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Uno sciopero magistrale

Uno sciopero magistrale

Una tesi di fondo va affermata immediatamente: le tre settimane appena passate hanno visto lo sviluppo di un movimento nel senso proprio del termine – costituzione di coordinamenti locali, scoperta di forme di azione in precedenza lontanissime dal vissuto di gran parte di queste lavoratrici e soprattutto l’affermarsi di un linguaggio e di un’identità.

Mi permetto un paragone che potrà sembrare un po’ forte, se pensiamo all’affermarsi del movimento femminista negli anni ’70 si può affermare che il mito fondativo, il nucleo caldo che ne faceva la forza si poteva riassumere nella frase “donna è bello!”, come potente rovesciamento di un pregiudizio sociale sedimentato nel tempo; ebbene, fatte le dovute proporzioni, dal punto di vista comunicativo, la frase “la maestra non si tocca!” è una rivendicazione altrettanto forte di un ruolo sociale che storicamente nella gerarchia formale dei docenti le colloca in una posizione subalterna. Non a caso vi sono “la maestra” e “il professore”; posizione ulteriormente ribadita quando una sentenza del Consiglio di Stato a sezioni congiunte afferma che il diploma magistrale non è abilitante e che quindi le insegnanti diplomate anche come maestre retrocedono rispetto alle maestre laureate.

Nel farsi del movimento che ha ovviamente al centro rivendicazioni di sicurezza del posto di lavoro e di reddito è quindi fondamentale l’altrettanto importante rivendicazione della dignità e dell’importanza del proprio lavoro e dello specifico percorso formativo che lo caratterizza.

Un altro aspetto assolutamente evidente è che si tratta di un movimento di donne, la cui leadership reale, quella che sta sul campo, costruisce relazioni, socializza competenze è fatta, appunto, da donne.

Detto ciò sarebbe una ingenuità evidente sottovalutare il ruolo dei soggetti sindacali e parasindacali in campo, sia come avversari o sostenitori untuosi (cgil, cisl, uil, snals, gilda) sia come strutture organizzate in relazione col movimento. Da questo punto di vista, abbastanza velocemente si sono definiti due poli in problematica relazione fra di loro e con alcune zone di sovrapposizione.

Da una parte, e in primo luogo, l’Anief, una struttura specializzata in ricorsi sulla cui base ha accumulato imponenti risorse economiche e un elevato numero di iscritti, con evidenti relazioni sia con l’amministrazione della scuola sia con la classe politica, una versione da terzo millennio del tradizionale sindacalismo autonomo di cui casomai porta alle estreme conseguenze le caratteristiche di spregiudicatezza, “apoliticità” esibita, adattamento all’immediata sensibilità della platea di riferimento. In una posizione formalmente simile ma sostanzialmente diversa agivano alcune associazioni delle insegnanti diplomate che da anni agiscono essenzialmente sul piano legale senza però aver assunto per attitudini e dimensioni le caratteristiche dell’Anief.

Con caratteristiche invece radicalmente diverse anche se vi sono stati momenti di inevitabile confluenza nelle stesse iniziative il sindacalismo di base, in primo luogo la Cub Scuola, ma anche indubbiamente i Cobas e l’Unicobas. La Cub, in particolare a Torino, città che ha svolto un ruolo di apripista, ha dato vita, con altri a un presidio/blocco stradale il 27 dicembre, a un presidio/blocco stradale/corteo il 3 gennaio e a un presidio/blocco stradale/ corteo selvaggio l’8 gennaio. Non va, però, dimenticato il fatto, che a Milano il 27 dicembre si è svolta un presidio analogo a quello torinese e l’8 gennaio vi è stato un numeroso corteo, entrambi animati da un coordinamento che non fa riferimento a nessun sindacato e che un po’ ovunque sono sorti coordinamenti spontanei che hanno svolto e svolgono un ruolo di straordinaria rilevanza. Insomma, una dialettica, fra organizzazioni pre esistenti, movimento, organismi di lotta velocemente sviluppatisi e coordinatisi.

Un quadro plastico della situazione si è dato l’8 gennaio quando, contemporaneamente vi è stata a Roma una manifestazione di diverse migliaia di persone di fronte al Ministero dell’Istruzione Università Ricerca, come si è già ricordato una grossa manifestazione a Milano, una di dimensioni ragguardevoli a Torino e molte altre di più che discreta consistenza un po’ ovunque da Genova a Venezia, dalla Sardegna a Modena per citarne solo alcune. Insomma, nei suoi limiti, un vero e proprio sciopero di massa.

A Roma, in particolare, le scalinate del MIUR erano occupate da due diversi spezzoni di diplomate magistrali, sulla sinistra la CUB e sulla destra l’ANIEF con una non voluta ma suggestiva corrispondenza fra collocazione nello spazio e riferimenti culturali, oltre a ciò vi erano diversi gruppi autorganizzati vivaci e combattivi.

