Il governo, ogni governo, è oggi l’espressione delle classi privilegiate, dei banchieri, dei capitalisti, degli agrari, dei circoli militari e della gerarchia ecclesiastica. Chi ritenesse questa affermazione troppo decisa, farebbe bene a dare un’occhiata al Documento Programmatico di Bilancio, che illustra a grandi linee gli interventi su cui si baserà il disegno di legge di Bilancio, e le conseguenze sulla situazione economica generale e sulla finanza pubblica.
Prima di commentare il quadro che il ministro dell’Economia e Finanza Daniele Franco dipinge degli scenari economici internazionali e italiani, vorrei porre l’attenzione sulle grandezze e gli indici che vengono presi in considerazione. Il punto di partenza nella descrizione delle tendenze dell’economia è la variazione del Prodotto Interno Lordo, di cui viene enfatizzata la crescita superiore alle aspettative e una previsione in aumento rispetto alle stime del Programma di Stabilità definito solo pochi mesi prima. La seconda considerazione fatta da Franco riguarda l’andamento della pandemia: secondo il documento del governo, il mantenimento dei dati sulla Covid-19 al di sotto dei livelli di guardia favorisce il ritorno alla normalità nella vita lavorativa e sociale. Evidentemente la media giornaliera di quasi 34 morti, attribuiti dalle statistiche ufficiali alla pandemia, per il governo rientra nella normalità, cui si possono sacrificare le norme di sicurezza nei posti di lavoro.
Un altro dato su cui il governo punta per dipingere un quadro favorevole della situazione economica è l’andamento dell’occupazione: il DPB afferma che “Coerentemente con l’andamento del prodotto, nel primo semestre l’occupazione ha registrato un notevole recupero”. Secondo le stime del Centro Studi Confindustria, invece, la disoccupazione resterà alta fino a tutto il 2022: “Con un’occupazione in solo lieve recupero, il tasso di disoccupazione crescerà progressivamente, tornando in media d’anno vicino al suo valore pre-crisi (9,9%). Nel 2022, la risalita prevista per l’occupazione tenderebbe a ridurre il tasso di disoccupazione. Tuttavia, l’aumento della forza lavoro si rafforzerà ulteriormente (+1,3%, dopo il +1% nel 2021) e ciò manterrà alto il tasso di disoccupazione, che è previsto pari al 9,6%”.
Quello che inoltre non dice il ministro Franco, è che la ripresa economica si basa su un aumento del lavoro precario, a tempo determinato e discontinuo. In particolare le posizioni lavorative a tempo determinato con durata inferiore o pari a 30 giorni sono aumentate nel secondo trimestre del 2021 del 9,2% rispetto all’anno precedente, mentre il numero dei lavoratori in somministrazione cresce del 39% nello stesso periodo, mentre la crescita di quello dei lavoratori a chiamata o intermittenti è definito “sostenuto” nella nota trimestrale del Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale (+63,8%). Si tratta di valori assoluti modesti, tuttavia indicativi delle tendenze del mercato del lavoro.
Nella stessa nota trimestrale, si segnala l’aumento degli infortuni sul lavoro, che nel periodo preso in esame sono stati 119 mila, con un aumento di quasi 25 mila sullo stesso periodo dell’anno precedente (+26,5%). Gli omicidi bianchi sono aumentati ancora di più, passando da 163 nel 2020 a 231 nel 2021, con un aumento di 68 unità, pari a un aumento del 41,78%. Di questa drammatica emergenza non c’è un’eco nel documento, nemmeno in vesti di maggiori stanziamenti per la prevenzione e la medicina del lavoro.
La visione ottimistica del governo è confermata dai paragrafi dedicati, nel Documento Programmatico di Bilancio, al credito, all’inflazione, agli scambi con l’estero, all’andamento della finanza pubblica. Il quadro dipinto dal governo ignora completamente da una parte la condizione di miseria crescente in cui grava la stragrande maggioranza della popolazione, dall’altra la crescita della devastazione ambientale, con le conseguenze inevitabili sulla salute pubblica e sull’ambiente naturale.
