Per chi, come me, una “crisi industriale” è, in primo luogo, il manifestarsi di un punto di crisi di una relazione sociale - quella fra capitale e lavoro e quella interna alla stessa classe - ciò che appare in primo luogo alla mente sono gli uomini e le donne coinvolti, il loro sentire, il loro agire individuale e collettivo, l’organizzazione che si danno, l’azione dei soggetti politici e sindacali presenti nell’azienda, le mosse dell’avversario sino ad arrivare - perché negarlo? - a quanto fanno e pensano i compagni e le compagne direttamente impegnati nella lotta e ai quali lo lega uno stretto rapporto di solidarietà affatto sentimentale ed anzi attivo e partecipe.
A maggior ragione, quando si legge un brano come quello che riporto di seguito, emerge con chiarezza la differenza radicale di punto di vista rispetto a quello dominante per non parlare delle contraddizioni, in realtà apparenti, e proprio per questo illuminanti del discorso dell’avversario.
Da “La Repubblica” del 5 aprile 2017, il giorno dell’ultimo e riuscito sciopero:
“C’è poi il tema dei risparmi. Su Alitalia pesano ogni anno circa 270 milioni di euro di costi superiori alla media di quelli pagati dalla concorrenza per simili forniture, che tra l’altro non possono essere ricontrattati coi fornitori, se non al prezzo di salatissime penali. Quindi, in passato, sarebbero stati firmati dei contratti sfavorevoli per il vettore di Fiumicino che oggi rischiano di portare a fondo l’intera azienda rendendo inutile ogni tentativo di salvataggio.
Il piano punta così a minori uscite per 433 milioni: dal 2019 a regime ci saranno risparmi per 163 milioni alla voce “personale” - tra esuberi e stipendi ridotti - e 270 legati a costi per forniture, leasing, handling, carburante. Nel 2019 il taglio complessivo cumulato sarà superiore al miliardo: 280 milioni quest’anno, 220 il prossimo fino ai 560 nel 2019.”
Insomma, tutto sarebbe semplice e chiaro: Alitalia è in passivo, ci sono stati errori da parte della dirigenza. Capita si sa, nessuno è perfetto, nemmeno Luca Cordero di Montezemolo, e, per di più i costi del personale sono eccessivi e quindi sarà necessario fare qualche taglio e tutto si sistemerà. Come cantava mirabilmente in tempi lontani Nunzio Filogamo, ”Tutto va ben Madama la marchesa, tutto va ben, tout va tres bien…”
Proviamo a dare un volto ai costi da ridurre utilizzando la stessa fonte perché non si dica che non ci fidiamo della stampa liberal. Su “La Repubblica” del 17 marzo 2017 leggiamo:
“Al vertice tra management e Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Ta è infatti emerso che sono previsti 2.037 esuberi per il personale di terra. Per quanto riguarda il personale navigante le stesse fonti sindacali non forniscono dati ma fanno presente che ad agosto scade la solidarietà per 400 dipendenti. Riguardo agli organici degli uffici, l’aviolinea avrebbe chiesto una riduzione del 51% dell’organico sostenendo che sarebbe in linea con le migliori pratiche degli altri vettori. Fortissimi i sacrifici economici richiesti al personale navigante: lo stipendio degli assistenti di volo dovrebbe essere decurtato del 32% mentre quello dei piloti verrebbe ridotto dal 28% per gli addetti al medio raggio, al 22% per chi è impiegato sul lungo raggio. “
Agli oltre 2000 lavoratori del settore di terra dell’Alitalia e a quelli del settore aereo sui quali non si sa ancora nulla di preciso ma che sono, come abbiamo visto, circa 400, dobbiamo aggiungere le devastanti ricadute sull’indotto che comporteranno un taglio dell’occupazione ben più consistente. In altri termini, un vero e proprio disastro sociale.
