Leggi-truffa in corso

annusareIl 27 giugno il Parlamento inizierà a discutere della proposta di legge per la legalizzazione della cannabis presentata dall’intergruppo parlamentare guidato dall’ex radicale ed ex Forza Italia Benedetto Della Vedova, ora sottosegretario del Governo Renzi. Una proposta, quella di Della Vedova e soci, che si potrebbe definire un doppio pacco (nel senso di doppia fregatura). Innanzitutto, è una pessima proposta di legge che, sul modello di quella uruguayana, prevederebbe un triplice livello di accesso alla cannabis, attraverso la coltivazione personale, l’associazione in cannabis social clubs o l’acquisto in negozi specializzati che sarebbero riforniti da ditte “autorizzate” dal Governo. Secondo, la Rete Fino Alla Fine Del Mondo Proibizionista (che raggruppa numerose realtà dell’antiproibizionismo “di base” da vari Centri Sociali agli organizzatori di Canapisa e della Million Marijuana March), questa ” proposta, formulata sostanzialmente per introdurre il Monopolio di Stato sulla Cannabis, sottoporrebbe a regime di autorizzazione non solo le attività commerciali finalizzate alla realizzazione di un vantaggio economico, ma anche la coltivazione individuale e/o in forma associata senza alcuno scopo di lucro. Infatti, sebbene l’articolo 5 della suddetta proposta sembrerebbe escludere dal regime di monopolio le attività finalizzate all’esclusivo consumo personale, in realtà, chiunque volesse coltivare qualche pianta di cannabis sarebbe obbligato a comunicare all’ufficio regionale dei Monopoli di Stato le proprie generalità e l’indirizzo esatto del luogo di coltivazione, al fine di poter beneficiare di una sorta di implicita “autorizzazione a procedere” col rischio di poter arrivare alla “creazione di un elenco contenente le generalità di tutti i coltivatori/consumatori di cannabis”. Non solo, la proposta di Della Vedova e soci prevede di mantenere le attuali e ingiustificate sanzioni draconiane per chi guida sotto l’effetto della ganja come anche l’obbligo di sottoporsi ai test antidroga per i lavoratori dei trasporti e per quelli che svolgono “mansioni pericolose”, ed è talmente piena di pruriti perbenisti che vorrebbe pure introdurre il divieto di fumare marijuana nei luoghi all’aperto. Una robaccia così grossa, insomma, che persino i radicali, gli ex (ex?) sodali di Della Vedova, hanno pensato bene di darsi alla loro consueta opera di sciacallaggio delle lotte per i diritti civili con una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare dall’impronta decisamente più permissiva, con il sostegno di Forum Droghe e inizialmente anche di alcune associazioni di consumatori come Ascia e Overgrow che però hanno deciso poi di ritirarsi dalla campagna dopo essersi accorti un po’ tardi di venire strumentalizzati dai discepoli di Pannella. Il pacco, però, come si diceva all’inizio, è doppio nel senso che né la proposta di Della Vedova e colleghi né quella radicale hanno la sia pur minima possibilità di essere approvate dal Parlamento, ma sembrano fatte apposta per alimentare speranze irrealistiche nei consumatori più ingenui oggi, in attesa di seppellire domani definitivamente ogni possibilità di uscire dalla spirale assassina e liberticida della War On Drugs..
Se sui media, dopo la presentazione delle due proposte di legge, si raccontano storie di start up di aziende pronte ad entrare nel business della marijuana legale e si intervistano economisti che lodano i benefici che il fisco otterrebbe dalla legalizzazione, e tante altre belle storiellette, per far credere che la fine del proibizionismo sulla ganja sia ormai cosa fatta, nella realtà le cose vanno molto diversamente. Lo sanno bene gli studenti delle superiori che nell’ultimo anno scolastico hanno visto scorrazzare per i corridoi e le aule delle loro scuole carabinieri, finanzieri e cani antidroga alla ricerca di un paio di canne, con raid organizzati in collaborazione con presidi e professori complici che hanno puntualmente colpito gli studenti più attivi e scomodi (com’è successo al Liceo Virgilio di Roma). Lo sanno gli automobilisti che vengono fermati nei posti di blocco, che ormai in tutta Italia si fanno anche nelle strade secondarie e di campagna,dove, molto più spesso che in passato, i veicoli vengono perquisiti e annusati dai cani poliziotto mentre i guidatori vengono sottoposti ai test della saliva che rivelano l’uso di sostanze proibite. L’uso di questi test “di strada” è stato introdotto da un paio d’anni, dopo la donazione di un grosso quantitativo di kit alla Polizia Stradale da parte dell’associazione delle assicurazioni (che, dalla persecuzione di autisti drogati e ubriachi hanno solo da guadagnarci con rimborsi ridotti o annullati per i reprobi), ma è destinato ad aumentare molto nel prossimo futuro. Nelle scorse settimane, infatti, è stato firmato un accordo tra il Dipartimento Politiche Antidroga e la Direzione centrale della Polizia di Stato, con un finanziamento di 700.000 euro