Controllo operaio
L’insistenza dell’anarchismo sul controllo operaio – l’idea dell’autogestione dell’industria da parte delle associazioni dei lavoratori in base alla loro diversa funzione – poggia su basi molto solide. Questa insistenza risale a Robert Owen, alla prima Associazione Internazionale degli Operai, al movimento socialista ghildista in Inghilterra e al movimento sindacalista precedente alla Prima Guerra Mondiale. Con la Rivoluzione russa, la tendenza al controllo operaio sotto forma di liberi soviet (consigli), sorta spontaneamente, fu definitivamente stroncata con il massacro di Kronstadt del 1921. Lo stesso tragico destino attendeva i consigli operai in ascesa in Ungheria, Polonia e Germania Est [a metà degli anni Cinquanta]. Tra i molti altri tentativi che sono stati fatti, c’è naturalmente l’esempio classico della Rivoluzione spagnola del 1936, con le monumentali conquiste costruttive dei collettivi libertari e del controllo operaio dell’industria urbana. La previsione del News Bullettin della riformista International Union of Food and Allied Workers Association (luglio 1964), secondo cui “la richiesta di controllo operaio potrebbe diventare il terreno comune per i settori avanzati del movimento operaio sia a est che a ovest”, è ormai un dato di fatto.
Sebbene il bolscevico Victor Serge, epurato in quanto “oppositore di sinistra”, si riferisca alla crisi economica che attanagliava la Russia durante i primi anni della rivoluzione, le sue osservazioni sono, in generale, ancora pertinenti e, incidentalmente, illustrano il tema di Kropotkin:
“[C]erte industrie avrebbero potuto essere rilanciate [e] un enorme tasso di crescita ottenuto facendo appello all’iniziativa di gruppi di produttori e di consumatori, liberando le cooperative strangolate dallo Stato e invitando le varie associazioni ad assumere la gestione di diversi rami dell’attività economica (…) sostenevo un comunismo di associazioni – in contrasto con il comunismo di Stato – il piano complessivo non dettato dall’alto dallo Stato, ma risultante dall’armonizzazione attraverso i congressi e le assemblee speciali dal basso”.
Augustin Souchy, veterano attivista anarco-sindacalista, teorico, un tempo segretario dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (l’Internazionale anarco-sindacalista), e attivamente coinvolto nella CNT spagnola, ha scritto che:
“[D]urante la guerra civile spagnola (1936-1939), gli operai e i contadini spagnoli stavano istituendo quello che potrebbe essere vagamente chiamato “socialismo sindacalista libertario”; un sistema senza sfruttamento e ingiustizia. In questo tipo di economia collettivista libertaria, la schiavitù salariata viene sostituito dall’equa e giusta ripartizione del lavoro. Al capitalismo privato o statale (o “socialismo” statale) si sostituisce il consiglio operaio di fabbrica, il sindacato, l’associazione dei sindacati industriali fino alla federazione nazionale dei sindacati industriali”.
Si tratta essenzialmente di un sistema di autogestione dei lavoratori a tutti i livelli.
Dopo la rivoluzione
I pensatori anarchici non erano così ingenui da aspettarsi il raggiungimento della società perfetta – composta da individui perfetti che si sarebbero miracolosamente liberati di tutti i loro pregiudizi radicati e delle vecchie abitudini – il giorno dopo la rivoluzione. Si preoccupavano principalmente dei problemi immediati della ricostruzione sociale che dovranno essere affrontati in qualsiasi paese, industrializzato o meno.
Queste sono questioni che nessun rivoluzionario serio ha il diritto di ignorare. Fu per questo motivo che gli anarchici cercarono di elaborare misure per far fronte ai problemi urgenti che molto probabilmente sarebbero emersi durante quello che Malatesta chiamava “il periodo di riorganizzazione e transizione”. Qui riassumeremo la discussione di Malatesta su alcune delle questioni più importanti.
