L’involuzione progressiva dell’Istituto Autonomo Case Popolari
Gli Istituti Autonomi delle Case popolari (IACP) nascono nel 1903 come enti di edilizia popolare allo scopo di garantire affitti abitativi a canoni calmierati. Nel dopoguerra continuano ad avere tale funzione ai fini di garantire un’abitazione a chi non ha una casa. Ma nel 1996 avviene la svolta: in considerazione del fatto che molte famiglie scelgono di acquistare la casa, si fa la scelta politica di incentivare ulteriormente il mercato privato. Viene presa la decisione di sopprimere i contributi aziendali, dal versamento del 0,35% a carico dei lavoratori (spostandolo in altre voci nella busta paga) alla quota versata dall’azienda (già ridotta a 0.35%) nel dicembre del 1998; nello stesso anno scompare anche dal bilancio dello Stato ogni finanziamento dell’Edilizia Residenziale Pubblica. Quindi si tolgono i fondi su cui si reggeva l’Edilizia Popolare. Che fine fanno i fondi accumulati nei versamenti fino a quel momento rimarrà un mistero mai ben chiarito. Sempre nel 1998, sotto il governo Prodi di centro-sinistra, con decreto legislativo, il settore abitativo del patrimonio residenziale pubblico viene trasferito alla competenza delle Regioni, diventando “Aziende Case”, ma senza trasferimento di risorse. Nello stesso anno, sotto il successivo governo D’Alema, sempre di centro-sinistra, con un’alleanza trasversale che giunge fino ad Alleanza Nazionale, viene abolito l’equo canone, aprendo la strada alla liberalizzazione degli affitti.
La conseguenza di ciò è che gli enti di Residenza Pubblica si devono trovare da sé il finanziamento per ristrutturazioni e nuove costruzioni abitative. Questo apre la strada alla svendita del patrimonio pubblico, per cui ogni quattro edifici svenduti se ne può costruire uno nuovo. Da tali scelte politiche consegue una sempre maggior inefficienza delle Aziende Case (ex IACP), che si manifesta nelle mancate ristrutturazioni, nella lentezza delle assegnazioni e nei tantissimi alloggi lasciati vuoti per non essere messi a norma. Ne deriva che nel nostro Paese la Residenza Pubblica rappresenta solo il 4%, rispetto al 16,8% della Francia e al 17,80% del Regno Unito. Quindi l’ente dell’Edilizia Pubblica ha abdicato alla sua principale funzione a favore del mercato privato, diventando la principale causa di difficoltà nel risolvere il problema abitativo: tutto questo soprattutto ai danni di lavoratori, lavoratrici e della parte della popolazione più disagiata.
La bufala del Piano Casa del governo Meloni
Al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, alla fine dell’agosto scorso, la Meloni dà l’annuncio del Piano Casa: “Una delle priorità su cui intendiamo lavorare con Matteo Salvini, che ringrazio, è un grande Piano Casa a prezzi calmierati per le nuove coppie. Perché senza una casa è più difficile costruire una famiglia”. Così si rivolge la presidente del consiglio alla platea di Comunione e Liberazione intrisa di retorica e ipocrisia, che va in estasi quando sente parlare di difesa della famiglia. Peccato che il suo governo continua a raffica tutti i giorni, e con vanto, a sgomberare intere famiglie, uomini, donne e bambini buttati in mezzo alla strada senza alcuna alternativa. Quello che la Meloni non dice è che Salvini sta lavorando già da due anni al progetto Piano Casa dichiarando che “occorrono 15 miliardi per attuarlo” e che non si trovano, essendo troppo impegnato nel drenaggio di fondi per il progetto del Ponte sullo Stretto. Ma lo stile del governo Meloni è quello di una politica degli annunci, anche e soprattutto quelli che, come nel caso del Piano Casa, non hanno gambe per camminare in mancanza di fondi. La controprova della vacuità delle sue promesse ce l’abbiamo proprio con la nuova legge Finanziaria che si sta discutendo. Si parla forse di risorse da investire sul problema case? Al contrario, si parla di tagli ai servizi sociali e di far stringere la cinghia alla popolazione per pareggiare i conti in funzione di un ulteriore e progressivo aumento delle spesi militari, come già programmato. Per quello sì che si trovano i soldi.
