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Cosa ci resta di Hans Magnus Enzensberger

Cosa ci resta di Hans Magnus Enzensberger

Il 24 novembre a Monaco di Baviera è morto il poeta, scrittore e saggista Hans Magnus Enzensberger. Era nato nel 1929 a Kaufbeuren, nel sud della Germania: visse perciò l’infanzia e la prima adolescenza sotto il regime nazista – di conseguenza, fa parte della generazione di intellettuali tedeschi che ha vissuto direttamente il nazismo, un’esperienza che li ha segnati in maniera peculiare e si riflette nella loro opera. Nella fattispecie, Enzensberger fu uno dei pochi giovanissimi oppositori del regime di quella generazione, condizionata dall’azione del regime volta a condizionare le popolazioni a partire dalla giovanissima età, sia con una propaganda ad essi specificamente rivolta, sia con l’inquadramento non precisamente volontario nelle organizzazioni giovanili del partito. Infatti sin da ragazzino riuscì, con il suo comportamento ribelle di opposizione alle regole gerarchiche, a farsi espellere dalla Gioventù Hitleriana, l’organizzazione giovanile del Partito Nazista; la sua opposizione al regime poi si riconfermò nel 1944 quando, poco prima della fine della Seconda guerra mondiale, disertò dal Volkssturm, la milizia popolare in cui era stato arruolato appena più che quindicenne. Soprattutto nel secondo caso rischiando seriamente la vita.

Nel 1949 inizio a seguire un corso di studi di letteratura e filosofia presso varie università – Erlangen, Friburgo, Amburgo e la Sorbona di Parigi – dopodiché, negli anni Cinquanta, entrò a far parte del Gruppo 47 un movimento culturale che fu attivo fino al 1967, animato da giovani intellettuali tedeschi il cui scopo era far rinascere la cultura tedesca dopo gli anni di repressione da parte del nazismo, di cui facevano parte personaggi che diverranno estremamente importanti nella cultura tedesca e non solo: per fare giusto qualche nome, Ingeborg Bachmann, Heinrich Böll e Günter Grass.

Dopo aver pubblicato i primi testi, nel 1960 cominciò a lavorare per la casa editrice Suhrkamp  ma, soprattutto, nel 1965 fondò la rivista culturale Kursbuch, che sin da subito ebbe una grande influenza nel dibattito politico tedesco e divenne poi un punto di riferimento per i militanti nelle proteste studentesche del 1968, dando poi vita a molte altre iniziative editoriali e collaborazioni con case editrici fino alla recente morte in tarda età. Ha scritto moltissimo, avventurandosi nei generi più diversi: la poesia, la critica letteraria, il saggio politico e filosofico, il dramma, la ricerca storica, l’articolo giornalistico, la divulgazione scientifica. Per ciò che concerne quest’ultimo aspetto era un matematico autodidatta ma di buon livello e si interessava anche delle scienze in generale: a parte Il Mago dei Numeri, testo di divulgazione della matematica del 1997 (edito in Italia da Einaudi nel 2004 e che è stato forse il suo maggiore successo editoriale nel nostro paese), nel 2004 Einaudi ha pubblicato la raccolta di testi sia in prosa sia in forma poetica Gli Elisir della Scienza, dove traccia in modo peculiare un percorso del pensiero scientifico e delle opposizioni che ha incontrato.

Pur essendo uno dei maggiori intellettuali a livello internazionale della nostra epoca, in Italia era abbastanza poco conosciuto: quando nel 1993 Nanni Moretti nel film Caro Diario si fa chiedere da Renato Carpentieri “Tu sai cosa dice Hans Magnus Enzensberger a proposito della televisione?” per la maggior parte degli spettatori italiani questo nome altisonante risultò sconosciuto. Eppure, come abbiamo visto, un bel po’ di edizioni in lingua italiana il pensatore tedesco le aveva avute ed il già citato Il Mago dei Numeri era divenuto in Italia un best-seller. Enzensberger, però, soffriva di molte colpe agli occhi della cultura italiana che l’aveva messo, relativamente all’importanza che aveva nella cultura internazionale, in qualche modo in un angolo.

