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La repubblica fa la festa ai propri cittadini

La repubblica fa la festa ai propri cittadini

Il due giugno le istituzioni italiane celebrano l’anniversario del referendum che nel 1946 diede allo stato italiano la forma di repubblica. In certo qual modo, quindi, si tratta dell’atto di nascita dell’attuale forma statuale italiana. È anche l’occasione per rilanciare la retorica dell’unità nazionale, della partecipazione democratica e naturalmente per dare sfogo all’esibizionismo delle Forze Armate.

L’anno scorso per commemorare il 2 giugno il presidente Mattarella si recò a Codogno, il comune lombardo che ha registrato il primo caso ufficiale italiano di Covid, dove tenne un discorso incentrato sul ricordo dei cittadini deceduti a causa della pandemia.

Paragonare quanto è stato detto l’anno scorso dal massimo rappresentante dello Stato italiano e paragonarlo a quello che è accaduto questo anno ci aiuta nella demistificazione dei messaggi che giungono dalle gerarchie istituzionali. Il primo passaggio significativo dell’intervento di Mattarella è stato il ricordo degli operatori sanitari che, nel contrasto dell’epidemia, hanno continuato ad adempiere al loro dovere, anche a rischio della vita.

Il passaggio è importante per una serie di ragioni. Innanzi tutto, quando chi è a capo di un’organizzazione, quando loda l’abnegazione dei sottoposti è perché questi ultimi, con il loro sacrificio, hanno sopperito all’incapacità, all’ignavia, a volte all’interesse degli alti gradi della gerarchia che dovrebbero avere il compito di coordinare il lavoro dei sottoposti in sicurezza e in modo da ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Quando questo non avviene – e spesso e volentieri non avviene – spetta ai sottoposti rimediare agli errori e alle colpe dei dirigenti con l’azione diretta e l’autorganizzazione.

Un’altra riflessione riguarda il senso del dovere: accettare di lavorare in condizioni non sicure, accettare tempi e ritmi di lavoro che mettevano in pericolo la sicurezza propria e soprattutto quella dei pazienti, andare al lavoro anche in presenza di sintomi inequivocabili, che effetto moltiplicatore ha avuto sulla progressione dei contagi? Non sarebbe stato meglio se fin dall’inizio gli operatori sanitari si fossero rifiutati di prestare la loro opera in presenza di protocolli non adeguati e senza sicurezza, costringendo le direzioni aziendali e le autorità a prendere quelle misure che sono state prese in ritardo e in modo incompleto?

Di là della retorica sul federalismo e sull’autonomia, è da segnalare che i responsabili regionali delle strutture sanitarie ed i gruppi dirigenti delle varie aziende si muovono da tempo in modo compatto per reprimere ogni dissenso in seno alla struttura, non solo nei confronti delle strutture organizzate di base dei lavoratori ma anche, e forse più, nei confronti delle voci che sempre più occasionalmente denunciano i mali del Servizio Sanitario Nazionale.

Un altro passaggio interessante è l’elogio delle reti di solidarietà, sviluppatesi per portare aiuto a chi ne aveva bisogno. “È il sommerso del bene” lo ha definito il presidente della Repubblica e, in questa definizione, sta la condanna di questa società, dove appunto il bene collettivo, costruito sul bene di ciascuno, non può essere che sommerso, sovrastato dalla malvagità ufficiale. È bene ricordare che secondo la Costituzione la solidarietà è un dovere della Repubblica (art. 2), non è semplicemente affidata alla buona volontà dei singoli.

Nonostante sempre la Costituzione obblighi la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici alla partecipazione di tutti su un piede di parità all’organizzazione del Paese, il ricorso al volontariato per soccorrere i bisognosi dimostra ancora una volta l’incapacità dello Stato e di ogni organizzazione gerarchica di assolvere al loro compito.

In altre parole, gli elogi, i ricordi e tutti gli artifici retorici usati da Mattarella nel suo discorso del 2 giugno dell’anno scorso dimostrano il fallimento non solo di questo o quel governo ma del metodo autoritario e centralista di gestione dell’emergenza.

L’unica scusa che trova il presidente per giustificare questa sconfitta di fronte al virus è stata che al 2 giugno 2020 l’Italia era stata il primo paese in tutto il mondo occidentale ad essere colpito dalla pandemia, un fenomeno sconosciuto e imprevedibile, che ha trovato gli operatori impreparati e le strutture inadeguate.

Se la pandemia è stato il principale fenomeno che ha colpito i vari Paesi quest’anno, un giudizio sull’organizzazione statale e sul ruolo dei governi può essere dato dalla loro capacità di rispondere a questa emergenza.

