Agripunk sta nel paesaggio toscano “scomodamente”: costituito da sei capannoni industriali annidati tra le colline a poca distanza dall’abitato, fu fattoria, sede delle truppe tedesche durante la seconda guerra mondiale ed allevamento intensivo di tacchine. Oggi è un luogo unico nel suo genere, in cui antispecismo, transfemminismo, antifascismo militante e punk hardcore si incontrano nella pratica e nella lotta quotidiana.
Quando David (che già abitava in zona) e Desirée (in arrivo dal Veneto) cominciarono ad approcciarsi al luogo, esso era un allevamento intensivo di tacchine, dove transitavano migliaia di individui destinati alla grande distribuzione tramite il marchio Amadori, che fornisce anche MacDonalds. L’odore del guano stantio e dei corpi in putrefazione lasciati a marcire era irrespirabile e inondava tutta la valle e il vicino paese di Ambra rendendo la vita impossibile per * residenti. Dez e David dettero vita ad una campagna di pressione realizzando dei video sulle condizioni all’interno dell’allevamento, banchetti e altre attività che portarono alla chiusura dell’attività, chiudendo una storia di sfruttamento animale che durava da decenni e aprendo un nuovo capitolo che dura tuttora.
Agripunk si “prende” il podere: per garantire la sicurezza delle persone non umane che si trovano nel rifugio bisogna soddisfare la burocrazia statale, che non riconosce il concetto di “rifugio”, ma solo quello di agro-business. Agripunk riuscì ad ottenere un “codice stalla” proprio come se fosse un allevamento “normale”. Lo status giuridico delle persone non umane in Italia è caratterizzato dall’ipocrisia specista e da un sistema che divide gli animali in DPA e non-DPA (ovvero Destinati alla Produzione Alimentare o non-). Con diverse difficoltà, Agripunk è riuscita ad ottenere che gli individui che entrano a vivere lì abbiano status di “non-DPA”, così anche per la burocrazia escono definitivamente dalla filiera alimentare. Un bel precedente, che è stato utile anche ad altri rifugi e che ha anticipato il decreto che dal marzo 2023 ha parzialmente riconosciuto lo status giuridico dei rifugi. E così, con piglio DYI e tanta pazienza, Dez e David hanno imparato a fare tutti i mestieri necessari in campagna, continuando le pratiche che rendono Agripunk diverso da tanti altri rifugi. Per esempio, Agripunk non si definisce “santuario”, parola utilizzata in contesti più spirituali, preferendo la parola “rifugio” proprio perché in sintonia con la storia del luogo richiama l’idea politica di persone rifugiate, che scappano, escono, si svincolano, si ribellano e trovano per tutta o parte della loro vita un altrove da abitare. La lotta antispecista e la cura costante delle persone non-umane costituisce una buona parte dell’attività ad Agripunk, ma non è l’unica: lo spazio è fisicamente suddiviso in varie zone al coperto dove si fanno le iniziative, (concerti, workshop, dibattiti, la serigrafia…) e poi i pascoli, i capannoni, le aree dedicate alle persone non umane. Sono spazi divisi ma in continuità, che formano “un corridoio ecologico” che unisce anche fisicamente le varie lotte. Le iniziative sono “separate” ma alla presenza degli animali. La lotta all’oppressione tiene tutto insieme in modo molto spontaneo e naturale, oppressioni non pensate individualmente, ma vincolate tra loro, perché possono colpire ed essere agite da chiunque. La sottomissione de* viventi è funzionale al profitto, quindi l’anticapitalismo senza opposizione alla zootecnia è incompleto. Ad Agripunk l’intersezione delle lotte viene fuori da sé: eventi sul Rojava, o a tema transfemminista e concerti di band indipendenti convivono a fianco alle soggettività libere. Negli anni Agripunk ha ricevuto la solidarietà di decine di persone, organizzazioni, band antispeciste, ma uno dei concetti di base – valevole sia per le band che per l* volontar* – è che Agripunk non è aperta solo a realtà o individualità antispeciste, perchè tutt* abbiamo cominciato da qualche parte, e perché, dice Dez «se non sei [vegan antispecista] è perché non lo sei ancora».
