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Primi passi della difesa europea

Primi passi della difesa europea

Mi pare opportuno fare il punto su alcuni aspetti dell’antimilitarismo, non sempre sotto i riflettori ma che, tuttavia, sono emersi nel corso degli incontri tenutisi a Milano del 9 e 10 ottobre scorsi durante l’assemblea antimilitarista ed il successivo convegno della FAI.

Vi sono due elementi decisivi nel disegnare il futuro quadro del mondo militare: i nuovi assetti geopolitici e l’evoluzione dell’apparato industriale militare. Dal punto di vista geopolitico i fattori di novità sono da un lato il Mediterraneo che dilata i propri confini geografici disegnando una nuova dimensione – il “Mediterraneo allargato” – e dall’altro l’Africa al centro delle attenzioni delle potenze globali.

Il Mediterraneo diventa un elemento decisivo nella contesa, non solo regionale ma internazionale. Nei documenti ufficiali della Difesa, nonché nel lessico degli analisti, è sempre più presente il concetto di “Mediterraneo allargato”. Non è casuale che il rifinanziamento delle missioni estere ha dilatato la presenza militare dal bacino del mediterraneo al continente africano sino allo stretto di Ormuz. Uno scenario geografico che ha il focus nel bacino del Mediterraneo (l’Italia ne è inevitabilmente il vertice) ha, come lati, da una parte il continente africano dal Sahel al Golfo di Guinea per poi, attraverso il Corno D’Africa, estendersi dall’altro lato sino allo stretto di Hormuz. Tale ideale triangolo contiene di fatto gran parte delle risorse energetiche mondiali.

L’Europa, storicamente presente tramite alcuni paesi o loro multinazionali (a titolo esemplificativo e non esaustivo Italia e Francia tramite ENI e Total), soprattutto nella parte nord africana e sub sahariana, ora ha la necessità di essere presente in un contesto geografico più ampio. Tale presenza ha due scopi: garantirsi le risorse energetiche e contrastare il dinamismo della Russia che, dai teatri medio orientali, dove è da decenni presente grazie anche ai lasciti storici dell’ex U.R.S.S., ha ampliato la sua influenza militare e commerciale nell’Africa, dal Sahel al Corno d’Africa al Centro Africa.

L’espansione di Mosca nel continente africano disegna, a sua volta, un ampio triangolo geografico e geopolitico che di fatto si sovrappone alla presenza europea. La presenza di Mosca non solo toglie spazio politico all’Europa ma, soprattutto, è in forte espansione nella sua componente economica. Putin sta concludendo importanti affari nel Corno D’Africa, nel Sahel e Centro Africa per la fornitura di due componenti industriali, dei quali la Russia è tra i leaders mondiali: l’energia nucleare e le armi. Per fronteggiare quindi una inedita ed inattesa espansione russa, in zone sino ad oggi al di fuori dell’influenza moscovita, occorre contrapporre una presenza militare strutturata che non può più essere assicurata da un solo paese (come fino ad ora era quella francese) ma deve essere un presenza corale dell’intera Europa. Dimostrazione pratica di ciò è la nuova missione Takuba in Mali dove l’Italia, unitamente ad altri paesi Europei, affiancando la Francia ne rappresenta una parte tecnica militare assolutamente centrale.

L’Africa è sempre più al centro delle attenzione delle potenze mondiali e conseguentemente della presenza militare internazionale. Un aspetto, poco sottolineato fa del continente africano un vero hub strategico, quello dei cavi di Internet. Il 97% dei traffici via WEB viaggia attraverso i cavi sottomarini e l’Africa ne è l’epicentro, soprattutto sulla sponda orientale. Il Mar Rosso e lo stretto di Suez non è solo uno dei gangli del transito internazionale delle merci, soprattutto quello da e per l’oriente (Cina in primis) ma è anche il luogo geografico nel quale, o meglio sul suo fondale, sono posati i cavi attraverso i quali transitano gran parte di dati europei. Va da sé che il controllo dei cavi sottomarini sta avendo e avrà sempre un peso strategico decisivo; in tal senso la marina militare russa e quella inglese, tra le più attrezzate a livello globale, stanno sviluppando sistemi d’arma sia sottomarini sia di superficie per il controllo, monitoraggio o sabotaggio della rete sottomarina dei cavi.