Il 2 giugno può essere considerato un termine convenzionale per verificare la risposta delle istituzioni e dei governi italiani a questo fenomeno. Ebbene, secondo le statistiche ufficiali, il 2 giugno 2020 i morti attribuiti al coronavirus erano poco più di 33 mila, in data 29 maggio erano arrivati ad oltre 126 mila, circa 93 mila morti in più, una vera strage per la quale non può essere accampata la scusa dell’imprevisto.

Alla fine dell’estate 2020, si sapeva che il virus si poteva diffondere velocemente, la scienza ne aveva indagato i caratteri, le modalità di trasmissione, gli effetti sull’organismo. La pandemia poteva essere affrontata con farmaci e attrezzature specifiche, con consolidate valutazioni scientifiche e con il bagaglio di esperienze della prima ondata. Le strutture sono però rimaste inadeguate, si è preferito continuare a mandare gli operatori allo sbaraglio. Le tre aree critiche, la sanità, i trasporti e la scuola sono rimaste prive di interventi e di piani strutturali, senza affrontare il nodo centrale della carenza di personale. Per il secondo anno consecutivo, con una indifferenza criminale, le autorità statali hanno fatto la scelta di privilegiare gli affari, lasciando che il virus portasse via gli improduttivi e le misure di contenimento non ostacolassero l’accumulazione capitalistica.

La chiusura degli impianti produttivi, imposta dalle lotte dei lavoratori ed attuata in modo tardivo e incompleto da parte del governo, è stata probabilmente la chiave di volta nella prima fase dell’epidemia, nella seconda fase è stata imposta con misure da operetta ed inutilmente vessatorie, così da spostare l’attenzione su argomenti marginali come il coprifuoco anziché sull’insufficienza delle strutture sanitarie e l’inefficienza dei sevizi pubblici.

A questo dobbiamo aggiungere l’aumento della miseria e del distanziamento sociale fra le varie classi di reddito, la perdita già consolidata di centinaia di migliaia di posti di lavoro, ai quali altri si aggiungeranno quando avrà termine il blocco dei licenziamenti. Dall’altra parte abbiamo l’aumento dei depositi bancari, sia dei privati che delle aziende, centinaia di miliardi parcheggiati in attesa di trovare investimenti redditizi. Non c’è bisogno di statistiche dettagliate per capire che la strategia del rischio calcolato si è tradotta nell’aumento del rischio per noi, per gli sfruttati, e nell’aumento del calcolo dei profitti per le classi privilegiate.

Mattarella ha affermato che il 2 giugno 2020, da Codogno, si ribadivano i valori della Costituzione. Di quali valori parla? Dopo un anno e mezzo di stato di emergenza, la tendenza allo svuotamento del carattere parlamentare dello Stato e all’accentramento nell’esecutivo degli altri poteri ha ricevuto un’ulteriore accelerazione. Al parlamento è stato tolto quel potere di mediazione fra le varie componenti della classe privilegiata: l’accentramento dei poteri nell’esecutivo corrisponde all’accentramento dell’economia nell’oligarchia finanziaria.

Sono queste le riforme di cui si parla e che volta a volta assumono definizioni diverse, accelerazione, semplificazione, liberalizzazione ma convergono tutte nell’aumentare i poteri dell’esecutivo e rimuovere le forme di controllo dal basso sulle scelte centraliste. Questa tendenza è sostenuta dal vincolo internazionale, ed è esemplificata dal Piano di ripresa e resilienza, con la sua cabina di regia svincolata dai controlli delle assemblee elettive.

A 75 anni dal referendum istituzionale, i valori della Repubblica sono simboleggiati dal totem del Prodotto Interno Lordo e dal tabù del debito. Il PIL è un totem cui i governanti offrono sacrifici umani: la diminuzione dei contagi nella primavera del 2020 è stata accompagnata dal crollo di quell’indicatore, mentre la tutela della produzione voluta dai governo che si sono succeduti ha causato una vera strage degli innocenti. Allo stesso modo il debito è un vincolo per chi ci crede: l’operazione PNRR scarica sull’insieme dei cittadini debiti contratti per arricchire pochi privilegiati. Con la scusa del debito ci viene imposto il taglio dei redditi e dei servizi sociali.

I soldi dell’Europa, oltre ad essere destinati in gran parte alle imprese anziché ai cittadini, si trasformeranno in finanziamenti alle forze armate, mascherati da svolta tecnologica e innovazione digitale; forze armate che sono chiamate a difendere in Africa gli interessi dell’ENI, dalla Libia a Golfo di Guinea, nonché a sostenere la traballante occupazione militare francese.

Ancora una volta il patriottismo, sia pure quello della costituzione più bella del mondo, è l’ultimo rifugio delle canaglie.

Tiziano Antonelli

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