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Io sono il disertore

Io sono il disertore

Le celebrazioni della festa delle Forze Armate portano con sé un carico di retorica che nasconde cosa significa essere costretti a combattere o subire una guerra. Tre testi e e tre spartiti ci racconteranno di coloro che abbandonarono le armi e si tolsero la divisa: i disertori.

1. Ivano Fossati – Il Disertore

Le Déserteur è ormai un inno antimilitarista che conta traduzioni in decine e decine di lingue; inoltre ne esistono diverse versioni sia per le licenze prese dai traduttori, sia per l’esistenza di adattamenti del testo originale apportate dallo stesso autore. La più celebre apologia della diserzione venne scritta nell’inverno del 1954 da Boris Vian e pubblicata il 7 maggio successivo, giorno in cui l’esercito francese perse la battaglia di Diên Biên Phu. Il contesto di quei giorni ci dice molto sulle motivazioni che resero Le Déserteur bersaglio di critiche e pesanti censure. Il 1954 è infatti sia l’anno della grave sconfitta subita dai francesi in Indocina ma anche quello in cui incomincerà il sanguinoso conflitto per l’indipendenza dell’Algeria, che scoppierà nell’autunno a venire.

Vian, che scriverà altre canzoni molto più violente e velenose che però scamparono alle orecchie dei censori per via del loro tono cabarettistico e farsesco, ha invece dato alla musica di Le Déserteur, scritta assieme a Harold Berg, un andamento lineare e dolente che la rende a tutti gli effetti una canzone “seria”. Le ripercussioni dello scandalo consistettero nell’interruzione della carriera artistica fino al ’68 di Marcel Mouloudji, colui che interpretò la canzone la prima volta che venne trasmessa in radio. Alcune parti della canzone vennero limate, come il finale che in un primo tempo aveva un risvolto violento seppur il brano rimanesse antimilitarista. L’autore rimosse anche i riferimenti al Presidente, ma ciò non bastò a impedire nel gennaio del 1955 al consigliere municipale parigino Paul Faber di ottenere la censura completa del brano nelle radio. La replica dell’autore sarà nel solco del suo consueto pacifismo irriverente, egli affermerà infatti: “la mia canzone non è affatto antimilitarista, ma, lo riconosco, violentemente pro-civili”. La censura sarà tolta dal brano solo nel 1962, quando Boris sarà già morto da tre anni, e successivamente lo sviluppo delle canzoni di protesta farà riemergere Le Déserteur dall’oblio.

In piena facoltà, / Egregio Presidente, / le scrivo la presente, / che spero leggerà.” Così vennero tradotti i primi versi del brano da Giorgio Calabrese, la cui versione de Il Disertore è divenuta la più nota in seguito all’interpretazione di Ivano Fossati. “La cartolina qui / mi dice terra terra / di andare a far la guerra / quest’altro lunedì. / Ma io non sono qui, Egregio Presidente, / per ammazzar la gente / più o meno come me.” Il cantautore genovese la inserì nell’album Lindbergh (Lettere da Sopra la Pioggia) nel 1992 e da allora il brano è associato a lui, tanto che nel 1994 un tributo dedicatogli da artisti della nuova scena rock si intitolava proprio I Disertori.

Io non ce l’ho con Lei, / sia detto per inciso, / ma sento che ho deciso / e che diserterò.” Il disertore in cui si impersona l’autore non si limita a non imbracciare il fucile ma decide di evitare che altri come lui si facciano inghiottire dagli ingranaggi della guerra: “a tutti griderò / di non partire più / e di non obbedire / per andare a morire / per non importa chi.” I versi successivi sembrano memori degli insegnamenti di Oh Gorizia e dei massacri della Grande Guerra in cui sedicenti patrioti per i propri interessi facevano andare altri al macello: “Per cui se servirà / del sangue ad ogni costo, / andate a dare il vostro, / se vi divertirà.” La parte conclusiva mostra la stoltezza della censura che nonostante il suo agire non è riuscita a togliere alla canzone una forza prorompente: “E dica pure ai suoi, / se vengono a cercarmi, / che possono spararmi, / io armi non ne ho.”

