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Una lotta di tutte e tutti-8 marzo sciopero femminista

Una lotta di tutte e tutti-8 marzo sciopero femminista


Alla fine dell’articolo trovate la mozione della FAI di sostegno allo sciopero, l’appello allo sciopero di Nonunadimeno, l’appello dell’Usi-Ait e infine qualche info tecnica. La redazione web
Per anni è stato dato per assodato che l’Otto Marzo fosse una scadenza di lotta esclusivamente femminile e in quell’immagine è stata ingabbiata, depotenziata e ridotta a ritualità, necessaria ma percepita come incapace di dirci qualcosa sul qui e ora.
Se vi è un merito, tra i tanti, da ascrivere alla nuova ondata del femminismo intersezionale, di cui Non Una di Meno è, in definitiva, espressione, è l’avere saputo rivitalizzare e risignificare in senso radicale l’Otto Marzo.
Il patriarcato è una delle strutture fondamentali del sistema di dominio del capitalismo. Il patriarcato, nel senso moderno del termine, nasce insieme all’accumulazione originaria del capitalismo settecentesco, permette il disciplinamento delle masse proletarizzate che iniziavano il processo di inurbamento contemporaneo all’industrializzazione. Permette, essendo diffuso insieme al cristianesimo, nelle colonie, di spezzare la miriade di forme familiari, o familiari-comunitarie, autoctone per sostituirle con la netta divisione in base al genere permettendo un disciplinamento delle masse indigene e una loro integrazione, in posizione subordinata, nel nascente mercato globale.
Se nella maggior parte dell’occidente abbiamo potuto assistere, grazie a un secolo di lotte sociali e a significative modifiche del sistema produttivo stesso, a un allentamento del patriarcato bisogna comunque tenere conto di una serie di considerazioni:

  1. Nelle aree che negli ultimi anni si sono caratterizzate, a fasi alterne, per un’alta crescita economica, Brasile e stati del Golfo di Guinea, abbiamo potuto assistere al prepotente emergere di movimenti religiosi di stampo cristiano evangelico che hanno come nucleo ideologico fondante la difesa della famiglia di stampo patriarcale. L’espansione di questa religione è avvenuta altresì in Cina e nella diaspora cinese stessa. D’altra parte il cristianesimo di stampo protestante è il vangelo della prosperità ed è stato per anni, e lo è ancora, il nucleo ideologico del capitalismo anglosassone. In paesi in cui si è assistito a un tumultuoso sviluppo delle borghesie nazionali è normale che queste stesse adottino questa religione come propria ideologia, imponendola anche come ideologia egemonica sulle classi subalterne, andando così a riprodurre il patriarcato nel suo scopo primo e originario: disciplinamento della forza lavoro, divisione su base di genere, disciplinamento e irregimentazione del lavoro riproduttivo
  2. In uno stato come la Russia putiniana si è potuto assistere alla prepotente ridiscesa in campo della Chiesa Ortodossa che si è legata in modo indissolubile alla nuova borghesia nazionale e concorre a pieno titolo all’apparato di controllo della forza lavoro. Inutile dire quanto la Chiesa Ortodossa Russa sia una delle istituzioni più reazionarie al mondo, come fornisca continue giustificazioni alle violenze domestiche, agli omicidi e alle violenze di genere, come diffonda ai quattro venti parole d’ordine omotransofobiche. La stessa ideologia nazionale della Russia contemporanea, diffusa a piene mani anche dai dementi epigoni nostrani del putinismo, si basa sulla netta divisione di genere, sull’omotransofobia istituzionalizzata e rivendicata, sulla difesa di supposti “valori tradizionali”. La sindrome di accerchiamento ed il nazionalismo non possono non usare il patriarcato come struttura fondamentale. Situazioni similari si possono osservare anche nell’Europa Balcanica e nell’Est-Europa in generale, sia ortodossa sia cattolica (si pensi alla Polonia ed ai reiterati tentativi da parte del governo di vietare l’aborto).
  3. In ambito mesopotamico-mediorientale e magrebino l8 MARZOSciopero Globale!Unione Sindacale Italianae strutture patriarcali sono state messe in crisi da anni di lotte per l’emancipazione. Se paesi come l’Iran e la stessa Arabia Saudita sono costretti a operare delle aperture, anche se a volte solo simboliche, in questo senso è perché anni di lotta sociale hanno costretto le borghesie nazionali a cedere terreno. Il patriarcato resta però fondamentale per il mantenimento dell’ordine sia nelle aree dominate da regimi clericali, Gaza, stati del Golfo e Iran, sia nei regimi suppostamente laici, che in realtà fanno un uso in chiave arabo-nazionalista del sunnismo modernista o di specifiche correnti religiose islamiche, come Egitto e Siria. Anche nello stesso Israele parimenti alla crescita del nazionalismo vi è stato un forte slancio delle componenti più ortodosse e reazionarie dell’ebraismo che in quanto a discriminazioni di genere non hanno nulla da invidiare al regime clericale Saudita o Iraniano.
  4. In ambito europeo-occidentale abbiamo potuto vedere un ritorno sul piano pubblico delle istanze conservatrici e reazionarie, pensiamo alla corte dei miracoli “antigender” in Italia e Francia. Per ora queste istanze sono state rintuzzate, non grazie a governi illuminati ma grazie a qualche decennio di mobilitazioni da parte dei movimenti ed alcune conquiste, pur parziali e interne alle compatibilità sistemiche, paiono assodate.
  5. Sempre in ambito europeo-occidentale abbiamo potuto assistere all’emergere di istanze propriamente reazionarie quali quelle portate avanti da fenomeni sociali come gli Incels e i Men’s Rights Activists o la diffusione di meme su niceboy e friendzone [vedi nota alla fine di quest’articolo]. Pensare a questi fenomeni come espressioni della nerd culture sui social media, siano essi Facebook o Reddit, significa sottovalutarli. Sono infatti la logica conseguenza della crisi della piccola borghesia bianca suburbana, per quanto riguarda il mondo anglosassone, e specificatamente statunitense, e non vanno affatto sottovalutati in quanto forniscono l’impianto ideologico alle violenze di genere. Sottointendono, per quanto riguarda niceboy e friendzone, una visione mercantile dei rapporti sentimentali.
  6. Nei paesi europei di area mediterranea la sessualità femminile, e in modo differente quella maschile, è considerata tabù anche nei suoi aspetti più medico-scientifici con tutte le conseguenze negative in termine di benessere e salute individuale individuale e di igiene pubblica che questa rimozione comporta.
  7. Pur gli avanzamenti precedentemente scritti rimane una fortissima disparità a livello salariale, segnalo per una disanima dei dati e un’analisi degli stessi l’articolo “Parità tra uomo e donna” pubblicato sul monografico di Uenne dell’anno scorso sull’Otto Marzo (http://www.umanitanova.org/2017/03/05/parita-tra-uomo-e-donna/), il lavoro femminile risente di molti ricatti da parte di padroni, padroncini e capetti, nella grande industria così come nelle piccole medie imprese in cui vi è anche una considerevole presenza di violenze sessuate ai danni della manodopera femminile. A questo va aggiunto la presenza di un settore, quello della prostituzione, caratterizzato dalla presenza di uno sfruttamento di tipo schiavistico e di una forte razzializzazione, ma perfettamente integrato nel sistema capitalistico, in altre parole quello della prostituzione schiavistica e della relativa tratta.