Se Takuba rappresenta un primo timido nucleo di esercito europeo, quanto meno sotto l’aspetto pratico, non è un caso che nelle ultime nuove missioni all’estero è presente lo stretto di Hormuz. La missione in questa zona, dove transita non solo buona parte dell’energia consumata dall’Europa ma anche del traffico merci marittimo tramite le super portacontainers, ha indotto la comunità europea a mettere un paletto ben stabile nell’area, tramite questa missione in una zona di fatto uno dei nodi strategici più importanti (unitamente allo stretto di Malacca per il transito merci da e per la Cina).

Le giornate milanesi hanno inoltre sottolineato il carattere permanente delle missioni militari all’estero ed il coinvolgimento globale della Comunità Europea. Se la geopolitica non ha più punti fermi ma è in costante trasformazione, cambiano quindi anche i contenuti delle missioni militari estere. Queste sino a qualche anno fa rientravano in una logica di esclusiva protezione degli interessi nazionali (ed in parte lo sono ancora oggi) o rispondevano alle esigenza di una strategia nell’ambito e nell’orbita delle tradizionali alleanze politiche militari – leggasi NATO. Ora ci troviamo di fronte ad un nuovo scenario.

L’Europa nel suo complesso, con tutte le sue difficoltà politiche ed economiche, deve giocare le sue carte in un tavolo più esteso rispetto al passato e le regole del gioco sono in costante trasformazione. Per fronteggiare tale situazione risultano del tutto insufficienti le risorse nazionali e le rispettive forze armate. La vicenda della Missione Takuba richiesta dalla Francia agli altri paesi europei, è di per sé indicativa. Gli alti costi del contingente francese (presente nel Sahel con 4.000 uomini) ormai non sono più sostenibili ed ha indotto (a malincuore) la Francia a chiedere una nuova struttura operativa a partecipazione europea.

La vicenda sta a dimostrare che, per fronteggiare la competizione mondiale, le iniziative militari dei paesi della UE devono essere coordinate. Significa non solo una direzione comune ma, soprattutto, avere un unico flusso di mezzi finanziari che non può provenire da un singolo paese europeo. Occorre trovare risorse maggiori e nuovi assetti organizzativi dello strumento militare tali da risultare competitivi nel nuovo palcoscenico mondiale. La soluzione che si sta mettendo in campo è un progetto di difesa europea tramite la creazione di organismi permanenti che possano dare luce ad un primo nucleo di esercito europeo.

L’idea non è di per sé una novità: sin dagli anni cinquanta si affacciò l’ipotesi di un esercito comunitario, idea poi subito abbandonata a seguito delle dinamiche internazionali di quel tempo. Ora la possibilità di una forza armata sotto l’insegna della bandiera blu stellata si fa più concreta e non è un caso che si è passati dalla fase progettuale a quella attuativa. Tre sono i fattori che hanno contribuito a riproporre tale progetto: i nuovi assetti geopolitici, il recente riassetto finanziario dell’Unione Europea e lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica. Fattori che solo in apparenza risultano slegati l’uno con l’altro ma che in realtà si condizionano a vicenda nel loro configurasi e divenire.

Un elemento prevalente e decisivo è lo sviluppo dei sistemi d’armi sempre più orientati al digitale, i cui costi e complessità non possono essere gestiti da un solo paese. L’evoluzione del “modo di fare la guerra” richiede competenze a monte dell’apparato militare e risiede nella capacità di un paese di organizzare complessivamente quelle conoscenze e specializzazioni (formazione e risorse per la ricerca e sviluppo) che sono la chiave per avere un vantaggio nella competizione internazionale. Non è un caso che le poche risorse provenienti dal Recovery Fund e destinate alla scuola sono indirizzate in maggior parte agli istituti tecnici, cioè a quel settore che, attraverso le conoscenze digitali, può essere di più immediato impiego nel sistema industriale.

La ricerca Tecnologica è la vera questione strategica dell’apparato militare: chi saprà essere più innovativo avrà un vantaggio certo nella competizione militare. Nel documento programmatico Pluriennale della Difesa per il triennio 2021-2023, nella parte dedicata alla ricerca scientifica e tecnologica, vengono dettagliati le principali direzioni di intervento nel campo del digitale. La ricerca viene svolta ad ampio raggio coinvolgendo non solo i luoghi tradizionalmente deputati a tali compiti, quali le università ed enti nazionali, ma anche il settore dei privati sia nel segmento delle industrie sia delle piccole e medie imprese, a dimostrazione che l’apparato militare nel suo complesso coinvolge tutto il settore produttivo.