2 . Emanuele Dabbono – Disertore

Emanuele Dabbono è un cantautore ligure che dalla fine degli anni ’90 si è ritagliato un suo spazio nella musica leggera italiana. Noto al grande pubblico per diverse apparizioni televisive ed anche come autore di canzoni per artisti mainstream, è invece meno conosciuto per il suo brano intitolato Disertore. Inizialmente ideata per Max Parodi, suo conterraneo morto prematuramente nel 2008, la canzone esprime lo stile di Dabbono che ha influenze pop ma anche folk. “Aspetti un’altra battaglia / e intanto combatti già / o nascondi chi sei tra la nebbia /o ti riprendi la tua identità”. Nel video del brano compaiono scene evocative di film che hanno saputo mostrare il lato disumano e brutale delle guerre ed Emanuele si immedesima in un soldato che decide di farla finita con l’esercito:“la mia divisa la lascio / a uno più nudo di un fiore, / a un uomo più solo di me / tu dimmi che hai visto / se il sangue degli altri nel fiume / aveva un altro colore.”

Il soldato ormai è convinto della sua scelta da cui non potrà tornare indietro: prima di ripetere più volte il ritornello subentra una armonica che accentua il tono drammatico della situazione, dato che le conseguenze di una diserzione non si faranno attendere: “Cammino da giorni senza una meta / cammino da giorni con un viaggio / con tanto coraggio e poco sangue freddo / Signore io la lascio qui, / mi chiami pure Disertore”

3. Kalashnikow Collective – Il Disertore

Il collettivo Kalashnikov nasce nel 1996 in uno squat milanese e si distingue per aggiungere alla classica formazione chitarra-basso-batteria un’ulteriore chitarra, il sintetizzatore e spesso anche le tastiere. Definiscono il loro genere come romantic punk, dato che riescono a combinare elementi melodici, ma veloci, con un alto grado libertario, sempre guidato dall’attitudine Do It Yourself. L’unicità del loro genere gli ha permesso di essere apprezzati anche fuori dall’Italia, ma il gruppo che ha per nome l’arma simbolo di ogni assalto è riuscito a valicare i confini del Vecchio Continente con i propri testi e le proprie sonorità. Un tocco aggiuntivo che caratterizza i Kalashnikov è la voce femminile che riesce a rendere i testi, spesso cupi e apocalittici, quasi gradevoli e romantici.

Questi punk milanesi sui generis con un programmatico elenco, tratto dal loro blog, dichiarano guerra a: “chi vede nell’anarchia solo i fantasmi del caos e della distruzione”, “ogni forma di discriminazione dalla razza alla specie, passando per il genere” e “chi vive secondo le aspettative della gente”.

Nel 2003 danno alle stampe Songs About Amore and Revolution: anche in questo album compare in copertina una donna, elemento quasi sempre presente nelle elaborazioni grafiche dei loro lavori discografici, spesso mentre impugna un AK47. “Non c’è una lama che non tagli, un taglio che non faccia male / Non c’è sangue che si possa lavare, ferita che si possa rimarginare”. Queste sono le prime parole della canzone Il Disertore. Seppur breve, essa contiene tutto il rifiuto del collettivo per la guerra ed il militarismo, che per nome ha scelto la denominazione originale del più celebre fucile d’assalto. “Con il mio fucile costruisco un crocefisso e prego sulle tombe dei nemici / Con la mia bandiera costruisco un aquilone e dimentico le menzogne della guerra”. I Kalashnikov si mettono nei panni di un soldato che ha abbandonato il suo esercito e che potrebbe appartenere a qualsiasi schieramento in una guerra senza tempo. Se fino a questo momento il testo era rimasto ambiguo e generico, l’ultima strofa è chiarificatrice sull’identità e gli intenti del narratore: “Con i libri sacri di ogni religione innalzo le colonne del mio tempio / Nemici di ogni razza guardate le mie mani, gettate via le armi, io sono il disertore”.

En. Ri-Ot

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