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Non votare: una sfida alla Fortezza Europa

Non votare: una sfida alla Fortezza Europa

La democrazia è sempre un inganno, ma nel caso delle elezioni europee si raggiunge il ridicolo.

L’Unione Europea ha il proprio centro di potere nella Commissione Europea, composta da un delegato per ogni Stato membro. Rappresenta e tutela gli interessi dell’Unione europea nella sua interezza e avendo il monopolio del potere di iniziativa legislativa, propone l’adozione degli atti normativi dell’UE, la cui approvazione ultima spetta al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea; è responsabile inoltre dell’attuazione delle decisioni politiche da parte degli organi legislativi, gestisce i programmi UE e la spesa dei suoi fondi strutturali.

Il gioco delle parti fra Commissione e governi nazionali fa sì che l’azione di entrambi sia svincolata da ogni controllo. I governi sono costretti ad adottare misure antipopolari perché vincolati dai piani di stabilità dell’Unione Europea, mentre la Commissione è costretta ad adottare queste politiche perché così vogliono alcuni governi nazionali. In ultima analisi, né l’una né gli altri finiscono per essere vincolati dalla cosiddetta volontà popolare che si esprimerebbe nelle elezioni.

Il Parlamento europeo, per cui sono state indette le elezioni dell’8 e 9 giugno, non ha in pratica alcun potere, escluso quello della ratifica di decisioni prese in altre istituzioni. È solo una costosa tribuna dove gli europarlamentari danno saggi di arte oratoria.

Oggi il proletariato ha nominalmente una partecipazione più o meno larga all’elezione del governo. Esiste infatti il suffragio universale; è una concessione che la borghesia ha fatto, sia per avvalersi del concorso popolare nella lotta contro il potere reale e l’aristocrazia, sia per distogliere il proletariato dalla lotta per la propria emancipazione dandogli un’apparenza di sovranità.

L’esperienza storica ci mostra che se il suffragio universale potesse mai essere altro che uno specchietto per ingannare il popolo, se fosse capace di esprimere un governo che accennasse a voler cambiare la base economica della società, la borghesia minacciata nei suoi interessi s’affretterebbe a ribellarsi e adopererebbe tutta la forza e tutta l’influenza che le viene dal possesso dei mezzi di produzione per richiamare il governo alla funzione di semplice suo gendarme.

Questo vale per tutti i regimi democratici, e vale a maggior ragione per un Parlamento zimbello della Commissione Europea e dei governi nazionali.

Le nuove linee dell’Unione Europea non usciranno certo dalle urne di giugno. Quasi due mesi prima delle elezioni, Mario Draghi ha delineato le indicazioni essenziali: concentrazione della produzione in grandi monopoli continentali, finanziamento pubblico delle grandi infrastrutture necessarie alle grandi imprese, formazione orientata alla fornitura di manodopera specializzata. Mentre in Europa quasi 100 milioni di persone sono a rischio povertà, i servizi pubblici vacillano e le pensioni continuano a essere ridotte, la Commissione Europea si preoccupa della competitività delle imprese, non della loro capacità di soddisfare i bisogni sociali.

Il 15 e 16 aprile 2024 si è tenuta a La Hulpe, in Belgio, una conferenza di alto livello sul Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. L’obiettivo finale della conferenza era adottare una dichiarazione interistituzionale che preparasse la futura agenda sociale per il periodo 2024-2029. Quindi, ben prima che si svolgessero le elezioni, la Commissione Europea aveva già delineato gli impegni per la prossima legislatura. La relazione che Mario Draghi ha presentato in questo consesso dimostra quanto i problemi della maggioranza della popolazione siano tenuti presenti dalla burocrazia europea, e quali margini ci siano perché una maggioranza parlamentare possa modificare questi paletti.

Come ho detto, nella sua relazione Mario Draghi mette al primo posto l’economia di scala: la frammentazione politica dell’Unione frena la competitività delle imprese, mentre i principali concorrenti dell’Europa approfittano del fatto di essere già economie continentali. Nel settore dell’industria bellica (e non è un caso che Draghi cominci da questo settore), negli Stati Uniti i primi cinque gruppi capitalisti rappresentano l’80% del suo mercato più ampio, mentre i primi cinque in Europa ne rappresentano il 45%. Per risolvere questo problema, Draghi propone di “intensificare gli appalti congiunti, aumentare il coordinamento della nostra spesa e l’interoperabilità delle nostre attrezzature e ridurre sostanzialmente le nostre dipendenze internazionali”.

Lo stesso discorso viene fatto per le telecomunicazioni: nell’Unione Europea i consumatori sono 450 milioni; a fronte di questo mercato esistono almeno 34 gruppi capitalistici più altri minori che si spartiscono il mercato, mentre negli Stati Uniti sono tre e in Cina quattro. Agli occhi di Draghi le dimensioni delle imprese sono cruciali, per cui l’Unione e i governi nazionali devono armonizzare le normative e favorire il consolidamento e per favorire la ricerca e le “imprese innovative” fa balenare l’idea di modificare l’attuale normativa prudenziale sui finanziamenti bancari.

