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 Il porto delle nebbie

 Il porto delle nebbie

Due necessarie premesse:

La prima, su Il Fatto Quotidiano del 9 settembre 2017 usciva un interessante articolo che riportava i dati elaborati della FLC CGIL ( non dagli IWW) del Piemonte. Ne cito alcuni passaggi:

Una perdita salariale di oltre 12 mila euro negli ultimi sette anni causata dal mancato rinnovo del contratto, dal mancato adeguamento all’andamento dei prezzi e dall’inefficacia dell’indennità di vacanza contrattuale….. La cifra lievita di anno in anno. Si parte dai docenti, oggi i meno pagati d’Europa….: tra il 2010 e il 2017, la differenza retributiva ovvero la perdita subita da un maestro elementare o delle scuole materne varia dai 10 mila ai 16 mila euro, a seconda degli anni di servizio prestati. Si va dai 12 mila ai 18 mila euro, invece, per i docenti delle scuole medie, tra i 12 mila e i 19 mila per quelli delle scuole superiori. In media, gli insegnanti degli Itp, gli istituti tecnico–professionali, hanno perso 13.240 euro.
Il calcolo include anche i collaboratori scolastici, il personale Ata….: i primi hanno perso tra gli 8mila e gli 11mila euro (i coordinatori tecnico amministrativi 12.854 euro), gli assistenti amministrativi e tecnici tra i 9 mila e i 13 mila….. Già solo il mancato adeguamento all’inflazione degli ultimi sette anni (calcolato sulla base dell’Ipca, l’Indice dei prezzi a consumo armonizzato con una comparazione comunitaria) ammonta, mediamente, intorno ai 2.200 euro. A peggiorare la situazione, anche la riduzione del Fondo Istituzione Scolastica, ovvero quello strumento di retribuzione accessoria collegato all’ampliamento dell’offerta formativa: il blocco della progressione di carriera del 2011- 2012, infatti, è stato recuperato anche attingendovi. Di conseguenza, ci sono stati meno soldi per le attività autonome delle scuole”.

Secondo logica, a questa ricerca avrebbe dovuto fare seguito la richiesta di robusti aumenti del salario e del recupero di quanto perso.

La seconda anche se non in ordine di tempo. Il 30 novembre 2016 viene firmato da governo e CGIL (questa volta la confederazione non il sindacato di categoria della scuola), CISL e UIL un accordo che prevede, per i contratti dell’intero pubblico impiego, e quindi anche della scuola,un aumento di 85 euro medi, lordi, a regime, cioè defalcati di tasse, contributi e trattenute ulteriori e completamente erogati solo nell’ultimo periodo previsto dal contratto.

Da quanto detto finora risulta evidente che governo, CGIL, CISL, UIL e sindacati autonomi satelliti si sono accordati per considerare chiuso il pregresso: quanto si è perso non tornerà più con buona pace della FLC CGIL piemontese e il nuovo contratto coprirà, in misura peraltro parziale, l’inflazione degli anni a cui è riferito.

Per completezza di informazione va detto che i sindacati concertativi non hanno fatto questo accordo per amore del governo, ne hanno tratto, infatti, due vantaggi:

  • la parziale restaurazione di meccanismi concertativi che, nella prima fase, il governo Renzi aveva in parte smantellato e in parte promesso di smantellare;

  • la destinazione di parte dei sontuosi aumenti previsti ai fondi pensioni da loro gestiti, e al misterioso welfare aziendale sempre a gestione corporativa ecc..

Su questa base, e in mancanza di una mobilitazione dei lavoratori del settore pubblico, la contrattazione sembrava destinata a ridursi a una breve storia triste.

Invece non è proprio così, infatti il 23 Dicembre 2017 alle 03,56 del mattino secondo il miglior stile sindacale la ministra Marianna Madia può annunciare trionfalmente “Dopo quasi 10 anni di blocco contrattuale, è stato appena firmato, con le organizzazioni sindacali, il primo nuovo contratto dei dipendenti delle PA.”.

Si tratta del primo dei quattro contratti (Scuola Università Ricerca, Sanità, Enti locali, Enti Centrali e cioè i ministeriali e i dipendenti delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici) e riguarda, appunto, solo gli enti centrali, circa 247.000 lavoratori, che dovrebbe fare, secondo quanto dichiarato dalla ministra, da apripista agli altri.

Sul piano economico è arrivato quanto previsto, 85 euro lordi e quindi 50 euro netti in media, e si è risolto il problema dei lavoratori che godono del bonus di 80 euro che altrimenti ci avrebbero rimesso.

La parte più interessante però è arrivata quando si è passati alla normativa; vediamo cosa afferma, fra l’altro con evidente soddisfazione, Il Sole 24 ore del 26 dicembre 2017:

Più voce ai sindacati, bonus eccellenza del 30%. Le organizzazioni dei lavoratori non saranno più solo informate delle decisioni prese dall’amministrazione, ma si darà vita a un confronto (una sorta di concertazione nella versione 2.0) e, nelle materie che hanno riflessi sugli orari e sull’organizzazione del lavoro, si potrà anche contrattare (da turni a straordinari). I bonus di eccellenza non potranno più ricadere nella stessa proporzione su tutti e la maggiorazione del premio rispetto al resto del personale sarà del 30%.”