Significativa è la parte che il documento riserva ai programmi di applicazione e sviluppo tecnologico europeo e l’illustrazione dei programmi a carattere internazionale che hanno tutti un denominatore comune: la partecipazione corale dei membri della UE. La dimostrazione che l’apparato militare ha le fondamenta nella formazione ricerca e sviluppo la si ha nella recente avvio del Fondo Per la Difesa Europea (EDF) avviato lo scorso 21 giugno 2021 ed alla cui realizzazione l’Italia ha avuto una parte preponderante.

La dotazione finanziaria, sino al 2027, è di 7,9 miliardi di Euro. La vera novità è la modalità del finanziamento: si è realizzata un’unica cassa attraverso il co-finanziamento europeo, a dimostrazione del fatto che l’Europa intende sotto l’aspetto finanziario, sul modello del Recovery Fund, avere una condivisione per la raccolta e distribuzione delle risorse. L’EDF ha due obiettivi: essere stimolo per i singoli stati nella ricerca e sviluppo e coordinare, senza sprechi di risorse o sovrapposizioni nelle ricerche, i progetti. Di rilievo è l’attenzione riservata al settore delle piccole e medie imprese (PMI) le quali potranno accedere ai bandi associandosi in gruppi costituiti da almeno tre iniziative produttive.

L’EDF eredita l’esperienza maturata negli ultimi due anni da altri progetti pilota che l’hanno preceduto, in particolare L’EDIP (Programma di Sviluppo dell’Industria Europea duella Difesa) la cui dotazione per il 2019-2020 ammontava 500 milioni di Euro. L’architettura dell’EDF sarà completata da altre due strutture, la CARD che si incaricherà della revisione coordinata annuale dei progetti e la Strategic Compass che disegnerà le linee guida strategiche al di fuori dei confini UE. La Strategic Compass potrebbe essere il primo nucleo di un’unica politica estera europea, elemento che finora è mancata all’interno della comunità e che ha impedito all’Europa di parlare con una solo voce nei maggiori consessi internazionali e, soprattutto, essere presente in modo unitario nei scenari di crisi (la vicenda libica ne è un chiaro esempio con l’indiretto confronto tra Italia e Francia).

L’EDF supera nel concreto il primo timido tentativo europeo di cooperazione militare europea che a suo tempo fu attuato attraverso la PESCO (Pemanent Structure Cooperation) struttura che di fatto si limitava alla ricerca di cooperazione tra i singoli stati membri UE nel campo industriale militare. L’EDF, pur ereditando le esperienze della PESCO, introduce il concetto del tutto nuovo del co-finanziamento e quindi di una base finanziaria comune ai paesi membri tale da non solo consolidare e spingere sempre più i progetti di ricerca e sviluppo in modo coordinato ma, soprattutto, coinvolgendo finanziariamente i singoli stati.

Il co-finanziamento europeo è lo specchio del futuro esercito comunitario e la Next Generation EU ne rappresenta il presupposto fondamentale nel concetto di cassa unica europea. Coincidono quindi, nell’avvio del Fondo per la Difesa Europea, visione politica (l’Europa che tenta di coordinarsi al proprio interno per proporsi sul palcoscenico internazionale con una voce unica), finanziaria (la condivisione tra gli stati membri di un debito comune europeo) e strategica (non più programmi militari dei singoli paesi ma uno sviluppo comune).

La commissione Europea ha lanciato i primi bandi per 1,2 miliardi di Euro volti all’acquisizione di sistemi d’arma. Le prime richieste sono indirizzate alla nuove strategie di combattimento cioè il settore navale aereo e, soprattutto, il comparto spaziale per l’individuazione e l’applicazione di nuovi materiali. Se entriamo nel dettaglio dei bandi, le voci più rilevanti sono indirizzate ai settori Cyber, Spazio ed aereo.

Lo Spazio si propone come il prossimo futuro della strategia militare. Due sono i progetti di sviluppo, i sistemi di sorveglianza per la navigazione in scenari di guerra (NavWar) e le protezioni elettroniche per i satelliti, così come sono presenti bandi per lo sviluppo della “superiorità informativa”. A ruota dell’aviospazio vi è il settore missilistico, in particolare per gli intercettori endo-atmosferici. È il comparto aereo però che riveste un ruolo predominante. I nuovi scenari di guerra mettono al centro il concetto dell’interoperabilità delle forze: in sintesi le forze d’intervento via terra (sempre più specializzate e sempre più contenute negli effettivi) devono coordinarsi con quelle navali e soprattutto aeree.

La parte più significativa dei bandi, dopo il settore aereo ed avio spazio, è riservato ai progetti di sviluppo della Transizione ambientale e resilienza Energetica, temi che non a caso costituiscono una fetta importante della Next Generation EU. I progetti riguardano sistemi energetici per le basi militari e per la propulsione dei sistemi di combattimento aereo. La vera novità ed il futuro prossimo nella strategia militare è rappresentato dal futuro dei sistemi digitali ovvero i sistemi FCS e dai velivoli di sesta generazione.