Tutto questo avviene non malgrado la crescita economica, ma ne rappresenta la necessaria premessa e la logica conseguenza. Com’è pensabile una crescita economica senza un aumento delle materie prime necessarie alla produzione, quindi senza un aumento del saccheggio del territorio? Com’è pensabile un aumento della crescita economica senza un conseguente e parallelo aumento degli scarti, dei rifiuti, dell’inquinamento generato da questa stessa crescita economica? La pandemia ci ha offerto la dimostrazione dei benefici che la contrazione dell’attività produttiva ha sulla salute pubblica e sull’ambiente.
L’Istat segnala che nel 2020 il numero delle persone in povertà assoluta è di 5,6 milioni, mentre nel 2019 era di 4 milioni e 593 mila, con un aumento di più di un milione di nuovi poveri assoluti e del 21,97 in percentuale, mentre i minori in situazione di povertà assoluta sono 1 milione e 337 mila, Anche l’andamento della povertà relativa, in calo rispetto al 2019, ci segnala un peggioramento delle condizioni di vita. La diminuzione dei consumi (-9% nel 2020) ha un diverso impatto fra chi si colloca nella fascia alta del reddito rispetto a chi si colloca nella fascia bassa: chi si trova nella fascia bassa ha già consumi molto ridotti che è difficile ridurre ulteriormente, tanto che nella fascia bassa si registra una diminuzione media dei consumi del 2,7%, ben al di sotto della media nazionale.
Come diceva Bernard de Mandeville all’inizio del XVIII secolo “in una nazione libera (…) la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi” e il governo Draghi, con paterna sollecitudine, si adopera affinché un reddito troppo cospicuo non renda i proletari insolenti e pigri.
La miseria fra la stragrande maggioranza della popolazione non è solo un problema monetario. Una crescita economica costante richiede che, anno dopo anno, il rapporto tra beni e servizi destinati all’investimento e beni e servizi destinati al consumo privato cresca costantemente a vantaggio dei primi. Quindi la miseria non dipende solo da un’ineguale distribuzione del reddito monetario, ma anche da una produzione che ignora le esigenze di una condizione di vita decente per tutti. La crescita economica quindi si alimenta e genera una polarizzazione delle condizioni sociali: il regime della proprietà privata si caratterizza per la concentrazione della proprietà nelle mani di pochi e nella privazione della proprietà per la maggioranza della popolazione.
Se allora questo aumento del prodotto interno lordo non sarà assorbito dalla domanda interna, da chi sarà assorbito? Una prima risposta il documento presentato dal ministro Franco la dà: le esportazioni, nel biennio 2021-2022, cresceranno a un tasso superiore a quello di crescita del commercio mondiale, sottraendo quote di mercato, grazie ai guadagni di competitività nei confronti degli altri stati dell’Unione Europea dovuti ai salari più bassi. Un’altra risposta viene dall’aumento degli investimenti fissi, fra cui in primo luogo le grandi opere, alimentati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Un’ulteriore risposta la diamo noi ed è la spesa bellica. In nessuna parte del documento presentato dal governo si parla degli stanziamenti per le forze armate e per la guerra ma si capisce facilmente che l’aumento della contesa interimperialistica, implicita nell’auspicio di crescita delle esportazioni, spinga al passaggio dalla competizione economica al conflitto armato e che le nuove quote di mercato, o le fonti di approvvigionamento, debbano essere difese in qualunque parte del mondo, in particolar modo in quello che la visione strategica del governo chiama “Mediterraneo allargato”, con ogni mezzo, comprese le armi. D’altra parte proprio la produzione bellica è uno dei punti di forza delle esportazioni italiane, settore a cui il parlamento e il governo dedicano particolari attenzioni.
La crisi del ruolo internazionale degli Stati Uniti, la tendenza dell’Unione Europea a dotarsi di un proprio strumento militare per far fronte alle esigenze imperialistiche delle classi privilegiate europee, l’affacciarsi sul mercato dei capitali dell’Unione Europea come soggetto unico delineano un quadro in cui il piano di ripresa post pandemia assume un ruolo strettamente legato alla politica di potenza della Fortezza Europa. Se a questo aggiungiamo la crescita delle missioni militari all’estero volute dal governo italiano, abbiamo un quadro che ci autorizza a parlare di un bilancio di guerra per le misure adottate dal governo Draghi.