Proviamo a sentire adesso una voce di tutt’altra natura. Dal Comunicato di CUB Trasporti sullo sciopero del 5 aprile 2017
“Lo sciopero nazionale dei lavoratori Alitalia indetto per l’intera giornata di ieri, 5/4/2017, da Cub Trasporti, da Usb, dalle Associazioni professionali di piloti ed assistenti di volo (Anpac ed Anpav) e da Cgil, Cisl, Uil ed Ugl ha registrato adesioni oltre il 90% del personale in servizio sia a terra (manutenzioni, handling, informatica, call-center, amministrativi) sia a volo (AA/VV e piloti): una percentuale che non si registrava da molti anni nella ex-vettore aereo di bandiera e nel comparto aereo-aeroportuale-indotto.
La categoria ha di fatto respinto all’unanimità il piano finanziario approvato dagli azionisti di Alitalia (banche ed Etihad), nonché ha bocciato i pesanti sacrifici per i lavoratori: oltre 2500 licenziamenti, esternalizzazione di settori strategici, tagli salariali (fino al 30% per gli assistenti di volo) e normativi.”
Un primo elemento da cogliere credo sia il fatto che si è mobilitata una categoria articolata e caratterizzata da tradizionali segmentazioni di tipo corporativo: ha scioperato il personale di terra e quello che lavora sugli aerei, i piloti e gli operai di officina, gli addetti alle pulizie delle cooperative che assolvono a questo compito e che sono già espulsi dal ciclo produttivo e le hostess. Lo sciopero dell’intera giornata è stato indetto non solo da CUB Trasporti e USB, com’era avvenuto nelle occasioni precedenti del 23 febbraio, dell’8 e del 20 marzo, ma anche dai sindacati istituzionali costretti a farlo dal fatto che in contrattazione - quella contrattazione di cui hanno il monopolio per concessione dello stato e dei padroni - prendono solo sberle in faccia e rendono visibile la propria impotenza.
Sul piano sociale, quindi, una preziosa ricomposizione del fronte per la difesa dell’occupazione e del salario assieme all’unione di diversi segmenti della forza lavoro del settore.
Lo stesso comunicato riporta un fatto, in apparenza di poco momento, che pure sarebbe bene fosse preso in considerazione dai fautori, quantomeno dai fautori non acefali, dell’unità sindacale” sempre e comunque:
“Purtroppo la giornata di ieri è stata macchiata dal rifiuto dei rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil ed Ugl di consentire la riunificazione dei lavoratori in manifestazione al presidio indetto da quelle organizzazioni sindacali davanti alla palazzina di Alitalia, con quelli radunati allo scalo, presso il terminal T1, nel presidio organizzato da Cub Trasporti e partecipato anche da Usb.
La possibilità di consentire la riunificazione dei presidi e delle assemblee tenutesi nei due concentramenti, avrebbe permesso ai lavoratori di consegnare un mandato unitario ed univoco a tutte le organizzazioni sindacali, con l’avvio del confronto no-stop in programma da oggi: una eventualità che i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil ed Ugl hanno evitato a scapito della trasparenza e della democrazia.”
Alla comunicazione della CUB Trasporti può valere la pena di aggiungere un’ulteriore informazione diretta: i compagni che erano in presidio presso il Terminal T1, quello organizzato da CUB Trasporti ed USB, davano per scontato che l’unità dei lavoratori in una lotta tanto aspra fosse il primo obiettivo da perseguire e si erano messi in movimento per raggiungere l’altro presidio, ma sono stati bloccati dalla Ceka che li ha informati che i dirigenti dei sindacati istituzionali non volevano l’unificazione. Hanno manifestato la loro incredulità credendo di trovarsi di fronte ad una manovra dei cekisti, ma questi ultimi a questo punto, per evitare tafferugli, hanno caricato in macchina un delegato della CUB e lo hanno portato al presidio dei sindacati istituzionali i cui dirigenti hanno confermato che non volevano una sola mobilitazione.
