Note bandite. Stragi di stato, Stazione di Bologna 1

In questi giorni il processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 sta arrivando ad una fase conclusiva. Oltre ad accertare le responsabilità di un ulteriore esecutore materiale, si farà riferimento anche ai mandanti, organizzatori e sovvenzionatori, ormai deceduti. Una manciata di brani per non dimenticare i morti, i feriti e i depistaggi di quello che fu il più grave attentato terroristico in Italia dal dopoguerra. Le canzoni restano, non passano e, proprio come le lancette dell’orologio sopra la sala d’aspetto di seconda classe, rimanendo ferme ricordano e non depistano.

1 Nabat – Non c’è Spazio

I Nabat sono stati uno dei primi gruppi Oi! italiani, attivi fin dagli ultimi mesi del ’79, e da allora tra i massimi esponenti del punk degli skinhead. Respirando la rabbia dei reietti cresciuti tra la polvere dei portici del centro e i marciapiedi delle periferie bolognesi, sono diventati i cantori de “l’Italia degli sfruttati”. Il loro nome riprende quello della Confederazione delle Organizzazioni Anarchiche di Ucraina, organizzazione che cercò di unire i gruppi libertari della regione e costituì una parte del movimento rivoluzionario di fine anni ’10. Nabat significa “allarme” suonato con le “campane a martello”, un’altra traduzione è quella di “campane a stormo”, che la band utilizzerà come nome per la propria etichetta, nella sigla C.A.S. Records.

Diventare skinhead significava intraprendere una strada differente da quella dei “punk anarchici”, senza però fare l’occhiolino a frange destrorse. Il loro richiamo al nichilismo faceva eco alla tendenza del movimento russo, che dall’800 si scagliò contro tutte le espressioni del potere feudale o borghese, ricorrendo prevalentemente alla “propaganda del fatto”. Teste pelate, anfibi e nichilismo mescolati suscitarono non poca confusione ma negli anni la band ha saputo spiegarsi, e schierarsi, a dovere.

Paladini dell’Oi! nelle loro canzoni non disdegnano sonorità più prettamente punk e, da buoni skin, fanno comparire anche incursioni reggae. Nel disco “Banda Randagia” del 2018, che arriva 22 anni dopo il precedente album, è inclusa “Non c’è Spazio”, una canzone che traccia la storia di Bologna per episodi, dalla fine degli anni ’70 fino ai giorni nostri. Questi boot boys di San Donato sono nati all’ombra delle Due Torri ma sono anche cresciuti a due passi dall’orologio della stazione fermo alle 10:25. “Violentata nella storia / troppe volte per sapere / di chi sono quelle mani / senza sangue nelle vene, / di chi mette una bomba / alla stazione di Bologna / di chi non vuole aprire / l’armadio della vergogna”. Si comincia subito con la strage dell’estate del 1980, un giorno che poteva essere come tutti gli altri diventerà l’ennesimo capitolo di intrighi che avvinghiano apparati della Repubblica e trame terroristiche.

Il brano ripercorre anche un altro fatto che segnerà la città natale dei Nabat. “Marzo 11 la mattina / un bel giorno per sparare / alle spalle agli studenti / in corteo per protestare / di chi manda un autoblindo / per sedare la rivolta / ignorando le ragioni / calpestando la memoria”. Lorusso sarà il penultimo manifestante vittima del piombo delle forze dell’ordine fino al 2001. Data simbolo per il ’77 bolognese e nazionale, per le successive rivolte e l’invio di blindati militari nella zona universitaria. Assieme al 2 agosto, quel giorno di marzo di tre anni prima inciderà sulla nascita del punk bolognese e quindi anche sugli stessi Nabat. Sia perché dai resti dell’autonomia e, in generale, del movimento del ’77, in molti si avvicineranno al nascente punk; sia perché la controparte dei compagni con barba e capelli lunghi rimase la stessa dei kids moicani o teste rasate.

Il cantante e leader Steno, prima di fondare la sua band, suonava nei Raf Punk. Esponenti dell’anarco-punk, daranno alle stampe un seminale 45 giri, assieme ad altri tre gruppi dell’area bolognese. In copertina riportava una foto della stazione dilaniata dall’esplosivo sovrapposta ad un plotone di celerini e sopra ad una platea di glutei mostrati all’osservatore campeggiava il titolo: “Schiavi nella città più libera del mondo”, che riprendeva la celebre affermazione del sindaco Zangheri.

I testi sono senza filtri, per una musica alla portata di tutti, i cori da stadio permettono una partecipazione al pubblico che non è solo scenica. “Non c’è aria, / non c’è spazio! / Non c’è storia, / non c’è spazio!”. Il suono stradaiolo dà tutta l’energia necessaria per resistere all’asfissia da brodo di tortellini e al giogo delle tagliatelle al ragù. Nel finale si può vedere una sorta di prosecuzione di “Laida Bologna”, anti-inno felsineo per eccellenza, un leggero aggiornamento del “potere salumiere e la sporca disciplina” dell’amministrazione del capoluogo emiliano. “Anche oggi i burattini / si dan proprio un gran da fare / c’è chi chiude un’officina / e chi invece un ospedale, / c’è chi fa lauti guadagni / sui bisogni della gente, / di chi sono quelle mani / sulla sfera del potere?”.

