Paul Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, Nova Delphi Libri. 400 pp. Euro 15.
Arriva con 24 anni di ritardo – grazie alla traduzione del curatore Antonio Senta – l’edizione italiana di un testo fondamentale per la comprensione della tragedia di Sacco e Vanzetti. Un testo che si distingue da tutti gli altri studi che si sono occupati di queste vicende perché vuole non tanto ricercare la verità giudiziaria quanto tentare di ricostruire il background (come recita il titolo inglese), cioè il movimento che ruota intorno ai due anarchici.
L’autore – morto nel 2006 e conosciuto dai lettori del nostro paese per gli studi sulla storia della rivoluzione e degli anarchici russi1 – si è occupato molto anche della storia dell’anarchismo negli Stati Uniti raccogliendo numerose testimonianze orali dei protagonisti soprattutto per il periodo relativo alla prima metà del secolo passato. Ed è proprio valendosi di tale miniera di informazioni orali, oltre naturalmente delle fonti classiche per eccellenza cioè gli archivi dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia, che Avrich ricostruisce minuziosamente l’azione degli anarchici italoamericani legati a Luigi Galleani e al suo giornale Cronaca Sovversiva, area politica in cui erano profondamente inseriti Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.
Il dato di fondo che ne esce è che in quegli anni (che vanno dalla prima guerra mondiale alla fine degli anni Venti) in America è in corso una guerra senza quartiere condotta dagli anarchici contro le forze della reazione, guerra portata avanti principalmente attraverso l’uso di bombe recapitate in più riprese nelle abitazioni di grandi capitalisti, uomini politici, magistrati e dirigenti di polizia.
L’autore ricostruisce correttamente la genesi di questa escalation violenta che è tutta dovuta alla repressione feroce e alle persecuzioni cui gli anarchici e i lavoratori in sciopero furono oggetto.
Nell’aprile del 1914 vi fu quello che passò alla storia come il massacro di Ludlow, campo minerario di proprietà di Rockfeller in Colorado, dove la polizia attaccò l’accampamento degli scioperanti versando benzina sulle tende e appiccando il fuoco per poi sparare con mitragliatrici sui fuggiaschi, tra cui donne e bambini, causando più di 30 morti e un centinaio di feriti. Questo episodio determinò l’esecuzione di un attentato a Rockfeller che costò la vita a tre anarchici per l’esplosione anticipata della bomba, cui seguirono altri attentati con esplosivi. Attentati e scontri armati con poliziotti si susseguono fino al 1917, anno dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, quando buona parte del gruppo galleanista (tra cui Sacco e Vanzetti) espatria in Messico per evitare l’iscrizione obbligatoria nelle liste di arruolamento.
Alla fine della guerra la situazione repressiva si fa ancora più pesante. Sfruttando l’ondata di sentimento patriottico che aveva coinvolto larghi strati della popolazione il governo cercò di stroncare definitivamente il movimento operaio e rivoluzionario, soprattutto quello di origine straniera, in particolare gli anarchici. I giornali misero in atto un’intensa campagna contro il cosiddetto pericolo rosso (che fu definita successivamente red scare, paura dei rossi) al fine di favorire l’attuazione del piano ideato dal procuratore generale Mitchell Palmer di espulsione dei sovversivi stranieri più compromessi. Queste espulsioni verso i paesi d’origine di cui furono vittime numerosi militanti, tra i quali lo stesso Galleani ed Emma Goldman, causarono la giusta reazione degli anarchici che intensificarono la pratica degli attentati.
“Voi non avete dimostrato pietà nei nostri confronti! Noi faremo lo stesso. E deportateci! Noi vi faremo saltare in aria!” scrivono su un volantino in inglese affisso per strada firmato “The american anarchists”.
E in questa lotta contro la spietata repressione trova la morte il giovane libertario romagnolo, editore di Cronaca Sovversiva, Carlo Valdinoci, esplodendo con la sua bomba davanti alla residenza di Palmer, dove viene rinvenuto un nuovo volantino, dal titolo Plain words (Parole chiare) e firmato The anarchist fighters:
“Voi avete provocato lo scontro. Voi ci avete rinchiuso deportato e ucciso. Noi accettiamo la sfida. Il proletariato ha il diritto di proteggersi in quanto la sua stampa è stata soffocata, le bocche imbavagliate, intendiamo parlare per esso con la voce della dinamite”.
Ed è proprio seguendo le tracce di questo stampato – tramite un infiltrato – che l’FBI arriva all’arresto di due tipografi anarchici italiani: Roberto Elia e Andrea Salsedo.
Quest’ultimo – bastonato a sangue – alla fine confessa di aver stampato il volantino e di averlo dato ad altri due anarchici di cui fa il nome. Dopodiché cadrà dal 14° piano degli uffici dell’FBI di Park Row.
Avrich è propenso a credere alla tesi del suicidio, perché – a detta di Elia – dopo la confessione Salsedo non era stato più lo stesso ed era molto turbato. Senza dubbio il fatto di aver parlato, anche se sotto tortura, lo aveva fatto cadere in uno stato di profonda depressione.
La verità sulla sua morte non si saprà mai. Senz’altro si trattò dell’ennesimo omicidio di Stato. Lo stesso Vanzetti scrisse: “Non credo che Salsedo si sia suicidato. Credo che sia stato ucciso dalla polizia federale a New York. Se si è suicidato, è perché è stato indotto a farlo”. L’anarchico era stato trattenuto illegalmente negli uffici dell’FBI per sei settimane.
