Sabbia nel motore della guerra! Corteo antimilitarista a Torino il 29 novembre

C’è una doppia morale che domina l’organizzazione politica delle società democratiche. Nei paesi dove vigono regimi autoritari la violenza legalizzata dello Stato si dispiega con minore ipocrisia.
In Italia chi uccide viene considerato un criminale ed è perseguito dalla legge, ma quando l’omicidio è compiuto da militari al servizio dello Stato, il loro agire diventa azione onorevole, giusta, perché fatta in nome della patria, della nazione, della sicurezza, della ricchezza, della sicurezza dei confini.
Le divise da parata, le medaglie, i vessilli, trasformano il mestiere delle armi in eroismo, i massacri diventano vittorie. Queste maschere coprono i tanti orrori di cui il governo e le forze armate italiane sono direttamente responsabili.
Il patriottismo, la triade “dio, patria, famiglia”, tanto cara al governo Meloni, non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro presente, ma la rappresentazione sempre attuale dell’attitudine imperialista e neocoloniale dello stato italiano.
Negli ultimi dieci anni la propaganda nazionalista, l’infiltrazione sempre più aggressiva dei militari nelle scuole, è diventata normale, così come l’alternanza scuola caserma.
Nelle scuole, bambine, bambini, ragazze e ragazzi, vengono sottoposti ad una martellante campagna di arruolamento, ad una sempre più marcata propaganda nazionalista.
Nel nostro paese, sebbene meno forte che in passato, c’è un forte afflato pacifista, un ampio rifiuto della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, un netto rigetto verso gli orrori che segnano ogni guerra, dove il prezzo più alto lo pagano i civili. Eppure la contestazione diretta del militarismo è ancora retaggio di minoranze.
Gli ultimi tre anni sono stati segnati da guerre di inaudita ferocia dal Sudan all’Ucraina, da Gaza al Mali, dal Myanmar al Congo, dalla Siria al Niger senza che si sviluppasse un’opposizione antimilitarista radicale. Il potente moto di indignazione per il genocidio a Gaza, che ha riempito le strade dando vita a forti iniziative di sciopero ed azione diretta, non è stato sinora capace di andare oltre quel singolo conflitto mettendo in moto le dinamiche necessarie a inceppare la macchina che rende possibili le tante guerre che insanguinano il pianeta, specie dove c’è una diretta e forte responsabilità del nostro paese. Purtroppo l’eredità di certa sinistra, che negli ultimi decenni del secolo scorso chiamava pacifismo il sostegno ad uno dei fronti imperialisti che si contendevano il pianeta, è dura a morire e, pur in altre forme, continua a riproporsi, facendo leva su una concezione distorta dei processi decoloniali.
I tempi duri che siamo forzati a vivere sono tuttavia uno sprone a intensificare la lotta al militarismo.
L’Italia è in guerra. Da molti anni.
Mentre l’Europa – e il mondo – fanno una precipitosa corsa al riarmo è sempre più necessario mettersi di mezzo, inceppare gli ingranaggi, lottare contro l’industria bellica e il militarismo. I paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra in Ucraina e dal conseguente aumento della spesa energetica, hanno reagito al mutamento nella politica estera statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose escalation belliche.
Lo scenario della guerra in Ucraina diventa sempre più complesso con continue accelerazioni e virate improvvise. La metafora non è casuale perché è proprio nei cieli russi e ucraini che si sta giocando una partita del tutto particolare. Trump, affine politicamente a Putin, ma, soprattutto, desideroso di indebolire il legame tra Mosca e Pechino, prova a giocare la carta del grande “pacificatore”. L’asse franco inglese ha dato chiari segni di non gradire le mosse trumpiane e di puntare sulla prosecuzione della guerra. Secondo gli analisti militari di “Analisi Difesa”, una testata non certo sospettabile di tendenze pacifiste, gli attacchi ucraini di fine ottobre potrebbero essere stati effettuati direttamente da Mirage francesi. Un segnale forte della volontà anglo-francese di proseguire la guerra.