Non è necessario un genio del sindacalismo per comprendere come CGIL CISL UGL UIL considerino più rilevante ribadire che solo loro, per mandato altrui, “rappresentano” i lavoratori, piuttosto che favorire l’unità e la forza della lotta.
Come si è detto, il 5 aprile vi è stato l’ennesimo sciopero. Basta andare su Google per rilevare quanto gli scioperi e le manifestazioni siano state partecipate e come settori crescenti di lavoratori si riconoscano nel sindacalismo di base. Tutto bene dunque?
In realtà no. È bene ricordare il passato: questa non è la prima crisi dell’Alitalia, al contrario, siamo di fronte all’ennesimo taglio al personale e alle retribuzioni che segue una serie di analoghe operazioni, come la riduzione secca del personale, del numero di aerei, dell’attività della compagnia nonostante massicci finanziamenti pubblici agli imprenditori privati che ne hanno assunto la gestione. Alitalia è stata consegnata prima ad un gruppo di “capitani coraggiosi” individuati da Silvio Berlusconi e poi a una proprietà araba la cui intraprendenza si è vista più che altro nelle misure prese per rendere castigate e scomode le divise delle hostess.
In altri termini, siamo di fronte alla ricaduta sulla vita e sul lavoro dei dipendenti di Alitalia di scelte di riorganizzazione del trasporto aereo su base internazionale.
Siamo di fronte ad una scelta politica che usa i dati sul deficit di Alitalia come mero argomento a sostegno di quanto si è GIÀ deciso, cioè un ruolo marginale per la tradizionale compagnia di bandiera italiana, l’abbandono delle rotte intercontinentali, il concentrarsi su quelle a medio e breve raggio dove concorre con le compagnie low cost.
Insomma, il classico caso nel quale la lotta generosa, forte, radicale di un singolo gruppo, per quanto numeroso, di lavoratrici e lavoratori si trova di fronte a difficoltà gravissime, ad avversari sovente non diretti, a una partita non sempre comprensibile.
Il classico caso nel quale verifichiamo i limiti della lotta sindacale, almeno se condotta in forme tradizionali.
I problemi che si pongono sono molti e, come capita sin troppo spesso, i tempi sono stretti. Mi limito, per esigenze di spazio, ad elencarne alcuni:
- è un luogo comune, un’affermazione spesso ripetuta ed una consapevolezza diffusa dalle quali non sortiscono conseguenze adeguate, che sempre meno il movimento dei lavoratori può limitarsi ad operare su scala essenzialmente, se non esclusivamente, nazionale. Se le compagnie low cost possono assumere personale con contratti quali, ad esempio, quelli irlandesi, che prevedono salari e condizioni di lavoro straordinariamente peggiori rispetto a quanto prevedono i contratti applicati in Italia, l’effetto di degrado e di appiattimento in basso è inevitabile. Si tratta allora, se si vuole evitare una deriva nazionalista, di praticare un percorso di lotte comuni per un’unificazione al livello migliore possibile e per impedire l’uso di questi contratti che, a petto dei tradizionali “contratti pirata”, sono come una portaerei di fronte ad una cannoniera;
- una lotta come quella di cui stiamo trattando, chiede un sostegno forte, ampio, argomentato, attivo che sappia, in primo luogo, chiarire i termini della vertenza, combattere i pregiudizi diffusi a piene mani contro i lavoratori aeroportuali descritti come “privilegiati”, porre al centro la questione della libertà sindacale come interesse generale della nostra classe, collocare la vertenza degli aeroportuali in una più generale vertenza sui trasporti che sappia tenere assieme trasporto aereo, ferroviario, locale, marittimo e logistica nel riconoscimento della specificità dei settori ma anche del carattere unitario della prospettiva sulla quale lavorare.
Nelle iniziative di sostegno alle quali ho avuto la fortuna di partecipare ho rilevato che su questi termini molto si può fare, si trovano interlocutori attenti e desiderosi di agire e, quindi, molto si DEVE fare!
Cosimo Scarinzi