28 novembre – scuola in sciopero. Ancora in piazza contro la finanziaria di guerra

Lo sciopero generale dello scorso 3 ottobre ha visto una larghissima partecipazione del settore scuola, con un dato di adesione nazionale di comparto del 9,05%. Una media che difficilmente si raggiunge, considerando la grande diffusione delle scuole sul territorio e la conseguente grande frantumazione dei luoghi di lavoro. Livorno è risultata la provincia con la percentuale di adesione più alta in tutta Italia, raggiungendo il 29,54%, oltre il triplo della media nazionale: un dato che lascia molto soddisfatta Unicobas Scuola, da decenni unico sindacato di base territorialmente attivo nel settore, ma che è da leggere soprattutto il relazione al momento in cui c’è stato lo sciopero e alla situazione singolare venuta a crearsi con la mobilitazione del porto di Livorno, che ha creato una straordinaria aggregazione convogliata in modo significativo nella giornata del 3 ottobre.

Il 28 novembre saremo di nuovo in sciopero, sicuramente in modo diverso, ma sempre con un forte aggancio – purtroppo ancora necessario – alla situazione di guerra. Dobbiamo confrontarci con una povertà diffusa in cui servizi e salari sono pesantemente aggrediti, come evidenziato dalla legge Finanziaria in discussione; e questo non solo perché ai lavoratori salariati si devono sempre e comunque imporre crisi, precarietà e ricatto occupazionale – essenza dello sfruttamento – ma anche perché siamo sottoposti ad una vera e propria economia di guerra. La questione non è certo nuova, ma si è intensificata negli ultimi anni con il moltiplicarsi delle missioni militari all’estero, con la guerra in Ucraina, con la guerra in Medio Oriente. Già nell’autunno 2021 il sindacalismo di base unitariamente proclamava uno sciopero che aveva come obiettivo anche la contrapposizione alle spese militari e alla guerra. In questi anni all’escalation bellica è corrisposto un impegno economico di cui tutte e tutti abbiamo fatto e stiamo facendo le spese. E l’aumento delle spese militari già enorme (+ 38,5% rispetto allo scorso anno) previsto dalla Finanziaria attualmente in discussione verrà ulteriormente incrementato nel primo semestre del 2026 con le spese per il piano di riarmo europeo Readiness e con gli interessi del relativo indebitamento già programmato per sostenerle.

È in questo scenario disastroso che si colloca lo sciopero del 28 novembre contro quella che è a tutti gli effetti una Finanziaria di guerra.

La scuola ha moltissime ragioni per scioperare. Il contratto di comparto firmato qualche settimana fa da Cisl, Uil, Snals, Gilda e Anief copre in realtà il triennio 2022-2024, quindi è già scaduto da un anno, praticamente nato morto. Gli aumenti irrisori decorreranno nei primi mesi del 2026 aggirandosi su una media di 48€ per i docenti e 35€ per gli ATA, con un recupero inconsistente di solo il 6% rispetto a un’inflazione che si aggira sul 18%. Una miseria che, in questo caso, non è solo imposta dall’economia di guerra, ma dai famigerati accordi siglati dai sindacati concertativi che da qualche decennio a questa parte inchiodano gli aumenti sotto il tetto dell’inflazione programmata, lontana peraltro anni luce da quella reale.

Se questa è la spettrale realtà del rinnovo contrattuale, la Finanziaria pianifica per la scuola altrettanti disastri. Il taglio di 480 milioni sull’edilizia scolastica va a colpire ulteriormente una situazione di degrado strutturale che vede un edificio scolastico su tre non a norma e i fondi PNRR per l’edilizia scolastica finalizzati unicamente alla costituzione di ambienti digitali, alla faccia di qualsiasi sicurezza. L’organico di potenziamento, assegnato qualche anno fa alle scuole come risorsa per consolidare attività progettuali, sarà obbligatoriamente utilizzato per la copertura di supplenze brevi, impoverendo l’offerta formativa e riducendo la possibilità di lavoro per tanti precari. È previsto inoltre un taglio di 2000 posti ATA e 6000 posti docenti, che significherà aumento generalizzato dei carichi di lavoro e aumento del numero di alunni per classe, perpetuando il trend delle classi pollaio, con peggioramento delle condizioni di apprendimento per gli studenti. Una condizione che è destinata ad aggravarsi con l’avanzare dei piani di quadriennalizzazione della scuola superiore e con ciò che comporterà la perdita di un anno.

Ma il 28 novembre la scuola sciopera anche contro il pesante attacco repressivo che sta subendo. Sappiamo bene che all’intensificarsi della guerra guerreggiata corrisponde una guerra interna che si traduce in maggiore controllo sociale; sappiamo che un’economia di guerra impone le restrizioni anche a colpi di disciplinamento. Abbiamo visto in questi ultimi anni esplicitare queste politiche da un governo di ultradestra felicissimo di sfornare decreti sicurezza, inventare ulteriori reati, creare zone rosse, criminalizzare qualsiasi dissenso. La scuola non è stata esente da questi processi: dal codice disciplinare per i docenti al voto di condotta per gli studenti, alle sanzioni disciplinari utilizzate come strumento ordinario dai Dirigenti. Una tendenza che negli ultimi mesi si è intensificata. All’inizio dell’anno scolastico l’Ufficio scolastico regionale del Lazio vietava che nelle riunioni dei Collegi docenti venissero portate in discussione questioni legate allo scenario bellico internazionale e in particolare al genocidio di Gaza.

Dei ben tre disegni di legge (Romeo, Scalfarotto, Gasparri) che equiparano antisionismo ad antisemitismo il DdL Gasparri n.1627 interviene segnatamente sulla scuola criminalizzando e sanzionando penalmente qualsiasi approccio critico alla politica dello stato di Israele e addirittura imponendo ai docenti di segnalare interventi o prese di posizione orientate in tal senso. Lo scorso 4 novembre il ministero ha bloccato il riconoscimento di un corso di formazione organizzato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Tre giorni dopo a tutte le scuole è stata indirizzata una nota ministeriale che raccomanda minacciosamente di garantire il pluralismo nell’affrontare con gli studenti tematiche politiche e sociali.

Oltre al generale portato repressivo che investe tutta la società, è evidente l’attenzione che il governo riserva alla scuola, un settore che, insieme all’università, ha risposto in modo massiccio agli scioperi e alle recenti manifestazioni contro le guerre, la crescente militarizzazione e il genocidio a Gaza. E la scuola risponde scendendo in piazza il 28 novembre, a fianco di altre categorie, situandosi con determinazione in una giornata di sciopero generale che si presenta con caratteristiche assai diverse da quello del 3 ottobre, con la complicazione dello sciopero diversivo lanciato dalla CGIL in altra data, ma soprattutto in un clima differente, senza quella forte tensione creatasi attorno alla vicenda della Flotilla e alla fase particolarmente cruda dei bombardamenti a Gaza che aveva fatto assumere al 3 ottobre le caratteristiche di uno sciopero politico sociale. Il 28 novembre lo sciopero torna ad essere pienamente sindacale, rivendicativo di condizioni salariali e occupazionali realmente migliori, di investimenti sul sociale, di contrasto alla povertà e al carovita, e su questo piano gioca la propria forza di opposizione alla guerra, al riarmo, al governo.

Patrizia Nesti

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