Il governo italiano, che fa la melina sull’invio di truppe, si è schierato nella guerra in Ucraina inviando armi e dispiegando 3.500 militari nelle missioni in ambito NATO nell’est europeo e sul Mar Nero. L’Italia è impegnata in ben 39 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI.
L’Italia è direttamente responsabile del genocidio in Sudan. Nel 2023 ha rifornito di armi e ha addestrato a Latina le truppe delle RSF al comando di Mohamed Dagalo, uno dei due generali che hanno scatenato la guerra per il controllo del paese. In questi giorni, dopo la conquista di Al Fasher, l’ultima grande città del Darfur, è in corso l’ultima mattanza, l’unica finita nel cono di luce dei media. La guerra genocida in Sudan dura da tre anni, con centinaia di migliaia di morti, milioni di affamati, 12miioni 500mila profughi. L’ONU, altra organizzazione non sospettabile di tentazioni antimilitariste, all’inizio del 2025 ha dichiarato che in Sudan è in corso la più grave crisi umanitaria del pianeta.
L’Italia è diretta responsabile del genocidio migrante. La guerra ai migranti, la guerra ai poveri attuata dai governi della Fortezza Europa con la complicità ben pagata dei macellai libici, vede i governi italiani in prima fila da molti anni. L’Italia ha addestrato la guardia costiera libica e fornisce i pattugliatori che sparano contro le barche in viaggio verso l’Europa. Il Mare di Mezzo è divenuto un enorme sudario che ha inghiottito tante vite di gente in eccesso.
I potenti che si contendono risorse e potere, sono indifferenti alla distruzione di città, alla contaminazione dell’ambiente, al futuro negato di tanta parte di chi vive sul pianeta.
Le macerie sono solo buoni affari per un capitalismo vorace e distruttivo che ha una sola logica, quella del profitto ad ogni costo. Uomini, donne, bambine e bambini sono pedine sacrificabili in un gioco terribile, che non ha altro limite se non quello imposto dalla forza di oppress e sfruttat, che si ribellano ad un ordine del mondo intollerabile. Il prezzo delle guerre lo pagano le persone massacrate ed affamate in ogni angolo del pianeta. Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell’inflazione, tra salari e pensioni da fame e fitti e bollette in costante aumento.
La guerra è anche interna. Le leggi speciali approvate in giugno infliggono colpi sempre più forti a chi lotta nei CPR e nelle carceri, a chi si batte contro gli sfratti, a chi occupa, a chi fa scritte, a chi blocca una strada o una ferrovia, a chi sostiene e diffonde idee sovversive.
Il governo risponde alla povertà trattando le questioni sociali in termini di ordine pubblico: i militari dell’operazione “strade sicure” li trovate nelle periferie povere, nei CPR, nelle stazioni, sui confini.
Vogliono farci credere che non possiamo fare nulla per contrastare le guerre. Chi promuove, sostiene ed alimenta le guerre ci vorrebbe impotenti, passivi, inermi. Non lo siamo. Ogni volta che un militare entra in una scuola possiamo metterci di mezzo, quando sta per aprire una fabbrica d’armi possiamo metterci di mezzo, quando decidono di fare esercitazioni vicino alle nostre case possiamo metterci di mezzo. Le guerre cominciano da qui.
Occorre avere uno sguardo lucido. Non basta rescindere un contratto, fermare un pezzo di logistica, rallentare un trasporto. L’industria bellica è uno dei motori di tutte le guerre. L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, contribuendo direttamente alle guerre in ogni dove. Queste armi sono prodotte a due passi dalle nostre case. Occorre chiudere e riconvertire tutte le fabbriche d’armi. Occorre impedirne il commercio.
Ottimi motivi per partecipare alle iniziative contro il mercato delle armi, l’aerospace ad defense meetings, il mercato delle armi che si terrà a Torino all’inizio di dicembre.
Via i mercanti d’armi!

Sabato 29 novembre corteo antimilitarista ore 14,30 corso Giulio Cesare angolo via Andreis
Martedì 2 dicembre blocchiamo i mercanti armi all’Oval Lingotto in via Matté Trucco 70

m.m.

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