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Rivoluzione o barbarie

Rivoluzione o barbarie

Il Primo Maggio è una data importante in quanto è legata al grandioso ciclo di lotte del movimento dei lavoratori che a cavallo tra XIX e XX secolo impose con la propria forza migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali, diminuzione dell’orario, migliori condizioni di sicurezza e sancì la conquista della libertà di organizzazione autonoma dei proletari. Coloro che all’epoca pensavano che il regime sociale capitalista fosse gradualmente riformabile puntarono anche sull’accesso ai cosiddetti “diritti politici”: l’accesso dei partiti socialisti alle strutture statali tramite l’estensione del suffragio. In questi anni è caduto il centenario della Grande Guerra: la guerra che affermò che la via parlamentare al socialismo si è chiusa. Se fino al1914 si potevano indicare coloro che puntavano al riformismo parlamentare come compagni di diversa tendenza da allora non possiamo che denunciarli come oggettivi ricuperatori del movimento dei lavoratori alle strutture classiste ipostatizzatesi nell’ordine istituzionale liberale.

La via parlamentare e riformista al socialismo si è dimostrata un vicolo cieco, utile solo per le carriere degli appartenenti alle frazioni opportuniste infiltratesi in seno al proletariato. In questi anni, ancora, possiamo rilevare come l’ipotesi della costruzione una risposta riformista all’attacco che da quattro decenni sta erodendo le conquiste degli anni precedenti sia fallita.

È fallita in Grecia, con Syriza rientrata nei ranghi e che non gioca nemmeno più all’opposizione delle politiche di austerity, è fallita in Spagna,con Podemos che viene sconfitto dal meccanismo elettorale di conta delle teste. È fallita nella crisi definitiva del “Nuovo Bolivarismo”, quell’insano esperimento socialisteggiante condito con giacobinismo e teologia della liberazione salito al governo in alcuni paesi dell’America Latina e che è finito stritolato dalle fluttuazioni del prezzo del greggio su cui basava la propria economia. È fallita in Turchia dove l’HDP ha scoperto a sue spese che non basta vincere le elezioni municipali per bilanciare il dominio dello stato-nazione e del capitale dal momento in cui le vittorie riformiste possono essere sempre liquidate da un qualche un golpe più o meno bianco.

È destinato al fallimento negli Stati Uniti dove il Democratic Party si trova a dover dare spazio a Bernie Sanders o ad Alexendra Ocasio-Cortez nel tentativo di recuperare i movimenti che si muovono alla sua sinistra e per scongiurare una radicalizzazione dei giovani e dei lavoratori.

Possiamo dire con tutta tranquillità che qualsiasi richiamo a vie riformiste o, peggio ancora, al rafforzamento della sovranità statale è una pura illusione nel migliore dei casi o il tentativo di irretire i proletari ai propri interessi da parte di cricche opportuniste nel peggiore.

Fin dai suoi albori il movimento rivoluzionario ha posto l’internazionalismo di classe come suo obiettivo e, di conseguenza, come mezzo. Non si può realizzare una società senza classi e stati senza agire fin da subito travalicando i confini imposti dagli stati, che altro non sono che le organizzazioni territoriali della borghesia presente su un dato territorio. Non ci si può illudere di conquistare lo stato, con il riformismo elettorale o con il riformismo armato, per giungere all’emancipazione sociale: lo stato moderno nasce insieme al capitale e insieme a questo dovrà scomparire.

In un periodo, il nostro, in cui la famigerata ripresa stenta ad arrivare, banalmente perché non esiste, le sirene del riformismo cantano la suadente melodia della reindustrializzazione, magari in salsa verde, della reinternalizzazione del lavoro, di piani industriali, di contrasto alla finanziarizzazione. Melodia suadente sì: ma le sirene uccidevano i marinai. L’evoluzione tecnologica, automazione e nuove forme di organizzazione dei flussi del lavoro, compreso quello intellettuale, diminuiscono la necessità di manodopera. Quando qualcuno promette di creare milioni di posti di lavoro riportando sul suolo statunitense le produzioni migrate prima in Messico e poi in Asia mente. Se per produrre merce a Detroit (o a Torino se vogliamo rimanere nel nostro paese) negli anni d’oro del patto sociale socialdemocratico serviva un esercito industriale armato di chiavi inglesi, saldatrici, trapani multitesta, rettificatrici, regoli calcolatori e tavole logaritmiche ora quello stesso lavoro viene svolto da computer e robot e la manodopera, anche intellettuale, necessaria è molto minore.

Si potranno riportare le aziende dalla Cina o da Vietnam? Si e magari si farà pure in quanto più vantaggioso in termini logistici ma ci si scordi che questo permetta di ricreare quell’enorme massa di operai e impiegati che erano necessari quaranta anni fa. La socialdemocrazia non è stata spazzata via da un oscuro complotto: è stata spazzata via da ciò che ha creato. Prima è toccato alle tute blu,poi ai colletti bianchi: perché assumere decine di laureati in legge che passano il tempo a spulciare la giurisprudenza in qualche studio associato se il loro lavoro può essere svolto da un algoritmo? Perchè avere un esercito di contabili e civilisti che passano al setaccio ogni contratto commerciale di un certo rilievo se possono essere sostituiti con delle blockchain?

Tanti saluti tute blu e tanti saluti pure al piccolo borghese illuso di essersi comprato la sua fetta di paradiso con una laurea. Oh, certo, qualche geniale imbecille potrà sempre proporre di creare-posti-di-lavoro legando i lavoratori a una ruota da macina o facendo scavare buche per riempire con il riporto le altre buche. Abbruttiamoci affinché il gran dio del capitale possa vivere e i suoi sacerdoti possano officiare i suoi sacri riti!

L’illusione riformista e statalista di cambiare le cose senza cambiarle è superata, le sue battute in scena si sono esaurite, tocca a noi farla scendere dal palco della storia. Le frazioni opportuniste tentano di convincerci che la salvezza sta nell’appoggiare gli “stati antimperialisti” o questo o quel partito borghese. Sciocchezze funzionali agli interessi di fazioni della borghesia di questo o quel territorio e in quanto tale contrapposte agli interessi di tutti gli sfruttati del mondo. Anche a quelli che si illudono. Vi promettono salvezza ma vi daranno guerra, che questo è lo sbocco naturale delle politiche di potenza statale.

Uno solo è il modo di uscire dalla barbarie del capitale: espropriare gli espropriatori. Liquidare le strutture di classe e lo stato, farla finita con il lavoro salariato, affidare la produzione all’automazione e dedicarsi alla vita. O Anarchia o barbarie.

Tallide

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