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Disagio abitativo e case vuote

Disagio abitativo e case vuote

La nuova riforma del Catasto 2015 Renzi, come previsto dalla Legge Delega Fiscale, prevede una revisione del valore delle rendite catastali dei fabbricati, il valore di un immobile sarà dato dalla rendita catastale espressa in metri quadrati, non più sul numero dei vani. Il valore patrimoniale si baserà sui valori di mercato al metro quadrato, al quale verranno applicati dei coefficienti che terranno conto delle caratteristiche edilizie dell’immobile, dell’anno di costruzione, della sua ubicazione. Quest’operazione di perequazione (indica in urbanistica, ma anche per le pensioni, un atto o un’azione che ha lo scopo di eliminare le discriminazioni o sanare eventuali svantaggi subiti) non elimina il male nazionale vero.

I dati Istat del censimento 2011, mostrano che, a livello nazionale, esiste un patrimonio inutilizzato di svariati milioni di stanze e di quasi 20 miliardi di metri cubi per volumetrie. Gli appartamenti inutilizzati sono più di 7 milioni, ipotizzando un’ampiezza media di 2,8 stanze per appartamento. I dati conclusivi forniti oggi dall’ISTAT, riferiti al censimento ultimo sono clamorosi: oggi il numero degli edifici presenti sul territorio nazionale è pari a circa 14,5 milioni, per poco più di 31 milioni di appartamenti residenziali. In attesa di avere il dato netto circa le volumetrie e le stanze, appare accettabile la stima-assai prudenziale- di OLT di almeno di 18 miliardi di mc edificati, di cui 15,5 mld (84,3%) di metri cubi residenziali; laddove il fabbisogno nazionale aggregato è di 6,2 mld di mc (siamo 62 milioni di persone, includendo una stima molto largheggiante gli immigrati non censiti). Le Regioni meridionali esasperano il quadro nazionale: la Campania presenta circa 1 milione di edifici, di cui 65.000 vuoti e inutilizzati per una popolazione di 5.760.000 abitanti, la Puglia rispettivamente 1.100.000 e 54.200 per 4 milioni ca di abitanti, la Basilicata 117.000 e 11.700 per 580.000 abitanti,la Sicilia 1722000 e 132000 per circa 5 milioni di abitanti, la Calabria 750000 e 90000 (1.250.000 e 420.000 alloggi ) per poco meno di 2 milioni di abitanti (il 40% del patrimonio residenziale è vuoto e in molti paesi dell’interno ormai esistono più case che abitanti. La Sardegna presenta “solo” 570.000 edifici, di cui 70.000 vuoti o inutilizzati, per 1.640.000 abitanti. Il dato relativo agli appartamenti vuoti, o scarsamente utilizzati, è strabiliante: quasi un alloggio su quattro è vuoto, con una ”punta” presentata ancora dalla Calabria con una quota pari al 40%; seguono Sicilia e Sardegna con circa il 30% del patrimonio abitativo inutilizzato, ancora in Piemonte 1 alloggio su 4 è vuoto, laddove in Veneto e Toscana il rapporto è di uno su cinque circa poco meno del Lazio(22%) e poco più della Lombardia(16%). Le proiezioni parziali della città, presentano quote di vani vuoti superiori a centomila Torino, Milano e Roma, poco meno a Napoli, decine di migliaia nelle città di Venezia , Padova, Bologna, Firenze e Genova. In diverse città del sud il numero dei vani costruiti supera quello degli abitanti (ancora in Calabria, a Reggio, “il top” con 40mila stanze in più dei residenti. Solo fino a venti anni fa il dato forse più significativo era il rapporto abitanti/stanze; con il censimento 2001, per l’emergere della “cascata di case”, oltre alla rilevanza di aspetti più sociologici, quale la tendenziale forte crescita delle famiglie mononucleari, è apparso consistente parlare in termini di abitante/appartamento. Oggi diventa significativo e iconico il rapporto abitante/edificio: in Piemonte poco più di 3 abitanti per edificio, in Lombardia poco meno di 5, in Toscana poco più di 4, nel Lazio circa 5. Nelle regioni meridionali addirittura meno di 3 abitanti per edificio in Sardegna e in Sicilia, 2,5 in Calabria, 5 in Campania, 3,2 in Basilicata, poco meno di 4 in Puglia, che è in linea con il dato medio nazionale.

Viene da chiedersi il perché nel nostro paese si continui a costruire, a dispetto del declino demografico (la quota di immigrazione è relativa) e socioeconomico. La spiegazione è stata fornita dagli studiosi di marketing immobiliare: da tempo non si costruisce più per la domanda sociale (che infatti, nonostante tutto il patrimonio vuoto citato, resta in parte inevasa): la rendita fondiaria, poi immobiliare, si è trasformata sempre più in finanziaria. I ”nuovi vani” dovevano costituire le “basi concrete” per ”costruzioni virtuali” di fondi d’investimento o risparmio gestito. A parte la quota di edificato ”lavanderia”, ovvero finalizzata al riciclaggio di capitale illegale, facilmente intrecciata al primo. I dati riferiti alla Calabria esasperano il quadro di sprechi e costi ambientali, già clamoroso a livello nazionale. La regione presenta circa il 40% di alloggi vuoti per 90 mila edifici inutilizzati e quasi un milione di stanze vuote. Gli edifici totali sono circa 750 mila per una volumetria stimata che sfiora il miliardo e mezzo di metri cubi, per meno di 2 milioni di persone, compresi neonati e immigrati senza documenti. Il suolo consumato si avvicina al 20% del totale. In molti piccoli comuni costieri oltre l’ottanta per cento del costruito è inutilizzato per almeno 10 mesi all’anno, mentre nei comuni interni le case superano di gran lunga gli abitanti. Sono le cifre di uno spreco economico abnorme, ma anche di un disastro urbanistico, paesaggistico e ambientale che richiede urgenti interventi di blocco. L’inutile (non per speculazione e criminalità) proliferazione di case sempre più vuote e cemento, oltre a offendere paesaggi notevoli, ha colpito componenti ambientali strutturanti per il territorio; per esempio le fiumare, elemento di interrelazione tra i quattro grandi massicci interni (oggi fortunatamente Parchi) e le fasce costiere. Il dissesto è tale che ad ogni temporale appena più intenso si rischia il disastro. Oltre agli aspetti di difesa ambientale va costruita una grande strategia di recupero urbanistico e paesaggistico degli insediamenti che preveda anche la demolizione delle non poche situazioni non risanabili, la messa in sicurezza e la riqualificazione dell’edificato. Le dimensioni clamorose del patrimonio inutilizzato richiamano un “nuovo piano casa ecologico”, che non significano nuove costruzioni, ma riutilizzo e accesso al patrimonio esistente, soprattutto pubblico, ma anche privato. Per quest’ultimo comparto vanno previsti protocolli speciali e convenzioni mirate che favoriscano –da parte del privato- la messa sul mercato sociale a fitti calmierati o la cessione in comodato all’autorità territoriale competente. Appare paradossale infatti che, a fronte di un patrimonio inutilizzato di dimensioni clamorose, sussistano ancora svariate situazioni di disagio abitativo, che riguardano le fasce in “disagio sociale” e molte situazioni di immigrazione. Ma dell’accesso alla casa ne parleremo in un prossimo numero.

Orestes

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