidente di Chernobyl aveva costretto il governi italiano a fermare il suo programma atomico, forse era vero che il futuro non era ancora scritto come avevamo letto sulla copertina di Combat Rock dei Clash. Negli anni più duri a tenere accesa la fiaccola della rivolta era stato proprio il movimento punk (per cui, peraltro, “Punk Is Crass Not Clash”, accusati d’essersi venduti alle multinazionali del disco) con la sua musica disturbante, i suoi raduni di creature aliene e le sue fanzine che avrebbero la strada alla rinascita delle controculture, dall’hip mhop al reggae alla psichedelia che nello spirito del Do It Yourself davano vita a pubblicazioni, autoproduzioni musicali etc.
Era il 1987 e nelle librerie più attente comparve Decoder, “rivista internazionale underground” che non era una fanzine ma una vera e propria rivista ben stampata e impaginata “da libreria” (che infatti si trovava anche alle Feltrinelli) che assomigliava però tantissimo a una fanzine. Dentro c’erano articoli sui movimenti sotterranei di ogni angolo del Pianeta, dagli occupanti di case del Nord Europa ai travellers inglesi. dal risveglio della cultura psichedelica alla nascente scena alternativa oltre la Cortina Di Ferro, ma c’era anche spazio per i fumetti underground americani e inglesi come per la memoria storica dei movimenti sovversivi e per approfondite analisi sulle trasformazioni sociali ed economiche che avrebbe prodotto la rivoluzione informatica in arrivo (e di cui anche i più svegli allora sentivano appena l’odore). L’uscita di Decoder fu, per chi allora se ne accorse, una piccola bomba culturale che trasformò immediatamente la rivista in un vero e proprio oggetto di culto per migliaia di lettori che la leggevano e pensavano che i tempi stavano cambiando. E i tempi, per la cronaca, cambiarono davvero e prima l’ondata di occupazioni che diede inizio alla stagione dei Centri Sociali e poi il movimento della Pantera che attraversò le università italiane all’inizio del 1990 segnarono la fine del lungo letargo delle lotte sociali.
Decoder era fatta di un gruppo di giovani milanesi che si trovavano alla Calusca di Primo Maroni (una vera propria e oasi delle culture alternative negli anni tristi del Riflusso) e che provenivano da esperienze molto diverse tra di loro, chi dal punk chi dalla scena neopsichedelica chi dall’intellettualità accademica, ma erano accomunati dall’urgenza di dare voce a visioni non omologate. Tra i redattori di Decoder (e poi di Shake Edizioni Underground che ha allargato l’esperienza di Decoder alla produzione di libri e di altre riviste come Fika Futura e Psychioattiva) c’era Marco Philopat. Philopat è probabilmente lo scrittore italiano che, più di chiunque altro, ha dedicato la sua opera ai movimenti sociali degli ultimi decenni e alle storie di chi li ha attraversati. Storico esponente del Virus (che all’interno delle case occupate di Via Del Correggio a Milano fu nei primi anni Ottanta uno dei luoghi fondamentali per la diffusione del movimento punk in Italia insieme alla Giungla di Bari e al Victor Charlie di Pisa) e poi dell’ala più libertaria dei centri sociali milanesi, Philopat ha da sempre accompagnato l’amore per la lettura e la scrittura alla passione politica e all’attivismo sociale, da quando pubblicava articoli e poesie su punkzine ciclostilate o al massimo fotocopiate, ma sempre con dei nomi bellissimi. Ha continuato a scrivere appunto su Decoder ed è arrivato al romanzo con Costretti A Sanguinare, che lui definisce un “racconto urlato” sul punk italiano in cui attraverso le proprie esperienze da quand’era un giovanissimo punk che cercava i suoi simili davanti ai negozi di dischi fino allo sgombero del Virus ha testimoniato l’avventura di una minoranza piccolissima, ma determinante per riportare la ribellione sulle strade in un periodo grigissimo. Dopo aver scritto altri due romanzi dedicati ai fratelli maggiori degli Anni Sessanta e Settanta(La Banda Bellini e I Viaggi Di Mel) e dopo aver curato un volume di testimonianze sul punk italiano (Lumi di Punk), Philopat – che nel frattempo ha anche fondato la casa editroce Agenzia X – torna a raccontare le sue avventure e quelle del mondo intorno in I Pirati dei Navigli (edizioni Bompiani), che inizia dopo lo sgombero del Virus, lì dove era finito Costretti A Sanguinare, e finisce con la caduta del Muro di Berlino e