Ma volere non è potere, nemmeno per i governi e nemmeno per quelli che dispongono di una maggioranza composta da quasi tutte le forze parlamentari. Abbiamo già visto come le previsioni rosee sulla disoccupazione travisino la realtà del mercato del lavoro. Anche l’analisi del sistema creditizio è mistificatoria. Secondo la previsione ABI-Cerved, nel 2021 i crediti in sofferenza aumenteranno, passando dal 2,5 del 2020 al 4,3 del 2021, sul totale dei prestiti erogati alle società non finanziarie, con un aumento del 72%. Si tratta ovviamente di previsioni, ma l’aumento dei tassi d’interesse previsto nel Documento Programmatico di Bilancio non potrà che peggiorare la situazione.
Anche Franco, come la maggior parte dei responsabili di politica monetaria, ritiene passeggero l’aumento dell’inflazione registrato in questi mesi, anche se pone alcune condizioni. Intanto, il documento programmatico di bilancio prevede già per il prossimo anno un aumento dei tassi di interesse; se questa tendenza dell’inflazione prosegue, può richiedere ulteriori interventi di politica monetaria con ulteriori aumenti dei tassi di interesse. Questo però potrebbe avere un effetto devastante sia sui conti pubblici sia a maggior ragione sui conti delle aziende private che sono fortemente indebitate. In questo periodo il dilemma di fronte a cui si trovano le autorità monetarie e finanziarie del governo è quello di una crescita dell’inflazione superiore a quello del PIL, che aprirebbe la strada a scenari di difficile gestione.
In altre parole il governo italiano, come gli altri governi che devono fare i conti con una fase di stagnazione di lungo periodo, aggravata dallo scoppio della pandemia, si trova di fronte a una serie di contraddizioni. Deve innanzitutto mantenere un comodo accesso al credito per le imprese e deve mantenere sotto controllo la dinamica dell’inflazione. Purtroppo il credito facile e il ricorso al deficit di bilancio per finanziare la ripresa, in assenza di un’imposizione adeguata sui patrimoni e sui redditi più alti, generano inflazione e questa, a sua volta, provoca l’aumento dei tassi d’interesse e può essere tenuta sotto controllo solo per mezzo di politiche monetarie restrittive.
I governi italiani che si sono succeduti dal 1945, diversamente dal governo degli Stati Uniti, non hanno potuto usare liberamente le politiche monetarie perché prima la lira era ancorata al dollaro (accordi di Bretton Woods) ed ora è stata sostituita dall’euro, moneta su cui il governo italiano esercita un controllo condiviso con gli altri governi europei. Il governo Draghi, inoltre, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha in pratica commissariato l’Italia, subordinando la concessione di prestiti da Bruxelles al rispetto delle condizioni imposte dalla Commissione Europea.
Il governo quindi cercherà di barcamenarsi, allentando o stringendo i cordoni della borsa secondo le fluttuazioni del ciclo economico e cercando in tutti i modi di scaricare ulteriormente sui ceti popolari i costi della propria politica economica.
Tutto fatto dunque? Il movimento anarchico è cosciente che unico limite alla prepotenza del governo è l’opposizione che gli sfruttati sono capaci di opporre. Lo sciopero generale e le manifestazioni dell’11 ottobre hanno dimostrato che oggi questa forza c’è ed è disposta a scendere in piazza. Si tratta di continuare sulla strada dell’unità, si tratta di continuare su obiettivi capaci di incidere sulle scelte del governo. La battaglia per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero si salda direttamente alla lotta contro la nuova manovra, che aumenta la ricchezza per i capitalisti e la miseria e la disoccupazione per i proletari. Questa saldatura deve essere operativa subito, a partire dalle iniziative antimilitariste in occasione del 4 novembre e in occasione della manifestazione contro l’Aerospace and Defence Meetings di Torino.
Tiziano Antonelli