La liberazione dell’allevamento intensivo ha migliorato anche le condizioni della popolazione locale, che ha apprezzato di essere stata liberata dalla puzza terribile che le rovinava la vita. Ormai non riuscivano neanche a trovare acquirenti per le loro case, se avessero voluto andare a vivere altrove. Sono ripartite anche altre attività all’aria aperta in paese, che prima scarseggiavano. Ogni tanto qualche pensiero più radicale può essere visto con diffidenza, ma tutto sommato viene accolto. La cultura della carne in Toscana è molto forte, e purtroppo, la mitologia dell’”eccellenza della carne” si porta dietro anche l’illusione del “welfare animale”, secondo cui le persone non umane sfruttate per creare i prodotti più di lusso, come la “chianina”, vivrebbero in condizioni privilegiate da cui la crudeltà è perfettamente assente. E in effetti, benché la maggior parte delle persone umane condanni gli allevamenti intensivi, è l’unico modo per avere la carne a buon prezzo (e partecipare a quello che storicamente è stato un privilegio per ricchi). Invece di diventare vegan, si illudono cercando la “carne felice”. La forza della tradizione è enorme: basti pensare al Palio di Siena, contro cui sembra impossibile dire alcunché, o altre manifestazioni simili altrove.
Dove siamo ora: il progetto fin da subito aveva come obiettivo non solo la chiusura dell’allevamento, ma la creazione di una realtà sostenibile e duratura. Tra mille peripezie legali la lotta va avanti da 10 anni grazie alla solidarietà di tant* volontar* e solidali, grazie all’autogestione e all’autofinanziamento, con un’idea ben chiara di un mondo diverso. Ora Agripunk è un rifugio per più di 100 individui non umani (mucche, capre, galline, suine, cani, gatti, volatili vari etc.). La situazione è in evoluzione e complessa, comunque serve urgentemente una cifra che permetta di saldare gli affitti arretrati ed acquistare il podere, mettendolo stabilmente e definitivamente a disposizione di Agripunk, impedendo che venga snaturato impiantandoci altre attività commerciali e sicuramente speciste. L* compagn* di Agripunk, assieme alle decine di solidali che hanno incrociato la loro storia negli anni, hanno realizzato una zona libera dove si pratica già oggi qualcosa di quello che in molt* vorremmo vedere in una società futura. Un progetto così fornisce il più grande nutrimento per il cambiamento: l’esempio concreto, una spinta alla creazione di altre “isole di libertà”, nella speranza che queste ultime riescano a congiungersi e a formare sacche sempre più grandi, dando rifugio e nuovo futuro ad animali – umani e non – di tutti i tipi, ai loro desideri e ai loro bisogni. Ma non solo: Agripunk è anche un presidio permanente che monitora le attività zootecniche in zona e “rompe le scatole” all’agrobusiness locale: infatti attualmente c’è anche il progetto, sostenuto da divers* residenti, di far pressione per la chiusura di un altro allevamento che scarica reflui nocivi in zona.
Nell’isola di Agripunk la guerra tra persone umane, la guerra alla natura, le tecnologie per l’agribusiness, ma anche la violenza della proprietà e del capitale si intrecciano in modo tutt’altro che casuale, e incontrano forme di resistenza che nonostante tutto si rinnovano sempre. Da Giorgina e Lisetta, (le prime tacchine ad essere liberate) a Scilla (la mucca salvata dal mare), a tutte le persone non umane che vivono libere e felici ad Agripunk ora e tutte le altre persone che hanno attraversato il rifugio, hanno lasciato qualcosa, e preso qualcos’altro, arricchendosi reciprocamente. Quello che facciamo per spazi come Agripunk lo facciamo pure per noi tutt*.
PER DONARE
● 5×1000 AD AGRIPUNK ONLUS_ CF: 90032580517
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intestato ad Agripunk onlus – Località L’isola, Ambra (AR)
causale: erogazione liberale
Link da segnalare:
www.elettrisonanti.net/2020/01/20/agripunk–volume-01-compilation–della–stalla/
totalliberationrecords.bandcamp.com/album/benefit–compilation–for–agripunk
Julissa