Ancora una volta il cambiamento è frutto di interazione e contaminazione di diversi elementi ed in questo caso geopolitica e tecnologia si alimentano a vicenda. I teatri dei conflitti sono profondamente cambiati negli ultimi anni e, soprattutto, uno scacchiere internazionale in continua evoluzione innesca tensioni e possibilità d’intervento in ogni angolo del globo. Per affrontare al meglio un quadro in continua evoluzione sono stati da tempo avviate le iniziative FCS (Future Combat System). L’esercito ora deve collegare le sue operazioni con le forze aeree e marittime. Per fare ciò occorre un “sistema dei sistemi” denominato FCS. La nuova piattaforma comprende 18 sistemi separati. Ogni sistema è rappresentato da tipologia di unità, sia tradizionali a conduzione fisica sia a conduzione da remoto che devono integrare le operazioni terrestri con lo spazio e quello marittime.

I conflitti si giocheranno sempre meno sui campi di battaglia, come storicamente li abbiamo conosciuti, saranno invece sempre più caratterizzati da scenari urbani o condotti da formazioni di guerriglia. Sono quindi indispensabili unità strategiche più ridotte, più agili ma soprattutto integrate con le operazioni di cielo o via mare, operazioni che saranno soprattutto svolte sempre più in remoto. I droni saranno in sintesi i sistemi di integrazione delle operazioni belliche.

Partendo da questi concetti si è arrivati ad una profonda rivoluzione dei sistemi d’arma e del “modo di fare la guerra”. I miglioramenti tecnologici sono stati sempre presenti ed hanno accompagnato l’evoluzione dello strumento militare. Talvolta le innovazioni venivano applicate direttamente sui precedenti sistemi d’arma, aereo e navale che fosse. Ora apportare, come in passato, le “migliorie” non è più sufficiente: oggi occorre un salto generazionale. La progettazione, soprattutto nel campo dell’avio spazio deve tenere conto di uno scenario del tutto diverso dal passato. I sistemi d’arma, soprattutto quelli aerei, devono essere sinergici con i velivoli a pilotaggio remoto, ai satelliti e più in generale a tutti gli apparati militari. La recita della guerra non può essere un monologo affidato ad un solo attore ma il copione deve prevedere la più ampia e coordinata coralità possibile.

In tale prospettiva il sistema 6G indicato come il “sistema dei sistemi” rappresenta il prossimo futuro progettato per collegare tra loro piattaforme con pilota a bordo e droni. Lo sviluppo del 6G con la sua capacità di interagire con altri sistemi d’arma è particolarmente adatto ai teatri delle missioni internazionali italiane. Il controllo del Mediterraneo nonché del “Mediterraneo Allargato” necessità della capacità del 6G di scambiare informazioni in tempo reale provenienti da altri soggetti militari e dare quindi una visione ampliata e completa del campo di battaglia assicurando quindi un vantaggio tattico nelle operazioni più complicate, quali il monitoraggio di un territorio ampio o il monitoraggio di scenari urbani.

In conclusione, queste sono le linee guida di come intende muoversi e si indirizzerà il sistema militare nel suo complesso; se l’Europa vuole essere voce unica anche nelle forze armate la prima concreta realizzazione, se pur contenuta nei suoi effettivi, è rappresentata dalla Expedition Force. La nuova struttura operativa è stata presentata dalla Von Der Leyne il 15 ottobre nel corso del discorso sullo stato dell’Unione Europea. Si tratta di una forza di circa 6mila uomini con il comando situato a Bruxelles. Di là del già ipotizzato incremento degli effettivi, la Expediton Force ha già colto il nocciolo della questione sull’organizzazione e la struttura dell’apparato bellico che deve essere orientata sempre più verso un impiego tecnologico delle risorse.

Innanzitutto viene superato il concetto che gli interventi nelle aree di crisi debbano essere ad esclusivo appannaggio delle forze terrestri ma deve saper coinvolgere in modo armonico la marina e l’aeronautica. Il coordinamento nei teatri operativi tuttavia non è sufficiente se non viene accompagnato dai due fattori che oggi rappresentano il salto di qualità dell’apparato bellico, la “Cyber-guerra” e lo “spazio”. La componente digitale e aerospaziale si pongono quindi non solo in prospettiva ma già oggi come l’elemento vincente nella competizione internazionale.

Daniele Ratti

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