I problemi cruciali non possono essere evitati rinviandoli a un lontano futuro – forse un secolo o più – quando l’anarchismo sarà stato pienamente realizzato e le masse saranno finalmente diventate comuniste-anarchiche convinte e devote. Noi anarchici dobbiamo avere le nostre soluzioni se non vogliamo essere relegati al ruolo di inutili e impotenti brontoloni, mentre gli autoritari più realisti e senza scrupoli prendono il potere. Anarchia o non anarchia, il popolo deve mangiare e ricevere il necessario per vivere. Le città devono essere rifornite e i servizi vitali non possono essere interrotti. Anche se male organizzati, le persone nel loro interesse non permetterebbero né a noi né a nessun altro di interrompere questi servizi finché non saranno riorganizzati in modo migliore; e questo non può essere raggiunto in un giorno.
L’organizzazione su larga scala della società anarchico-comunista potrà realizzarsi solo gradualmente, quando le condizioni materiali lo consentiranno, quando le masse si convinceranno dei vantaggi che ne trarranno e si abitueranno psicologicamente a cambiamenti radicali nel loro modo di vivere. Poiché il comunismo libero e volontario (sinonimo di anarchismo per Malatesta) non può essere imposto, Malatesta sottolineava la necessità della coesistenza di varie forme economiche: collettivista, mutualistica, individualista, a condizione che l’esempio convincente del successo delle collettività libertarie attragga altri nell’orbita delle collettività.
“(…) Da parte mia non credo che esista “una” soluzione al problema sociale, ma mille soluzioni diverse e mutevoli, così come diversa è l’esistenza sociale nel tempo e nello spazio (… )”.
L’anarchismo “puro” è un’illusione
A parte gli “individualisti” (termine molto ambiguo), nessuno dei pensatori anarchici era anarchico “puro”. Il tipico gruppo anarchico “puro”, spiega George Woodcock, “è il gruppo di affinità sciolto e flessibile” che non necessita di organizzazione formale e porta avanti la propaganda anarchica attraverso una “rete invisibile di contatti personali e influenze intellettuali”. Woodcock sostiene che l’anarchismo “puro” è incompatibile con movimenti di massa come l’anarco-sindacalismo:
“[I movimenti di massa necessitano] di un’organizzazione stabile proprio perché [si muovono] in un mondo che è solo in parte governato da ideali anarchici (…) [Essi] scendono a compromessi con le situazioni quotidiane (…) [Un’organizzazione anarcosindacalista] deve mantenere la fedeltà delle masse di [lavoratori] che sono solo lontanamente consapevoli dello scopo finale dell’anarchismo”
Se queste affermazioni sono vere, allora l’anarchismo “puro” è un sogno irrealizzabile. Innanzitutto perché non verrà mai il tempo in cui tutti saranno anarchici “puri” e l’umanità dovrà sempre fare “compromessi con la situazione quotidiana”. In secondo luogo, perché le complesse operazioni economiche e sociali di un mondo interdipendente non possono essere portate avanti senza “organizzazioni stabili”. Anche se ogni abitante fosse un anarchico convinto, l’anarchismo “puro” sarebbe ancora impossibile solo per ragioni tecniche e funzionali.
Questo non vuol dire che l’anarchismo escluda i gruppi di affinità. L’anarchismo immagina una società flessibile e pluralista in cui tutti i bisogni dell’umanità sarebbero soddisfatti da un’infinita varietà di associazioni di volontariato. Il mondo è pieno di gruppi di affinità, dai circoli di scacchi ai gruppi di propaganda anarchica. Si formano, si dissolvono e ricostituiscono secondo i capricci e le fantasie fluttuanti dei singoli aderenti. È proprio perché riflettono le preferenze individuali che tali gruppi sono la linfa vitale della società libera.
Ma gli anarchici hanno anche insistito sul fatto che le necessità della vita e i servizi vitali devono essere forniti senza interruzione e non possono essere lasciati ai capricci degli individui, sono obblighi sociali che ogni individuo fisicamente abile è tenuto a rispettare se vuole godere dei benefici del lavoro collettivo. Le organizzazioni su larga scala, organizzate anarchicamente, non sono una deviazione. Sono l’essenza stessa dell’anarchismo come ordine sociale vitale.
Non esiste anarchismo puro. Esiste solo l’applicazione dei principi anarchici alle realtà della vita sociale. Lo scopo dell’anarchismo è stimolare le forze che spingono la società in una direzione libertaria. È solo da questo punto di vista che si può valutare adeguatamente la rilevanza dell’anarchismo nella vita moderna.
Sam Dolgoff
tratto da “The relevance of anarchism to modern society”, traduzione di Lona Lenti