Dal Piano Casa alla legge per velocizzare gli sfratti
Mentre la Meloni si riempie la bocca di un inesistente “Piano Casa” la triste realtà è che, in contrasto con queste boutade propagandistiche, il suo governo sta procedendo ad attivare ulteriori leggi repressive allo scopo di velocizzare gli sfratti per morosità, schierandosi unilateralmente dalla parte dei proprietari di case, calpestando il diritto all’abitare per quanti non hanno un reddito adeguato a sostenere affitti in continuo aumento in conseguenza di un mercato speculativo. Ci riferiamo al disegno di legge già depositato in senato dal senatore FdI Paolo Marcheschi per velocizzare le procedure di sgombero. Si propone l’istituzione di una nuova Autorità Amministrativa per l’esecuzione degli sfratti che farà capo direttamente al Ministero della Giustizia, scavalcando il Tribunale ordinario, in una logica accentratrice propria della destra. La legge prevede che, quando l’affitto non viene pagato per due mesi consecutivi, all’inquilino si concedono 15 giorni per saldare le due rate saltate. In caso di mancato pagamento l’Autorità può disporre lo sgombero entro 7 giorni e passa direttamente all’Ufficiale Giudiziario, con ulteriori 30 giorni per l’esecuzione. Si introduce così una procedura di sfratto che si dovrebbe concludere entro un periodo compreso fra i 2 e i 4 mesi dalla richiesta iniziale, accorciando drasticamente i tempi attuali. Ci può essere una proroga al massimo di 90 giorni per l’esecuzione, in caso di redditi inferiori a 12.000 euro, o per cause di forza maggiore, come un licenziamento per crisi aziendale, un malato grave o una separazione, o nel caso di chi ha figli minori, parenti anziani, non autosufficienti o disabili. Ma dopo la proroga di 90 giorni sempre se ne debbono andare. Per questi casi si attingerà ad un Fondo Nazionale per l’Emergenza Abitativa, una balla grande come la casa dalla quale vengono cacciati, perché si tratta di scatole vuote, un altro annuncio senza fondamento, in linea con lo strombazzato Piano Casa senza fondi.
Dalla propaganda alla realtà
A Bologna due famiglie con figli a carico e disabili sono state sgomberate violentemente. Questa è la realtà quotidiana dei quartieri popolari in cui gli sgomberi sono all’ordine del giorno, con famiglie che vengono letteralmente sbattute in strada e debbono arrangiarsi. Solo se hanno minori a carico a volte, attraverso l’assistente sociale, la famiglia viene divisa: la madre con i figli può essere ospitata in un albergo a spese del Comune per la durata di un mese, poi, se vuole continuare a stare lì, deve farlo a spese proprie; mentre al marito al massimo si offre un posto nel dormitorio pubblico. Così di sostiene la tanto declamata famiglia. A livello nazionale sono stati eseguiti 21.000 sfratti in un anno in presenza di 40.000 richieste di esecuzione di sfratti, mentre a Milano e provincia gli sfratti eseguiti sono stati circa 2000. I Comuni dovrebbero mettere a disposizione alloggi provvisori per situazioni di emergenza, ma non lo stanno facendo nemmeno nella efficiente Milano, dove ci sono attualmente 300 famiglie in questa condizione. Siamo a conoscenza che nel quartiere di San Siro ci sono delle abitazioni predisposte a questa funzione, ma non vengono messe a disposizione con il pretesto che non sono state messe a norma. Tutto questo viene accompagnato da una campagna di fuoco, da parte della stampa padronale e dalle TV berlusconiane, volta a creare una cortina fumogena di discredito sulla questione casa, nella stessa logica usata verso il Reddito di Cittadinanza. Lo scopo è di criminalizzare il movimento degli occupanti di case vuote, puntando il dito su casi limite di occupazione di abitazioni già occupate o confondendolo con il triste fenomeno di bande che con il commercio delle occupazioni traggono guadagno: una generalizzazione utile ad una campagna diffamatoria che accusa gli occupanti per necessità di essere “ladri di case”. In realtà i veri ladri di case sono le istituzioni degli enti di case popolari e del Comune stesso, che volutamente tengono vuoti migliaia di appartamenti (solo nel quartiere di San Siro sono 600 e 10.000 a Milano) con costi dovuti a spese di riscaldamento e soprattutto ad un mancato utile di affitto. Va ricordato inoltre che il Decreto Sicurezza approvato recentemente punisce chi occupa le case anche per necessità con pene fino a 7 anni, passando come un rullo compressore sui bisogni degli strati più disagiati della popolazione.
È necessario che si costituiscano Comitati di abitanti di alloggi acquistati, di assegnatari di case popolari, di senza casa e di famiglie in attesa di assegnazione, allo scopo di esercitare un controllo sugli enti e di mettere in atto mobilitazioni e lotte perché vengano attuate le ristrutturazioni adeguate, perché si proceda alle assegnazioni di alloggi vuoti e si assuma la cura ambientale dei quartieri.
Enrico Moroni