Insomma, sembra proprio che capitalismo, patriarcato e razzializzazione vadano sempre di pari passo, checché ne dicano certi personaggi che si producono in sofismi nel tentativo di sostenere la tesi che il capitalismo si combatta grazie ai valori tradizionali di famiglia, patria e religione. Certo, in certe aree e in certi momenti storici la gabbia patriarcale si allenta anche sotto il capitalismo ma in caso di necessità la si rafforza. Certamente il capitalismo è in grado di cooptare le singole lotte qualora queste non si colleghino tra di loro in modo strutturale: basti vedere come la lotta economica sia stata captata grazie ai sistemi di cogestione o come le lotte nelle questioni di genere siano state usate per operazioni di pink-washing quando non direttamente per nuove fasi di accumulazione in determinati territori.
Come dicevamo in apertura la nuova onda femminista intersezionale ha affermato esplicitamente come oppressione di classe, di genere e razzializzazione siano intimamente collegate e connesse.
Il patriarcato si basa sulla costruzione di una guerra tra sessi ed ingabbia tutti i soggetti in schemi di pensiero socialmente determinati ma rappresentati come naturali e biologicamente determinati in comportamenti atti a dividere surrettiziamente la popolazione per poter meglio gestire lavoro riproduttivo e produttivo. Non a caso qualche anno fa si individuò come fondamentale il tema della diserzione dalla guerra tra sessi, quella guerra che ci viene imposta fin dalla nostra educazione e socializzazione.
Il superamento di questi schemi è necessario non soltanto per l’emancipazione femminile ma per l’emancipazione di tutti gli sfruttati. Fin dalle sue origini il movimento anarchico individuò come necessaria la distruzione del patriarcato: “Amor ritiene uniti / Gli affetti naturali / E non domanda riti / Né lacci coniugali / Noi dai profan mercati / Distôr vogliam gli amori / E sindaci e curati / Ci chiaman malfattori” afferma, con un certo lirismo, il Canto dei Malfattori e “Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell’amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso” afferma il Programma Anarchico.
I nostri nemici ci accusano di volere distruggere la famiglia e raramente accusa fu più vera. Riteniamo infatti necessario rivendicare la volontà di distruggere il dominio patriarcale che si è cristallizzato nella forma della “famiglia naturale” e rilanciare affermando che per essere finalmente umani sarà necessario distruggere ogni ruolo di genere oltre che ogni forma di classismo e di razzializzazione. La rivoluzione è un cambio integrale e radicale della società, fin nei suoi rapporti più molecolari e rappresentati come biologicamente determinati e in quanto tali immutabili.
Nota terminologica
Essendo termini di difficile resa in italiano abbiamo preferito utilizzare i termini originali in inglese. Si rende così necessario aggiungere un piccolo dizionario.

  • Incels: contrazione di Involontary Celibate, ovvero celibato involontario. Subcultura che nasce e si sviluppa sopratutto su Reddit che sostiene che i giovani maschi bianchi hanno sempre maggiori difficoltà a trovare una compagna causa femministe cattive/complotto ebraico/neri/aggiungete la paranoia che preferite.
  • Men’s Rights Activist: o MRA, letteralmente attivisti per i diritti degli uomini. Sostengono che gli uomini sono stati messi in una posizione di subordinazione dal femminismo. Similari posizioni si possono trovare in Italia in alcune associazioni di padri separati.
  • Niceboy e friendzone: i niceboy sarebbero i bravi ragazzi che cadono nella tremenda friendzone, ovvero hanno un’amore non corrisposto con un’amica. Siccome si comportano in modo gentile con lei, magari facendole pure dei regali e offrendole la cena, ovvero ci investono risorse economiche, ritengono profondamente ingiusto non riuscire a concludere. Anche sui social italiani esistono pagine dedicate a costoro che ovviamente sono un coacervo di misoginia e insulti sessiste contro le perfide donne che osano non considerarsi merce.

