Il contratto della scuola, scaduto già da qualche anno, è in fase di rinnovo, ultimo fra i vari settori del Pubblico Impiego, ma come sempre le risorse sono inadeguate. Quello che arriverà nelle buste paga sarà un aumento medio di 60 euro al mese.
Si tratta, come per tutti i contratti del pubblico impiego, di aumenti che si aggirano attorno al 5,7% a fronte di una inflazione che viaggia sul 18%. Le buste paga italiane sono le più leggere d’Europa e i salari stanno perdendo potere d’acquisto a tutto spiano.
Tutta quanta la partita del rinnovo contrattuale è una gigantesca farsa, condizionata da accordi concertativi tra governi e sindacati maggiormente rappresentativi che hanno stabilito da decenni che gli aumenti devono stare sotto il tetto dell’inflazione programmata. Se qualsiasi aumento, a priori, deve rimanere sotto l’inflazione programmata, figuriamoci quanto discostamento c’è rispetto all’inflazione reale! La contrattazione nazionale, al cui tavolo siedono i sindacati autoproclamatisi maggiormente rappresentativi, serve quindi solo a sancire la perdita di potere d’acquisto dei salari di un’intera categoria e a mantenere in piedi un carrozzone concertativo funzionale agli interessi del padronato. E quello economico non è l’unico problema.
Per l’anno prossimo la legge di bilancio ha già previsto tagli consistenti di personale docente e di personale ATA. Le riforme della scuola secondaria superiore che sono all’orizzonte e che prevedono la quadrienalizzazione generalizzata dei percorsi scolastici, insieme alla già istituita filiera quadriennale dei tecnici e professionali, faranno il resto. Il quadro è quello di un settore con crescente disoccupazione, in cui lavoratori mal pagati sono costretti a lavorare in classi pollaio, sempre più precarizzati e sempre più esposti alla gerarchia. Perché, se il rinnovo contrattuale per la parte economica è un disastro, per la parte normativa prevede il riconoscimento di figure intermedie, tutor, formatori e middle manager, funzionali a gerarchizzare un settore in cui invece l’egualitarismo è stato fondamentale, e non solo come principio politico, ma anche e soprattutto per far funzionare il sistema dell’istruzione. Anche i sassi dovrebbero sapere infatti che la divisione e la gerarchizzazione inducono deresponsabilizzazione in chi si trova confinato nei livelli più bassi, con inevitabili ricadute che in un settore come quello educativo sono inaccettabili. La volontà di gerarchizzazione del settore scuola è fortissima e si rileva non solo nella tendenza all’istituzione di livelli tra i lavoratori, ma nel crescente dispotismo dei Dirigenti scolastici, che utilizzano sempre di più lo strumento disciplinare, le contestazioni di addebito e le sanzioni come metodo ordinario di gestione delle scuole. Il nuovo codice disciplinare dei dipendenti pubblici, introdotto nel luglio del 2023, giunge del resto a indagare l’uso dei social personali, vietando di emettere “qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.
Ma torniamo alla questione economica, ai consistenti e ulteriori tagli programmati e alle ridicole risorse previste per il rinnovo contrattuale del settore scuola.
Ancora una volta ci tocca sottolineare il confronto stridente tra questa situazione desolante di tagli e, all’opposto, il proliferare di spese militari, destinato tra l’altro ad aumentare ulteriormente e in modo consistente con gli scenari legati agli ingenti costi del farneticante programma di riarmo europeo. In questo contesto va segnalato che il fiorente settore legato a produzione e commercio di armi è ritenuto redditizio per riversarvi, a titolo di investimento, i fondi pensione. In Europa questo è già iniziato e importanti fondi pensione olandesi e danesi stanno procedendo con investimenti anche in gruppi che producono componenti per armi nucleari e ordigni definiti “controversi”, come mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi chimico biologiche etc, rimuovendo qualsiasi ostacolo di tipo etico dai loro statuti assicurativi. In Italia la situazione è in veloce adeguamento, anche se sulla questione c’è una diffusa cortina di disinformazione. Si sa comunque che l’investimento dei fondi pensione su settori genericamente legati alla difesa nel 2024 è aumentato del 23% rispetto all’anno precedente. Al momento non si hanno dati su quali siano i settori riguardati, tuttavia non c’è da farsi troppe illusioni: l’investimento in settori che producono armi convenzionali infatti è ritenuto legittimo, mentre al momento sarebbero esclusi quelli che producono armi “controverse”, ma non bisogna dimenticare come certe distinzioni siano sfuggenti e funzionali a giustificare e garantire comunque gli investimenti nel settore bellico, che possono realizzarsi, ad esempio, anche attraverso gli investimenti nelle tecnologie duali, quelle utilizzabili sia in campo civile che militare.
I fondi integrativi fortemente voluti anche dai sindacati concertativi, vedi ad esempio, nella scuola, la martellante campagna Espero sostenuta anche dalla ineffabile CGIL; quei fondi che contribuiscono al processo di smantellamento della previdenza pubblica; quelli a cui ahimè diversi lavoratori hanno abboccato, spesso attraverso il sistema truffaldino del silenzio-assenso, consegnando il proprio TFR. L’utilizzo di quei fondi servirà, tra le altre cose, anche ad alimentare l’industria degli armamenti, le fabbriche della morte, a sostenere le guerre, a impoverire i servizi pubblici. D’altra parte, sono queste le inevitabili strade della previdenza complementare, sempre esposta alle turbolenze finanziarie e all’inseguimento del profitto, soprattutto di chi la gestisce, responsabile, con le politiche di chi l’ha autorizzata e sostenuta, dello smantellamento del sistema pensionistico pubblico e di una concezione solidaristica della previdenza.
Opponiamoci a questo sistema, ai tagli della spesa sociale, allo sfruttamento, alla gerarchia! La rivendicazione salariale serve non solo a sostenere il reddito, ma anche a sottrarlo alle speculazioni e al foraggiamento della guerra. Mai come ora questo è importante. Portiamo questa determinazione nelle piazze del primo maggio e nelle prossime azioni di sciopero proclamate per il 7 maggio dal sindacalismo di base.
Patrizia Nesti