L’altro filone suggerito da Mario Draghi è quello dei beni pubblici, così come da lui definiti, cioè quelle infrastrutture che nessun governo da solo è in grado di affrontare e che vanno a beneficio di tutti. Nel suo discorso Draghi fa due esempi: uno sono le reti energetiche, tema che la Commissione Europea sta già affrontando col progetto REPowerEU; l’altro è l’infrastruttura europea di supercalcolo, rete pubblica di computer ad alte prestazioni (HPC) di livello mondiale, ma scarsamente vantaggiosa per le imprese. Il primo problema è come finanziarli: naturalmente i bilanci pubblici e quindi (Draghi non lo dice ma è implicito) l’aumento del debito hanno il ruolo principale. Ma Draghi pensa anche a rastrellare i soldi dei conti correnti e metterli al servizio delle avventure finanziarie dell’Unione: «L’UE dispone di risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Questo è il motivo per cui il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali (UMC) è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività».

L’ultimo argomento affrontato da Draghi è quello delle risorse, sia quelle costituite dalle materie prime, sia le risorse umane. Per Draghi innanzitutto è necessario che la Commissione Europea coordini fortemente l’intera catena delle materie prime fondamentali costruendo «una piattaforma europea dedicata ai minerali critici, principalmente per gli appalti congiunti, la sicurezza dell’approvvigionamento diversificato, la messa in comune, il finanziamento e lo stoccaggio». Per quanto riguarda le risorse umane, Draghi lamenta la scarsità di lavoratori specializzati, ma non indica con precisione i percorsi da seguire. Certo è che quando afferma che «molteplici parti interessate dovranno lavorare insieme per garantire la pertinenza delle competenze e definire percorsi flessibili di miglioramento delle competenze» riecheggia la filosofia ispiratrice della filiera tecnico-professionale, con i capitalisti che entrano nelle scuole e l’asservimento dell’istruzione all’industria.

Se sfrondiamo la relazione dalla retorica, Draghi ci consegna un’Unione Europea centrata su grandi gruppi finanziari e industriali di livello continentale, sostenuti e favoriti dalla Commissione Europea che accentra su di sé responsabilità finora di competenza dei governi nazionali, e le mette a disposizione della finanza e della grande industria. La politica della Commissione sarà quella di difendere e incrementare il primato dell’Unione, a partire dal Mediterraneo allargato e dal Grande Medio Oriente, conquistando mercati e fonti di materie prime anche con le armi, a danno dei popoli oppressi e degli imperialismi concorrenti. Ci sono pochi dubbi che questa strada porta alla guerra, come è già successo in Ucraina, nel Sahel, nel Golfo di Guinea e nel Mar Rosso.

Le grandi questioni del debito pubblico e, più in generale, dell’intervento dello stato nell’economia sono quindi affrontate dalla relazione Draghi nel senso di un maggior impegno pubblico e di maggior debito. Non se ne esce. Quando si dice che sono necessari più investimenti, da qualche parte i soldi vanno presi e, poiché non si pensa certo a tassare i grandi patrimoni, sarà l’aumento del debito pubblico a fornire le risorse finanziarie per attuare i piani faraonici dell’imperialismo europeo.

Quindi l’aumento dell’intervento dello stato nell’economia non porta necessariamente a un miglioramento delle condizioni dei cittadini. Quanti credono a un capitalismo progressivo, regolato dal governo, si mettano il cuore in pace. I governi hanno come obiettivo esclusivamente il progresso del capitalismo, cioè l’aumento dell’accumulazione. La filosofia che sta dietro alle proposte di Mario Draghi non è quella di Adam Smith, ma quella di Colbert, che vedeva nello sviluppo dell’industria francese la strada per la conquista della supremazia in Europa. Oggi, con le proposte di Mario Draghi, il governo dell’Unione Europea punta a rafforzare i propri gruppi monopolistici per conquistare la supremazia nel mondo.

In questo quadro, quale ruolo possono svolgere le prossime elezioni, quali possibilità ha il prossimo Parlamento di cambiare l’indirizzo della Commissione Europea? Praticamente nessuno. Da una parte per i limiti istituzionali che abbiamo visto, dall’altra per il comportamento tenuto dalle varie “famiglie” a cui fanno riferimento le liste presentate. Secondo la concezione materialistica della storia, la persona non è quello che dice di essere, ma ciò che fa. Lo stesso discorso può essere applicato alle liste elettorali, che non vanno valutate sulle promesse che fanno alla vigilia delle elezioni, ma sul comportamento tenuto nelle assemblee dei rappresentanti. Se pensiamo che la Commissione attuale è il frutto di un’alleanza a cui hanno partecipato Partito Popolare, Partito Socialista e Partito Liberale, le principali famiglie che oggi si contendono il consenso del corpo elettorale, è facile capire come le promesse elettorali contrastanti svaniranno come nebbia al sole fin dalle prime sessioni del nuovo Parlamento.

Le tappe della Commissione saranno dettate dall’agenda Draghi a meno che non la fermiamo con le lotte. Astenersi alle elezioni europee significa dissociarsi dall’Unione dei grandi capitali, significa lanciare una sfida alla Fortezza Europa.

Tiziano Antonelli

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