Inutile dire che questi personaggi sopra segnalati non sono gruppi tra di loro separati, parliamo più di subculture digitali, e sono fondamentalmente sovrapposti tra di loro. Negli USA vi è un fortissimo legame con l’alt right e anche svariati autori di attacchi terroristici nelle scuole si rifacevano a queste subculture. Il termine meme è usato nel suo significato originario di “virus culturale”.
Lorcon
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La mozione della FAI
http://www.umanitanova.org/2018/02/21/sosteniamo-lo-sciopero-dellotto-marzo/
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L’8 MARZO LA MAREA FEMMINISTA TORNA NELLE STRADE: NOI SCIOPERIAMO!
Il prossimo 8 marzo la marea femminista tornerà nelle strade di tutto il mondo con lo sciopero globale delle donne.
Il rifiuto della violenza maschile in tutte le sue forme e la rabbia di chi non vuole esserne vittima si trasformeranno in un grido comune: da #metoo a #wetoogether.
Sarà sciopero femminista perchè pretendiamo una trasformazione radicale della società: scioperiamo contro la violenza economica, la precarietà e le discriminazioni. Sovvertiamo le gerarchie sessuali, le norme di genere, i ruoli sociali imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze. Rivendichiamo un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale, garantito e accessibile. Vogliamo autonomia e libertà di scelta sui nostri corpi e sulle nostre vite, vogliamo essere libere di muoverci e di restare contro la violenza del razzismo istituzionale e dei confini.
Sappiamo che scioperare è sempre una grandissima sfida, perchè ci scontriamo con il ricatto di un lavoro precario o di un permesso di soggiorno. Sappiamo quanto è difficile interrompere il lavoro informale, invisibile e non pagato che svolgiamo ogni giorno nel chiuso delle case, nei servizi pubblici e privati, per le strade. Sappiamo che scioperare può sembrare impossibile quando siamo isolate e divise. Sappiamo che il diritto di sciopero subisce quotidiane restrizioni.
Lo sciopero dell’8 marzo in Italia dovrà affrontare anche le limitazioni imposte dalle franchigie elettorali, che impediscono ad alcune categorie di incrociare le braccia nei 5 giorni che seguono il voto del 4 marzo.
Sappiamo anche, però, che lo scorso anno siamo riuscite a vincere questa sfida, dando vita a un imponente sciopero sociale, sostenuto da alcuni sindacati e agito con forme e pratiche molteplici che ne hanno esteso i confini.
Quest’anno, alcuni sindacati hanno già dichiarato lo sciopero. Molti mancano ancora all’appello. Di fronte alla più grande insorgenza globale delle donne contro la violenza patriarcale e neoliberista, noi crediamo che i sindacati debbano cogliere quest’occasione unica, prendendo parte a un processo che combatte la violenza maschile e di genere come condizione fondamentale della precarizzazione del lavoro.
Lo sciopero femminista coinvolgerà il lavoro produttivo e riproduttivo, andrà oltre il corporativismo delle categorie e i confini nazionali, unirà le molteplici figure del mondo del lavoro e del non lavoro.
In questi mesi di campagna elettorale, non c’è lista o partito che non citi nel suo programma la violenza contro le donne senza però riconoscere il carattere sistemico della violenza e senza mai porre realmente in questione i rapporti di potere vigenti. Contro ogni strumentalizzazione, contro il razzismo fascista e quello istituzionale, che usano i nostri corpi per giustificare la violenza più brutale contro le migranti e i migranti e ulteriori restrizioni alla loro libertà di movimento, rivendichiamo la nostra autonomia e ribadiamo la necessità/volontà di autodeterminarci. Il piano su cui ci interessa esprimerci è il Piano Femminista contro la violenza maschile e di genere, il nostro terreno di lotta e rivendicazione comune, scritto da migliaia di mani in un anno di lotte.
Grideremo a tutto il mondo che non siamo il campo di battaglia né il programma elettorale di nessuno. Abbiamo il Piano femminista per riprenderci ciò che vogliamo. Occuperemo lo spazio pubblico per riaffermare la nostra autonomia e forza politica.
Il nostro movimento eccede l’esistente, attraversa frontiere, lingue, identità e scale sociali per costruire nuove geografie.
Al grido di #WeToogether il prossimo 8 marzo questo movimento mostrerà ancora una volta la sua forza globale.
Noi scioperiamo!
Nonunadimeno


8 MARZO
Sciopero Globale!
Unione Sindacale Italiana

Come USI-AIT riteniamo importante rilanciare anche quest’anno la mobilitazione dell’8 Marzo sui luoghi di lavoro, produttivo e riproduttivo.

L’oppressione di genere è da sempre parte del processo di accumulazione capitalista; le donne hanno subito l’estrazione di valore dal lavoro non pagato o scarsamente retribuito.

A compiti definiti come specificamente femminili come il lavoro riproduttivo e la cura della prole e dell’ambiente familiare si sommarono anche parti fondamentali del lavoro salariato. Infatti attraverso un lungo processo, partendo dalla dal XIX secolo, con il cottimo domestico e, poi, le prime integrazioni del lavoro femminile nelle fabbriche, per arrivare sino ad oggi, il lavoro femminile ha assunto una grande importanza anche nell’ambito produttivo.

Nell’ambito produttivo emerse sin da subito il gap salariale tra lavoratori e lavoratrici, mentre nell’ambito riproduttivo, che comprende sia la riproduzione propriamente intesa che tutti i lavori di cura che permettono il mantenimento, la riproduzione e la sopravvivenza della manodopera, come il lavoro domestico, i governi crearono un pacchetto di misure volte a controllare le scelte delle donne sul proprio corpo: le norme che hanno prima vietato e poi limitato l’accesso all’aborto, alla contraccezione e nei fatti vietato libera sessualità.