Una giornata vivace che non ha visto la presenza del sindacalismo istituzionale che sconta la mancanza di coraggio e di fantasia sociologica e il voler tener buoni un po’ tutti i gruppi che animano la scena, in particolare le maestre diplomate magistrali e le laureate in scienze della formazione primaria che vengono presentate come il soggetto danneggiato dalle prime.

Una giornata che è stata una vittoria che costringe l’avversario a fare un passo indietro, ma anche la giornata che apre una nuova fase nella quale il MIUR apre alla contrattazione con il sindacalismo non istituzionale con la probabile, essere malvagi è sempre opportuno, intenzione di dividere il fronte delle lavoratrici in lotta concedendo qualcosa a qualcuna per staccarlo dalle altre e chiudere la lotta con una sostanziale sconfitta delle lavoratrici.

È un pericolo reale: decenni di inquadramento subalterno, la corruzione portata dalla pratica sindacale istituzionale e dal clientelismo governativo e partitico senza dimenticare i veri e propri ricorsifici che speculano sulla disperazione dei precari non sono stati certo spazzati via da qualche settimana di mobilitazione ed è su questo humus che può crescere la divisione interna al nostro fonte. È quindi questo il momento che richiede il massimo di lucidità, coordinamento, determinazione per tenere compatto il proprio fronte e giocare sulle fratture interne a quello avversario, principalmente sul malessere dei settori dell’amministrazione scolastica che gestiscono le relazioni dirette con il personale e l’utenza e che spesso, scontando le conseguenze del disastro determinato dalla sentenza indecente, si sono pronunciati a favore delle lavoratrici e persino sullo sciacallaggio dei vari soggetti politici che, in attese delle elezioni, si scoprono amici delle maestre. Non si tratta, è ovvio, di dare loro fiducia ma semplicemente di approfittare delle tensioni interne al ceto politico stesso. Una sfida comunque interessante.

Cosimo Scarinzi

DATI SCIOPERO 8 GENNAIO

Dai dati sull’andamento dello sciopero dell’8 gennaio forniti dal MIUR e purtroppo non disaggregati per ordine di scuola è comunque possibile trarre molte interessanti indicazioni. Proverò a fornirne alcuni arrischiando una valutazione.

I docenti che hanno scioperato a livello nazionale sono 28.441 su 814979 colleghi in servizio e cioè il 3,4%. Un dato apparentemente modesto ma solo apparentemente.

Se, infatti si parte dal fatto che lo sciopero non ha coinvolto la scuola secondaria, gli ata e i dirigenti – solo per celia rilevo che in questo settore non c’è stato nemmeno uno scioperante – è evidente che ha scioperato più del 10% dei colleghi e delle colleghe e cioè molti di più di quelli che partecipano agli scioperi del sindacalismo di base e di quello istituzionale.

Se ipotizziamo, inoltre, che il grosso degli scioperanti è stato fra le insegnanti diplomate magistrali direttamente coinvolte, si può ragionevolmente ipotizzare che in questo segmento di categoria ha scioperato oltre il 40% delle colleghe anche se non va sottovalutato il dato, importantissimo, delle molte colleghe non direttamente coinvolte che hanno partecipato allo sciopero e delle scuole chiuse l’8 gennaio.

Infine, il fatto che almeno un terzo delle scioperanti e degli scioperanti fosse in piazza l’8 gennaio, che molti abbiano affrontato un viaggio faticoso, ci da un ulteriore elemento di giudizio positivo sulla giornata dell’8 gennaio.

Proviamo ora, sempre sulla base dei tabulati ministeriali, a fare alcune valutazioni più articolate. Le regioni nelle quali l’adesione è stata più alta sono Liguria (9,1%), Sardegna (8,84%), Piemonte (6,82%), Toscana (5,83%) e Lombardia (4,92%).

Come è noto, Sardegna e Toscana sono sempre le due regioni più combattive fra i lavoratori della scuola. Si tratta comunque di una partecipazione straordinaria che testimonia, con ogni evidenza, la partecipazione di lavoratori e lavoratrici non direttamente coinvolti negli effetti della sentenza indecente.

Le città dove la partecipazione è stata più alta sono Genova (11,67%), Torino (10,76%), Pisa (10,67%), Sassari (10,54%), Livorno (9,66%), Trieste (8,81%), Cagliari (8,65%), Nuoro (8,09%), Savona (7,92%), Ravenna (6,93%), Lucca (6,33%), Ferrara (6,17%) e Milano (6%).

Viene confermato il dato che già emergeva considerando la partecipazione allo sciopero a livello regionale. Lo sciopero si è svolto in misura massiccia nel centro nord più la battagliera Sardegna. La differenza così netta rispetto al sud si può spiegare col fatto che in quest’area non sono state fatte immissioni in ruolo ma sono stati dati solo incarichi con l’effetto che non c’è stato il trauma del passaggio dalla condizione da docenti a tempo indeterminato a quella di lavoratori senza garanzie.

Si tratta, comunque di una prima ed approssimativa valutazione che va approfondita sia dal punto di vista quantitativo mediante la raccolta di dati scuola per scuola che, soprattutto, qualitativo mediante la valutazione dell’andamento dello sciopero.


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