2 – Narratore Urbano – Sei, in un Paese Meraviglioso

Quello di Narratore Urbano è un progetto che coniuga parti cantate con energia alternate ad altre più docili, intrecciate con parole scandite quasi fosse rap, con un risultato che rimane molto indie. Più o meno celati tra titoli e strofe dei suoi componimenti, sono presenti precisi riferimenti a questioni politiche e sociali, e “Sei, in un Paese Meraviglioso” ne è ricco.

La canzone guida l’ascoltatore-viaggiatore nelle principali città italiane illustrandone monumenti, fatti e luoghi simbolici. La storia culturale e gastronomica dello Stivale è però ripercorsa parallelamente alle stragi di stato: l’uccisione di Pinelli (“un anarchico morto alla maniera di Praga”), i treni delle deportazioni compaiono accanto a celebri quadri, gallerie d’arte e personaggi di romanzi. “Sotto due torri di mattoni rossi e la sua cinta muraria / È incline alla cultura, per tradizione millenaria”, nella seconda strofa fa tappa a Bologna e il riferimento alla strage che la ferì non poteva mancare. “Bologna è il diritto, e il suo libero pensiero / È il cantautorato indie, tutt’altro che leggero / Ma la politica fu sempre, la sua contraddizione / 2 Agosto una bomba, nell’atrio della stazione”. Prima di continuare verso sud evocando logge massoniche eversive, l’eco degli anni di piombo, sequestri, disastri ambientali e stragi mafiose, cita anche Ustica, avvenuta nella stessa estate. “Sono storie di aerei partiti e mai arrivati / Itavia DC-9 fu tra quelli più gettonati / Ma è anche l’amore di una città che ti accoglie da lontano / Piazza Maggiore non mancherà nel testo di questo brano”.

3 Offlaga Disco Pax – Sensibile

Gli Offlaga Disco Pax sono un trio reggiano che ha esordito nel 2005 con una formula inedita di basi ispirate a new wave ed elettronica anni ’80 su cui il frontman, senza cantare, trasforma in racconti piccole grandi epopee personali o generazionali. Le parole di Max Collini ci riportano alla passione politica di un decennio caratterizzato dal disimpegno e dall’edonismo, rievocato nelle atmosfere di Carretti e Fontanelli. Quella degli ODP è una nostalgia estetica inscindibile da quella politica, dove anche nei momenti di maggiore ilarità rimane un retrogusto amaro per un mondo che è finito. Se buona parte dell’indie italiano oggi racconta di aspetti della vita di tutti i giorni proponendoli in modo inconsueto, ermetico o surreale lo deve anche agli ODP, “Indie prima di te” diranno in seguito.

Sensibile” è una canzone incisa in Bachelite (2008) che propone una singolare ed efferata coppia di innamorati. “La parola «sensibile» è vaga come stelle dell’Orsa. / Francesca Mambro fu protagonista dell’eversione nera degli anni ’70 e si è presa qualche ergastolo per omicidi organizzati, realizzati, rivendicati, confessati, ma si è proclamata innocente rispetto alla strage di Bologna”. A metà tra documentario e gossip da rotocalco viene scelta una prospettiva molto specifica e particolare per raccontare la strage del 2 agosto. “Francesca Mambro era allora come oggi la donna di “Giusva” Fioravanti, un tizio colpevole di decine di delitti a sfondo labilmente politico. Delitti diventati famosi per la ferocia e la facilità con cui vennero commessi”. Si ricostruiscono i fatti, si mette l’accento su chi è stato condannato come esecutore materiale della strage, ma gli Offlaga con parole soppesate e aggettivi affilati trovano il politico anche nelle dichiarazione più intime.

Giusva era uno pronto per la «Uno Bianca» prima della «Uno Bianca»”. La chirurgia del vocabolario di Collini riassume con due parole l’appartenente ai Nuclei Armati Rivoluzionari, evocando una banda di criminali-terroristi (che si scoprirà essere dei poliziotti) che tra gli anni ’80 e ’90 seminerà morte e terrore tra l’Emilia e le Marche. “Qualche anno fa un giudice chiese a Francesca perché lo scelse come compagno di vita. A questa domanda rispose con una frase da ginnasio nichilista, lapidaria, nel senso di lapide: / «Giusva era il ragazzo più sensibile che io avessi mai incontrato». / Che razza di tipacci fossero gli altri ragazzi che aveva frequentato non ci è dato sapere, di sicuro Francesca con gli uomini non è stata fortunata. E la parola sensibile resta dubbia e ambivalente come il coinvolgimento dei NAR per i fatti del 2 agosto 1980”.

Il tono è spietato, tanto quanto i protagonisti del brano, e anche questa canzone dà molto più da pensare di quanto possa far sorridere. “Per evitare di confondere la sensibilità con l’eversione fascista e stragista stabiliremo dei limiti”. Le liriche non fanno sconti, tant’è che “Sensibile” è stata inserita tra le 300 canzoni più “rumorose” di sempre in una classifica sul trecentesimo numero della rivista Rumore, con questa motivazione: “Le parole sono importanti. Soprattutto se utilizzate a proposito. Sensibile parla di questo: di stabilire un significato preciso per non cadere in confusione con altre «sensibilità» opposte”. “Definiamo quindi neosensibilismo il nostro modo di essere sensibili che in tutto si distacca dalle ambiguità di Francesca Mambro da cui ci dissociamo, anche per l’uso sconsiderato e irresponsabile del vocabolario”. In chiusura Collini si affida ad una metafora calcistica per riassumere l’epilogo degli “anni di tritolo”: “La signora Mambro e il camerata Fioravanti sono fuori di galera. Fa male ammettere che al momento vincono due a zero”.

En.Ri-Ot

Related posts