Vittimismo nazionalista o “giustizia proletaria”?

nazionalismo-600x350Ripubblichiamo questo articolo del marzo 2015 scritto per il nostro giornale da Claudio Venza sulla “questione foibe”. L’intento è quello di decostruire il mito nazionalista creato ad arte operando una semplificazione delle complesse vicende nei territori del confine orientale italiano nel secondo dopoguerra.

Con la Giornata del Ricordo del 10 febbraio il Parlamento, alla quasi unanimità, aveva istituito nel 2004 una ricorrenza ufficiale per celebrare l’esodo istriano e le . La data del 10 febbraio del 1947 indica la firma del Trattato di Pace che è perciò interpretato, più di 50 anni dopo, come ingiustamente punitivo in quanto riconobbe la sovranità jugoslava sull’Istria e la Dalmazia abitata anche da italiani (o meglio, italo-veneti). La Giornata del Ricordo (ma il termine, sinonimo di “memoria”, è alquanto equivoco) ha dato lo spunto, anche quest’anno, a diverse manipolazioni più o meno maldestre.

Così, un famosissimo presentatore TV, Bruno Vespa, ha tranquillamente presentato a milioni di spettatori un documento storico: la foto di una fucilazione. La sua didascalia ha attribuito il ruolo di carnefici ai partigiani sloveni e quello di vittime agli italiani. Ebbene è vero esattamente il contrario! La fila dei fucilatori, come si vede anche dalla divisa, è quella di soldati italiani; la fila dei fucilati, come si deduce anche dai vestiti, è quella di una dozzina di contadini sloveni. Tra l’altro tale “errore” era già stato denunciato un paio di anni fa in circostanze simili: in una trasmissione televisiva a grande seguito uno storico aveva chiarito l’equivoco. Una prova in più del fatto che la propaganda nazionalista non conosce “memoria” o “ricordo” che non siano strumentali.

Accanto a questo inganno mediatico si colloca un’altra perla, stavolta di un mezzo di informazione della borghesia progressista. La “Repubblica.it” ha annunciato, presentando la Giornata del Ricordo, che in questa data si commemorano le decine di migliaia di italiani uccisi dai partigiani comunisti e gettati vivi nelle foibe dell’Istria e del Carso giuliano. E’ un dato assolutamente gonfiato per impressionare il lettore e contribuire al vittimismo nazionalista, stavolta di centro-sinistra e non più solo apertamente fascista.

Alcuni anni fa, un excomunista come Giorgio Napolitano, aveva dichiarato che al 10 febbraio si dovevano istituzionalmente ricordare le decine di migliaia di “italiani vittime degli slavo-comunisti”. In tutta tranquillità l’ineffabile personaggio aveva usato la stessa terminologia utilizzata per decenni dai neofascisti. Proprio questi ultimi hanno riscosso, nel 2004, una notevole rivincita dopo essere rimasti relativamente isolati fino al 1994, anno della vittoria elettorale della triade Berlusconi-Bossi-Fini. L’intento degli excomunisti, oggi pentiti per poter gestire parte del potere politico in alleanza con gli exdemocristiani, è risultato evidente anche in questo caso: ripudiare il passato comunista, loro o altrui, criminalizzando perfino la Resistenza antifascista a lungo presentata, da essi stessi, con una retorica martellante che ora si rivela ipocrita.

D’altronde nei giochi politici, in Italia e altrove, si realizzano scambi come questo: concediamo una Giornata della Memoria per ricordare le vittime del nazismo e otteniamo una Giornata del Ricordo per commemorare le vittime del comunismo. Anche su un piano semplicemente fattuale le dimensioni e il significato dello sterminio nazista (e fascista) con i milioni di uccisi per un progetto di dominio mondiale non sono paragonabili alle violenze postbelliche nella regione dell’Italia nordorientale e della Slovenia e Croazia. Sia chiaro che, come succede in contingenze simili, la guerra voluta dai fascisti italiani, appoggiati anche da formazioni collaborazioniste di sloveni e croati, ha procurato come prevedibile conseguenza postbellica alcune migliaia di omicidi degli oppressori ormai sconfitti. In questo contesto non si registra, logicamente, solo l’eliminazione di nemici particolarmente esposti (capi militari degli occupanti, torturatori, spie,…) ma anche dei regolamenti di conti più personali, spesso con mire non di giustizia, ma di vantaggio privato. Per questo motivo risulta assai infelice uno slogan (“Foibe=giustizia”) brandito come un’arma da parte di qualche gruppo che si autodefinisce particolarmente radicale e antifascista.

Un’altra operazione mediatica, che è stata particolarmente esaltata ai fini del vittimismo, dell’autoassoluzione e del revanscismo, si ritrova in uno spettacolo teatrale con protagonista Simone Cristicchi, già affermato cantante con impegno civile serio. Il suo spettacolo “Magazzino 18”, che riprende il nome del grande deposito dei beni portati a Trieste dagli esuli, ha offerto una rappresentazione tecnicamente avvincente. Il messaggio finale, dopo aver ricordato en passant le violenze fasciste contro le popolazioni slave, è centrato sul concetto “Ci hanno violentati e cacciati nel dopoguerra solo in quanto italiani”. In molti posti, anche in Istria, l’invito ad un uso improprio del passato in chiave neonazionalista sta riscuotendo applausi e consensi e solo qualche sporadica contestazione.