per l’acquisto dei kit diagnostici. L’intesa fra DPA e Polizia di Stato presuppone anche successivi controlli ospedalieri dopo che molti tribunali hanno assolto numerosi automobilisti risultati positivi ai test (che possono rilevare anche tracce di consumo avvenuto molte ore prima, se non giorni), ma che non erano stati sottoposti ad accertamenti medici per verificare se erano veramente tanto alterati da non poter guidare. Come ha scritto l’esperto giurista avvocato Zainna, questi “strumenti tanto magnificati creano solo un mero sospetto. Essi rilevano una generica presenza di stupefacenti, senza fornire prova vera della violazione dell’art. 187 CdS (che sanziona chi guida “sotto effetto”). Senza dimenticare che, in ospedale, il medico dovrà operare un’ulteriore visita anamnestica per verificare se la persona sia effettivamente in stato di alterazione, controllo che nel 95% dei casi smentisce i test”. Nei fatti, però, purtroppo, sono in pochi a essere spediti all’ospedale per ulteriori accertamenti e in molti si ritrovano in pochi minuti senza patente e senza macchina (che viene direttamente confiscata se è di proprietà del guidatore), con la prospettiva di un processo che li condannerà a multe salatissime e a pene detentive, e ancora una volta la giostra si muove tra chi riesce a trovare un buon avvocato e chi no. La cosa è veramente drammatica se si considera che è entrata in vigore la famigerata legge sull’omicidio stradale (di cui abbiamo già parlato su UN), che ha introdotto due nuovi articoli nel codice penale (589bis, 590bis). Con le nuove regole, chi uccide una persona guidando con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, o sotto effetto di droghe, rischierà da 8 a 12 anni di carcere. Sarà invece punito con la reclusione da 5 a 10 anni l’omicida il cui tasso alcolemico superi 0,8 g/l oppure abbia causato l’incidente per condotte di particolare pericolosità. Anche in caso di lesioni stradali, aumentano le pene, se chi guida è ubriaco o sotto effetto di sostanze: da 3 a 5 anni per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime. Se invece il colpevole ha un tasso alcolemico inferiore o uguale a 0,8 g/l, o se l’incidente è causato da manovre pericolose, la pena sarà da un anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime. Come è stato scritto su Dolcevitaonline.it, questi “nuovi articoli, considerati da molti esperti di diritto una mostruosità giuridica,introducono un pericolosissimo concetto di presunzione di colpevolezza sulla base dell’assunzione di sostanze” e “un nesso di causa/effetto (…) con il rischio molto concreto di giudicare colpevole – per il semplice fatto di aver assunto sostanze – chi invece è vittima del sinistro”. Questo considerando anche “nel caso di sostanze stupefacenti la mancanza di strumenti adeguati a rilevare che il conducente fosse in stato di alterazione al momento dell’incidente”. A completare il quadro c’è infine il tentativo di mettere fuorilegge i semi di cannabis (che per qualche mistero della legge sono ancora legali permettendo a molti aficionados di farsi il proprio raccolto senza dare soldi alle narcomafie), con un emendamento al ddl sulla canapa industriale presentato dal partito Area Popolare (che fa parte del Nuovo Centro-Destra che sostiene il Governo Renzi) che propone di vietare «la vendita o la cessione, anche attraverso internet e a qualsiasi titolo, nonché l’acquisto, la detenzione, il possesso, la coltivazione e la produzione di sementi di canapa di qualsiasi varietà che non siano regolarmente certificate». Ricalcando, peraltro, una nota dello stesso Ministero dell’Agricoltura che poche settimane fa raccomandava che «la messa in commercio, dietro corrispettivo, di piccole quantità di semi di canapa di varietà non certificate, anche in presenza di dicitura “campione gratuito non destinato alla vendita”, dovrebbe essere configurato come un illecito amministrativo». Certificati vuol dire con un tasso di THC inferiore allo 0,3%, cioè quello appunto della canapa industriale, mentre la cannabis che si fuma per fare effetto deve avere almeno il 2% di THC.
La fine del proibizionismo, insomma, sembra molto lontana, e pare destinato ad aumentare il lungo elenco dei consumatori colpiti dalla War On Drugs, che solo dal 1991 alla fine del 2014 comprendeva quasi un milione di persone, vittime della più grande persecuzione di massa della storia della Repubblica Italiana. Fortunatamente, di gonzi che credono alle favole dei media di regime e alle promesse dei venditori di illusione ce ne sono sempre meno e lo ha ben dimostrato il successo dell’ultima edizione di Canapisa, la street parade antiproibizionista che si tiene dal 2001 a Pisa e che quest’anno era caratterizzata da una critica molto dura nei confronti delle proposte di legge-fuffa di Della Vedova e dei radicali, con un partecipazione di oltre 4000 persone, secondo le stime più pessimiste.
robertino
 

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