il Movimento della Pantera. Ambientato negli banni fatali del risveglio dei movimenti tra il 1985 e la fine del 1989, I Pirati Dei Navigli tradisce fin dal titolo uno spirito da romanzo di avventura. Philopat racconta la solitudine dopo lo sgombero del Virus quando oltre che senza spazio si ritrova anche senza casa, la necessità di cercare nuovi incontri, l’annusarsi con diffidenza tra persone che appartengono a età o a tribù culturali differenti per poi diventare amici per la vita, il trovare una propria dimensione in un mondo ostile. Spesso sono storie durissime e Philopat non nasconde mai la sua tristezza e la sua depressione, ma non trova mai il tempo di lamentarsi: ci racconta degli amici che conosce, delle loro famiglie e del loro ambiente sociale con storie che smentiscono i facili luoghi comuni che descrivono i centri sociali come club per figli di papà. Ci racconta la difficoltà di vivere e i mille lavori ultraprecari che è costretto a fare per racimolare due soldi, ma soprattutto ci racconta la gioia di fare le cose insieme, di occupare un posto abbandonato, di organizzare un concerto o una manifestazione, di fare un’azione contro una multinazionale assassina, di dare vita a una rivista come Decoder, di rovinare la festa al Sindaco Piliteri nel giorno della riapertura dei Navigli. C’è la rievocazione della sua contestazione solitaria ai Cccp che suonavano al Leoncavallo e quello della nascita del Centro Sociale Conchetta ancora oggi attivissimo nel Quartiere Ticinese. Chi è in cerca di ricordi può ritrovarci avvenimento avvenimenti come la Grande Nevicata del 1985 che ricoprì per giorni di una coltre bianca buona parte del Centro-Nord e anche quello di gruppi musicali dimenticati ma veramente meritevoli di riscoperta come i formidabili neopsichedelici Peter Sellers And The Hollywood Party. C’è la storia di come un giovane punk diventa un ascoltatore di Jimi Hendrix e Jefferson Airplane e ci sono la sua amicizia con Primo Moroni e le acute e attualissime riflessioni di questo sulle trasformazioni in atto allora e che oggi continuano a segnare il nostro presente. I Pirati Dei Navigli è un libro che certamente potrebbe essere utile per uno storico perché parla di un periodo su cui ci sono poche testimonianze, ma anche per chi voglia capire quando e come è iniziato quello che sta succedendo ora. E’, soprattutto un romanzo d’avventura come lo erano i romanzi di Jane Austen, la scrittrice inglese di inizio Ottocento (ma lontanissima dai canoni della letteratura romantica, da quella sentimentale come da quella “gotica”) che ultimamente è al centro di una massiccia riscoperta (al punto di aver subito persino l’onta di veder ristampata da quell’oscena gazzetta del perbenismo che è La Repubblica la sua opera in formato-edicola). Walter Scott (l’autore di Ivanhor, considerato uno dei padri della letteratura avventurosa), che all’epoca era uno dei suoi pochi fan, si rammaricava di non essere riuscito a descrivere tra battaglie e duelli avventure altrettanto appassionanti come quelle che vivono le protagoniste di Jane Austen quando devono compilare gli inviti per un tè o devono fare bella figura a un ballo avendo solo vestiti rammendati a disposizione. Sono le avventure della vita ad essere davvero importanti ed è con questo spirito che Philopat ha scritto I Pirati Dei Navigli, un libro commovente e prezioso che nelle mani giuste potrebbe trasformarsi in un manuale per giovani ribelli pronti ad arrabattarsi in ogni mondo per non arrendersi al mondo.
robertino
PS a proposito di Jane Austen… Dato che noi viviamo nell’Epoca della Crisi Permanente e sono anni che in nome dell’economia, cioè dei guadagni e dei risparmi dei ricchi, ci vengono imposti sacrifici e ci viene assicurato che i nostri desideri, le nostre esigenze e anche la nostra stanchezza non contano niente mentre le nostre vite vengono continuamente umiliate e offese (è per questo che vengono accolte con fervore cose tipo i licenziamenti facili per gli assenteisti o gli arresti domiciliari per i lavoratori ammalati, come se la fatica potesse essere un valore positivo anche per chi non è un capo o un padrone), c’è soltanto da esser contenti che in tante e tanti stiano tornando a leggere i libri di una scrittrice che dice, invece, che la vita delle persone è importantissima.


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