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Brevi note sul Confederalismo Democratico

Brevi note sul Confederalismo Democratico

Parlare della questione Curda non è semplice ma in questi ultimi anni, volente o no, è stata sempre presente nei nostri cuori. Decine e decine sono state le iniziative di solidarietà organizzate o partecipate dal movimento anarchico, arrivando fino a Lorenzo Orsetti, ucciso dai fascisti del DAESH, alla formazione delle brigate internazionali dove decine di compagne e compagni si sono arruolati per sostenere la causa del Confederalismo Democratico. Infine le molteplici iniziative seguite all’ attacco vigliacco, l’8 ottobre scorso, dell’esercito Turco alla Siria del Nord,il Rojava!
Il Rojava e le sue popolazioni curde, arabe, azide, turcomanne ecc. sono entrate nell’immaginario collettivo di milioni di persone in tutto il mondo: soprattutto la sua città simbolo Kobane. Una città che, insieme a tutto il territorio della Rojava, è vista dal mondo intero come la sperimentazione più convincente di convivenza politica e umana tra diverse etnie, al contrario delle zone vicine dove la religione viene usata dai vari gruppi di potere per dividere le persone e metterle una contro l’altra.Una città dove si sperimenta il Confederalismo Democratico.

Per parlare di questi ultimi 40 giorni in cui la Rojava è di nuovo sotto un attacco sanguinario, bisogna andare indietro al marzo 2018, quando Afrin, città importante della Rojava, viene attaccata dall’esercito turco. La resistenza è fortissima ma la potenza di fuoco è soverchiante (il macellaio Erdogan è a capo del secondo esercito della NATO). La difesa della città curda è affidata alle unità di difesa del popolo ma Afrin viene rasa al suolo. I Curdi patiscono 11mila (UNDICIMILA) morti tra la popolazione.

Dov’era allora il mondo politico europeo e internazionale? Sicuramente a fare affari con il governo turco. Dov’era il satrapo e ineffabile padre padrone della Siria, Assad? In fondo la Rojava era ed è territorio siriano ed i curdi non avevano mai fatto richieste di costituire uno stato Curdo ma solo di avere un’autonomia politica. Le risposte a queste domande non sono mai arrivate ma l’ennesimo tradimento da parte americana invece sì. Siamo all’8 ottobre di questo anno, l’esercito americano dichiara di lasciare il campo e subito Erdogan bombarda le città curde.

Da parte siriana è il silenzio assoluto fino a quando Putin, altro assassino di stato, decide di dare un ruolo ad Assad e sul destino di milioni di persone. Questa decisione ha dato praticamente la legittimità all’esercito turco di invadere la Rojava e fare fuori una volta per tutte la resistenza curda.

In tutto il pianeta si levano voci indignate contro il macellaio Erdogan e contro i suoi complici, perché di complici si tratta. La differenza di comportamento tra i politici e le popolazioni civili è visibile. Da una parte chiacchiere di facciata, dall’altra le persone si mobilitano, nascono presidi e manifestazioni sotto le ambasciate e consolati della Turchia.

Enormi manifestazioni si svolgono in tutte le maggiori città europee: a Milano, Londra, Roma… La stampa internazionale è costretta a tenere il focus a livelli alti. Poi, come sempre, le notizie si affievoliscono anche perché gli scambi economici con la Turchia rischiano di andare in crisi. In Rojava però tutto continua: i Turchi bombardano, le popolazioni della Rojava resistono faticosamente.

Quello che è chiaro a tutti è la complicità dei padroni di quei territori per uccidere le aspirazioni a forme di autogoverno in quei territori. Segnali che vanno in direzione ostinata e contraria si vedono in Iraq, Libano, Palestina dove migliaia di giovani donne e uomini scendono in piazza contro i regimi corrotti. La protesta non prende più il via da basi religiose ma dalla rivendicazione di diritti di tutte e di tutte. Senza l’esperienza delle unità di difesa del popolo delle donne in Rojava, lo YPJ, del confederalismo forse tutto questo in quelle regioni non ci sarebbe stato. Per rompere il silenzio la comunità curda di Milano e della Lombardia ha deciso di indire una manifestazione per sabato 21 dicembre.

Antonio D’Errico

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