Vanzetti si occupa personalmente della difesa di Salsedo avvalendosi dell’aiuto di Carlo Tresca che procura un avvocato più affidabile (pare che il precedente si fosse accordato con l’FBI) dal quale si viene a sapere delle rivelazioni di Salsedo all’FBI.
Quando Bartolomeo riferisce l’accaduto al gruppo di Boston viene deciso di far sparire ogni materiale compromettente. Ed è proprio durante questa operazione di spostamento di materiali che lui e Sacco sono arrestati mentre ritornano in tram.
Avrich ipotizza che il materiale in questione non fosse costituito da carta stampata ma da esplosivo.
Sacco e Vanzetti erano innocenti?
Avrich non azzarda ipotesi “le accuse contro di loro non sono ancora dimostrate; d’altra parte non può esservi nemmeno la totale certezza della loro innocenza” e da storico serio espone solo i fatti a sua conoscenza.
I due anarchici sono arrestati per essere andati a prendere da un meccanico un’automobile che era sotto la sorveglianza della polizia per la rapina di South Baintree. L’auto apparteneva a Mario Buda un altro anarchico del loro gruppo che nel 1920, dopo la prima condanna di Vanzetti, sarà autore dell’attentato più cruento della storia degli USA: la bomba a Wall Street che causerà 30 morti.
Probabilmente Sacco e Vanzetti non c’entravano con la rapina ma la stessa avrebbe potuto essere stata realizzata dagli ambienti anarchici e lo stesso Buda avrebbe potuto esserne coinvolto.
È fuor di dubbio che Sacco e Vanzetti erano strettamente legati al milieu anarchico che aveva organizzato gli attentati anche se non vi sono elementi certi circa una loro partecipazione diretta. Erano conosciuti nel loro entourage come due uomini d’azione che non si tiravano indietro. Del resto sono essi stessi ad affermarlo apertamente nel loro “Testamento dei morituri” rivolto a “Compagni, Amici, Lavoratori!”: “Noi vi gridiamo: La salute è in voi!” “Ricordatelo: La salute è in voi!”
La salute è in voi! altro non era che il titolo di un manuale clandestino per la fabbricazione di ordigni esplosivi edito dagli anarchici italiani. Più chiaro di così.
Gli anarchici dovevano essere distrutti, l’FBI – nonostante l’impiego ripetuto di infiltrati e agenti provocatori – non riusciva ad incastrarli quindi tutto l’affaire Sacco e Vanzetti non è stato altro che una vendetta di Stato, orchestrata da giudici e poliziotti. Il processo fu una farsa. Colpendoli per un reato di cui non vi erano prove di un coinvolgimento diretto e al quale – quasi sicuramente – erano estranei, in realtà si voleva dare un colpo mortale a tutto un movimento combattivo che non si riusciva a sconfiggere. L’operazione riuscì in certa misura, i gruppi galleanisti uscirono completamente sfasciati da questa vicenda. La maggior parte dei compagni più attivi, quando non deportata, fu costretta a fuggire in altri paesi.
Comunque, a prescindere da ogni loro responsabilità personale, quello di Sacco e Vanzetti fu senza dubbio un omicidio di Stato: l’assassinio legale di due militanti di un movimento che non si era arreso di fronte alla repressione spietata e che posto di fronte alla scelta tra lo scontro duro o soccombere aveva raccolto la sfida.
Tutto questo non traspare dalle carte processuali per un tacito accordo tra le parti: la difesa per non comprometterli maggiormente agli occhi della giuria e l’accusa per non svelare apertamente all’opinione pubblica che il processo non era per reati comuni ma un processo politico.
Avrich ci ricorda che alle sue stesse conclusioni era giunto anche lo scrittore Upton Sinclair che, attivo nella mobilitazione a sostegno dei due anarchici, dopo l’esecuzione aveva raccolto varie testimonianze dei compagni vicini, materiale da cui era poi uscito il romanzo intitolato Boston. Libro che fu criticato dal giornale anarchico The Road to Freedom per aver offuscato l’immagine dei due martiri.
Sono convinto che la ricerca della verità storica seriamente e coscienziosamente condotta da Avrich non possa assolutamente sminuire agli occhi dei contemporanei i nomi di Nick e Bart, la loro determinazione nel sostenere le idee anarchiche, il coraggio dimostrato di fronte al patibolo, la grande umanità che traspare dai loro scritti. Anzi, sotto questa nuova luce, le loro figure ne escono ancora più elevate. Non erano due sognatori idealisti rinchiusi nella torre d’avorio delle loro utopie ma combattenti determinati (anarchist fighters) pienamente inseriti nella realtà sociale del loro tempo che accettarono senza rimpianti il loro destino consci di essere prede di guerra, di quella guerra contro lo Stato e il capitale in cui avevano sempre combattuto in prima persona.
“Voi avete provocato lo scontro. Voi ci avete rinchiuso deportato e ucciso. Noi accettiamo la sfida”
Tobia Imperato
1 Paul Avrich, Kronštadt 1921, Mondadori, Milano, 1971. Id., a cura di, Gli anarchici nella rivoluzione russa, Edizioni La Salamandra, Milano, 1976. Id., L’altra anima della rivoluzione. Storia del movimento anarchico russo, Edizioni Antistato, Milano, 1978.