Allo stesso modo dalla fine del XIX secolo ad oggi in molti paesi occidentali i movimenti femministi sono riusciti in conquiste oggettive: accesso alla contraccezione, riforme del diritto di famiglia, aborto, divorzio e possibilità di partecipare al sistema liberal-democratiche mediante il voto.

Nonostante le conquiste ottenute nel secolo scorso il corpo delle donne è ancora regolamentato, sottoposto all’aggressione e al controllo di governi e patriarcato, visto come da normare secondo le regole della morale vigente, che riflette i bisogni della classe dominante. Basti pensare alla difficoltà che permane ad accedere all’aborto o alla contraccezione anche in molti paesi occidentali. Esempio massimo di questa concezione della donna come soggetto inferiore da tutelare o da predare è la legittimazione dello stupro ancora oggi giustificato dalla rappresentazione della donna come provocatrice di presunti “istinti maschili”, schiacciata sullo stereotipo di o santa o puttana. Un’altra questione cardinale è la violenza domestica all’interno della famiglia, dall’obbligo del lavoro riproduttivo sino alla violenza sessuata vera e propria, violenza che ancora oggi per la maggior parte dei casi si consuma all’interno dei nuclei familiari e che è l’esplicazione della necessità patriarcale di riaffermare continuamente il dominio maschile.

In ambito lavorativo ancora oggi possiamo assistere a forti discriminazioni come il mai superato gap salariale, la maternità non garantita, le violenze sessuate taciute per paura di perdere il posto di lavoro; la violenza di genere così si interseca naturalmente con l’oppressione di classe, così come si interseca con la razzializzazione. Lo vediamo oggi con le pesanti discriminazioni che subiscono le donne migranti, maggiormente ricattabili, discriminate in quanto donne, proletarie e straniere. Lo vediamo con l’accesso non garantito alla sanità, la difficoltà maggiore nel trovare strutture di supporto in caso di relazioni violente con propri familiari, la minaccia continua dell’espulsione verso paesi dove la condizione femminile è ancora peggiore.

Ma oggi il corpo delle donne è anche oggetto di propaganda elettorale in tema sicurezza, la difesa delle donne è la motivazione per sorvegliare e militarizzare sempre più le nostre strade, oltre che a legittimare violenze e restrizioni di movimento. Il corpo femminile viene visto come “bene nazionale” da porre sotto tutela, la soggettività individuale viene negata.

La discriminazione di genere è ancora oggi una delle tante contraddizioni della società che categorizza le donne come vittime da aiutare, come oggetto di proprietà esclusivamente maschile, come persone incapaci di scegliere e di difendersi da sole. Ancora con difficoltà oggi si considerano la donne come soggetti pensanti, in grado di scegliere, di autodeterminarsi e sopratutto di difendersi.

La lotta femminista cammina di pari passo con la lotta di classe e con la lotta antirazzista, combatte per scardinare gli attuali rapporti di forza perché soltanto con l’intersezionalismo, con la capacità di tessere relazioni tra lotte solo apparentemente separate, si potrà abbattere la cultura patriarcale di cui sono imbevuti il capitalismo e lo statalismo.

L’ USI-AIT invita tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, tutti gli studenti e tutte le studentesse a scendere nelle piazze di tutto il mondo, a scioperare sia dal lavoro produttivo che dal lavoro riproduttivo per scardinare l’attuale sistema di dominio, per costruire una società di individui liberi, solidali, eguali.

SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTT*!

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Info tecniche per lo sciopero dell’8 marzo
Lo sciopero è stato proclamato da Slai Cobas, Usi-Ait, Usb, Usi e vari sindacati di settore dei Cobas e della Cub.
Lo sciopero è stato indetto per tutta la giornata per tutte le categorie del pubblico e del privato.
A causa della legislazione antisciopero non potranno scioperare le lavoratrici e i lavoratori degli Enti Locali, Ministeri, Trasporto Marittimo e Vigili del Fuoco.
Per approfondimenti:
https://nonunadimeno.wordpress.com/2018/02/18/8-marzo-2018-il-vademecum-per-lo-sciopero/


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