Di nuovo, è chiaro che CGIL CISL UIL rientrano nel meccanismo corporativo e che, nel contempo, solo il 30% del personale potrà essere premiato, un po’ di sana meritocrazia concordata fra aziende pubbliche e sindacati concertativi fa fino e non impegna.

Se questa è la carota, sempre più piccola e sempre più dura, passiamo al bastone.

Pugno duro sulle assenze «strategiche. Si rimarrà fuori dall’ufficio e senza stipendio fino a due assenze ingiustificate in continuità con le giornate festive. La stessa sanzione è prevista per ingiustificate assenze di massa. Se la condotta si ripete si passa al licenziamento. E non si scappa, visto che tutto sarà registrato in un ‘fascicolo personale’. Soprattutto quando in un ufficio si registrano tassi di assenteismo anomali, non giustificabili, a rimetterci saranno tutti, visto che il monte premi non potrà essere aumentato. Una clausola tuttavia direziona le sanzioni maggiori sui singoli assenteisti”

Si introduce, insomma, la sanzione collettiva volta a fare dei colleghi dei birbi i loro controllori, pena il rimetterci anche se tengono comportamenti virtuosi. Un principio effettivamente democratico, si affida al popolo il controllo sociale.

Tanto per gradire si aggiunge:

Stretta contro abusi legge 104. Di norma i permessi previsti dalla legge 104 sulla disabilità andranno inseriti in una programmazione mensile e solo in caso di “documentata necessità” la domanda potrà essere presentata nelle 24 ore precedenti. Intanto le tutele previste per le terapie salvavita vengono estese anche ai giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali dei trattamenti (con un limite temporale di 4 mesi). Arrivano inoltre i permessi ad hoc per visite specialistiche.”

Insomma si rende il ricorso ai permessi ex legge 104 più difficile e complicato.

Per concludere, è bene segnalare il secco peggioramento della normativa sulle assenze per malattia, basti ricordare che dal 13 gennaio la visita fiscale può essere disposta anche più volte per lo stesso evento morboso e ripetuta fino a due volte nella stessa giornata: nella normativa precedente erano esclusi – tra gli altri – i dipendenti cui era già stata effettuata una visita fiscale nel periodo di prognosi del certificato medico. Rimangono invariati gli orari giornalieri di reperibilità (9-13 e 15-18).

Sono ristrette ulteriormente le clausole che prevedono l’esclusione dall’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità: chi è in infortunio sul lavoro deve rispettare le fasce di reperibilità; lo stesso vale per chi ha patologie connesse ad una invalidità inferiore al 67%.

Il paradosso o, se si preferisce, uno dei paradossi del contratto scuola attualmente in discussione, consiste nel fatto che la bozza sulla quale i sindacati concertativi discutono, una bozza fornita dall’ARAN, l’agenzia governativa che si occupa della contrattazione nel pubblico impiego, non è pubblica con l’effetto che le voci che circolano sono le più disparate.

Tenendosi a quanto è certo, si sa che il governo punta su due obiettivi fra loro coerenti:

  • un prolungamento di fatto dell’orario di lavoro mediante l’introduzione della formazione in servizio come obbligo e la modifica di alcune norme quale quella che regola le attività funzionali all’insegnamento;

  • il rafforzamento del potere di sanzionare da parte dei dirigenti.

E’ interessante notare che, al momento in cui scrivo, gli stessi sindacati concertativi si rifiutano di firmare una porcheria del genere nella consapevolezza che, a fronte di aumenti miserabili, un peggioramento secco della normativa produrrebbe un malessere della categoria pericoloso anche per loro.

E che sia un timore non del tutto irragionevole lo dimostrano eventi apparentemente minori come lo sciopero del 30 giugno del Liceo Regina Margherita di Torino contro una dirigente vessatoria che ha visto la partecipazione della grande maggioranza dei docenti con il sostegno delle famiglie e degli studenti, una prova del fatto che la questione dell’incrudimento della gerarchia è molto sentita e che, basti pensare agli sforzi dell’Ufficio Scolastico Regionale per bloccare ad ogni costo lo sciopero del Regina Margherita, il timore che questo tipo di pratiche si diffonda è fondato.

E che la categoria dei lavoratori della scuola non sia del tutto annichilita lo dimostra il fatto che allo sciopero dell’8 gennaio in difesa delle maestre diplomate magistrali colpite da una sentenza del consiglio di stato che le pone a rischio licenziamento hanno partecipato molte colleghe e colleghi per solidarietà e cioè, nel senso alto e nobile del termine, per ragioni politiche.

Segnali di fumo che non vanno sottovalutati. Una prima verifica l’avremo in occasione dello sciopero del prossimo 23 febbraio che tocca due temi, la vertenza delle diplomate magistrali e il contratto.

Per ora si tratta di lavorare per la riuscita dello sciopero, un compito non facile ma nemmeno privo di interesse.

Cosimo Scarinzi


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