Innanzitutto – un po’ come Albert Camus, altro personaggio messo ai margini dalla cultura italiana dominante – si trattava di un uomo della sinistra rivoluzionaria, impegnato in politica ma fuori dalle logiche del marxismo-leninismo imperante nel dopoguerra e che, invece, magari in maniera meno chiara di Camus, riservava le sue simpatie all’anarchismo sociale. La cosa divenne chiara con la pubblicazione, nel 1972, de La Breve Estate dell’Anarchia. Vita e Morte di Buenaventura Durruti (edito da Feltrinelli in Italia sei anni dopo): ritenuto dai critici il suo capolavoro, ripercorreva con evidente partecipazione la storia dell’operaio metallurgico protagonista dell’organizzazione sindacale, della rivolta catalana e della guerra civile spagnola del 1936. Tra l’altro uno dei suoi ultimi testi, come ricorda Fabrizio Buratto su Il Sole 24 Ore, con “Hammerstein o l’Ostinazione (…) torna al genere storico, meglio, ad un’altra storia di anarchia: quella del primo esponente dell’esercito tedesco che, pensando con la propria testa, ebbe il coraggio di ribellarsi a Hitler.”

Sempre restando a La Breve Estate dell’Anarchia. Vita e Morte di Buenaventura Durruti, è interessante notare come la stessa casa editrice italiana caratterizzi oggi il testo: “attraverso la tecnica di montaggio di materiali – testimonianze, interviste, documenti, articoli, parole dei protagonisti e ipotesi degli storici – [Enzensberger] ripercorre in questo “romanzo” la vicenda della rivolta anarchica catalana e della guerra civile spagnola. La ‘breve estate’ dell’anarchia, le sue folgoranti vittorie popolari, l’assunzione del potere, l’applicazione della ‘indisciplina organizzata’ persino in piena guerra, gli errori d’ingenuità, il dogmatismo, l’incredibile slancio di solidarietà di massa, gli abusi, vengono qui rivissuti attraverso la figura di uno dei più straordinari eroi. (…) È così che l’opera di Enzensberger è diventata un testo indispensabile per riprendere il filo degli eventi, per tornare sulle tracce di una figura straordinaria, e anche per concludere, con serenità e lucidità, che ‘non si fa due volte la stessa rivoluzione’.” In effetti, anche i punti di debolezza che  Enzensberger individua nell’anarchismo spagnolo – particolarmente la mancanza di una prospettiva d’azione a medio termine – sembrano il desiderio che, assunta la lezione della storia, la prossima volta l’anarchia non durerà solo lo spazio di una stagione. Sia pure da parte di un “anarchico” per molti aspetti un po’ generico e talvolta anche contraddittorio.

Inoltre, la polemica libertaria con altri esponenti della sinistra intellettuale tedesca che avevano scelto la strada di un marxismo più o meno ortodosso andava oltre le questioni politiche in senso stretto – come ad esempio quella con Günter Grass sul regime cubano – e si rivolgeva anche ad un errore strategico: quello di aver abbandonato un linguaggio comprensibile ai più a favore di uno del tutto incomprensibile se non agli addetti ai lavori, con il risultato di creare una distanza tra gli intellettuali ed il proletariato. Gli intellettuali sedicenti di sinistra hanno così di fatto come punto di riferimento la borghesia accademica ed altrettanto di fatto assumono nei confronti del popolo un atteggiamento spocchioso: Enzensberger allora, coerentemente, parla dei temi della Scuola di Francoforte in un linguaggio privo di “profondismi”. Forse questo è l’aspetto che maggiormente ha reso sospettosi nei suoi confronti gli intellettuali italiani ma per lui si trattava di un punto chiave: ne La Fine del Titanic[4] un oratore invita i poveri della terza classe ad approfittare del naufragio per vendicarsi dei ricchi. Gli emigranti però “Capivano, certo, quel che diceva, / ma non capivano lui. / Le sue parole non erano le loro. / Erano rosi da paure diverse / dalle sue e da altre speranze. / Rimasero lì in piedi, pazienti, / con i loro zaini, i loro rosarii, / i loro bambini rachitici, / dietro alle barriere, gli fecero largo, / lo ascoltarono, rispettosamente, / e attesero, finché non affondarono”. Ancora una volta, il suo discorso critico appare come una speranza a trarre profitto dagli errori perché il sogno di un mondo di liberi e di uguali è troppo bello per potervi rinunciare.

Enrico Voccia

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