In questi ultimi anni la questione “foibe” è dilagata ben oltre i confini regionali e ha investito l’opinione pubblica di molte città. Qui, come a Udine e a Trieste, con due sindaci PD, si sono inaugurate strade e monumenti ai “martiri delle foibe” quasi per farsi perdonare il fatto di non aver abbastanza sostenuto negli anni passati gli esuli istriani, gestiti piuttosto dalla DC e dal MSI per contendersi l’elettorato di destra. Il termine “martiri delle foibe” era stato usato la prima volta dalla stampa della RSI di Salò nell’ottobre 1943. In quel frangente l’Istria, che era un territorio rurale abitato prevalentemente da popolazione croata, fu terreno per i rastrellamenti tedeschi e italiani che eliminarono la rivolta popolare, a ragioni sociali ed etniche, che aveva fatto seguito al crollo dello Stato italiano dell’8 settembre. Contadini e braccianti croati, ma anche minatori, che per decenni erano stati alla mercé dei padroni e dei militari sostenuti dal regime fascista-italiano, al crollo dell’apparato statale si ribellarono cogliendo l’occasione favorevole per un “regolamento dei conti” con gli oppressori. Nell’Istria interna, soprattutto nella cittadina di Pisino-Pazin, gli insorti, diedero, spesso spontaneamente, l’assalto ai palazzi del potere e dello sfruttamento sequestrando varie centinaia di ex oppressori. In totale è stato calcolato, da fonti attendibili, che in quelle settimane dopo l’8 settembre furono uccisi e “infoibati” circa 300 individui tra civili e militari. Tra di essi si contano anche vari collaboratori del fascismo di etnia slava.

La seconda ondata di repressione contro i fascisti, stavolta sul Carso, si realizzò a Trieste dopo che il Primo Maggio del 1945 la città era stata liberata e occupata dall’esercito jugoslavo. Questo importante centro urbano, che Mussolini e i gerarchi avevano sempre esaltato per la “fede incrollabile”, era stato annesso al Terzo Reich con l’invenzione della regione dell’Adriatische Küstenland. Qui il potere nazista aveva esercitato un controllo totale di ogni potenziale antifascista anche con l’istituzione, unica in Italia, di uno speciale campo di prigionia con forno crematorio, quello della Risiera di San Sabba, alla periferia della città. In esso perirono circa 5000 tra ebrei e partigiani, slavi e italiani. Il sistema repressivo si basava sul collaborazionismo di un paio di migliaia di delatori ricompensati in vari modi.

I partigiani jugoslavi restarono a Trieste fino al 12 giugno 1945 e procedettero alla “eliminazione” (era il loro termine) dei fascisti rimasti intrappolati in città e non fuggiti, come gran parte dei dirigenti, alla fine di aprile. Diverse migliaia, militari e civili, furono arrestati e poi, in buona parte, liberate. Alcune centinaia vennero deportati in Slovenia, nei pressi di Lubiana, dopo la ritirata dell’esercito jugoslavo. In città furono soppressi, talvolta con processi sommari, diverse centinaia di persone tra cui anche oppositori antifascisti, in quanto contrari all’annessione della città alla vincente Jugoslavia.

Almeno alcune decine, o centinaia secondo altri differenti calcoli, furono gettati nelle foibe carsiche, in particolare nella foiba di Bazovica-Basovizza, a pochi km dal centro urbano. Questo tipo di cavità carsica, di cui esistono più di un migliaio di esemplari nel giro di pochi km. quadrati, era costituita da un profondo inghiottitoio con un ampio spazio alla base, ed era usata da decenni come luogo di scarico di animali morti e di immondizie. In quell’abisso furono gettati anche i corpi di centinaia di soldati e cavalli tedeschi morti nella battaglia di fine aprile 1945. Oggi è diventata un “Sacrario della Patria” dove si ritrovano alle varie scadenze gruppi di neonazisti rasati e inquadrati oppure alte autorità locali e talora nazionali.

Lo Stato ha edificato un ulteriore monumento nazionale coprendo tutta la foiba con una grande gettata di cemento e così impedendo ulteriori ricerche ed esplorazioni. In realtà vari storici, poco convinti del contenuto ufficialmente dichiarato e per questo tacciati di “riduzionismo”, avevano chiesto di verificare in modo obbiettivo cosa si nascondesse in quell’anfratto. Invece il potere politico, in teoria erede dell’antifascismo, ha accettato le richieste insistenti delle associazioni combattentistiche e d’arma, di orientamento spudoratamente nostalgico, che reclamavano un riconoscimento completo e definitivo. Inoltre, per dare l’idea del clima politico-culturale dilagante, da anni vari partiti di destra, di centro e di sinistra, propongono di varare una legge che colpisca un apposito reato di negazionismo, simile a quello già in vigore in alcuni paesi europei contro chi nega l’esistenza delle camere a gas nei lager nazisti.

Al pubblico qui condotto da tutta Italia, in particolare alle scolaresche ignare, le guide addestrate impongono una versione dell’”italiano brava gente” quale vittima innocente delle brutalità slavo-comuniste. Si afferma, tra l’altro, l’equiparazione aberrante della Risiera e della foiba di Basovizza: è un facile messaggio per i cultori dei miti patriottici quasi privi di informazioni serie. La manovra di creazione di un consenso artificiale attorno all’unità nazionale, cavallo di battaglia del governo e dei suoi alleati e concorrenti, continua imperterrita e anzi produce ad ogni ricorrenza nuove mistificazioni e rinnovate strumentalizzazioni.

Per saperne di più: J. Pirjevec, Foibe. Una d’Italia, Einaudi, 2009, C. Cernigoi, Operazione “foibe” tra e mito, Kappavu, 2005 e F. Tenca Montini, Fenomenologia di un martirologio mediatico, Kappavu, 2014.

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