Search

Salario e guerra. Se l’Ucraina piange, l’Italia non ride.

Salario e guerra. Se l’Ucraina piange, l’Italia non ride.

Il governo ucraino approfitta della situazione creata dall’invasione russa per imporre alla classe operaia un drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Sul sito anarcosindacalista polacco Iniziativa dei Lavoratori è stato pubblicato materiale del Movimento Sociale Ucraino (Socjalnyj Ruh – Соціальний рух), un’organizzazione non governativa che cerca di costruire un partito dei lavoratori di ispirazione socialdemocratica. Questo materiale riguarda l’approvazione da parte della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino) della legge 2136-IX, ed è composto da una lettera aperta al presidente Zelenski per chiedergli di porre il veto a questa legge e di un comunicato sull’entrata in vigore della legge, una volta rivelatosi inefficace l’appello al presidente.

La legge sull’organizzazione dei rapporti di lavoro durante la legge marziale è stata proposta da Halyna Tretyakova, (membro del partito filo-presidenziale Servant of the People, presidente della commissione per le politiche sociali e la tutela dei diritti dei reduci) nota per il suo disprezzo per i sindacati e l’attaccamento alle idee neoliberiste. Il provvedimento, definito scandaloso dal Movimento Sociale Ucraino, semplificherà notevolmente i licenziamenti, legalizzerà il mancato pagamento dei salari e prolungherà l’orario di lavoro fino a 60 ore settimanali. Con l’approvazione di questa legge, parlamento e governo si sono schierati con i capitalisti, lasciando i lavoratori alla loro mercé.

Nel primo mese di guerra, in Ucraina il 50% dei lavoratori era rimasto disoccupato, mentre quattro milioni di persone hanno chiesto un risarcimento per mancato guadagno. La posizione del Socjalnyj Ruh risente del clima di ubriacatura nazionalista imposto da Zelenski e dalla sua cricca all’Ucraina, per cui la critica si muove tutta nella logica di contribuire in maniera equa alla guerra. L’ottica collaborazionista impedisce ai dirigenti di questa organizzazione di comprendere che la guerra è in primo luogo guerra dei governi alla classe operaia e ai ceti popolari del proprio paese, così in Russia come in Ucraina e nei vari Stati alleati dell’uno o dell’altro contendente.

L’attuale governo ucraino, servendo i propri capitalisti, rende l’Ucraina ancora più appetibile ai piani di sfruttamento, devastazione e delocalizzazione produttiva dell’imperialismo europeo, che ha già “curato” ed esaurito Polonia, Slovacchia, Romania ecc. Il fatto che l’attuale presidente ucraino sia espressione del partito “Servo del Popolo” fornisce un’imprevista applicazione della dialettica servo-signore alla scena politica.

Un altro esempio dell’impatto dell’economia di guerra sui salari e più in generale sulle condizioni di vita e di lavoro delle classi sfruttate, è dato dall’Italia. Nel Documento di Economia e Finanza presentato recentemente dal Governo al Parlamento, si legge: “Per quanto riguarda le retribuzioni contrattuali, lo scenario tendenziale ipotizza che, al netto delle componenti legate al welfare aziendale e ai premi di produttività, gli adeguamenti dei minimi contrattuali continueranno a prendere come riferimento il tasso di inflazione al netto dei prodotti energetici importati. Si consideri, ad esempio, che a marzo l’indice nazionale dei prezzi al consumo (NIC) al netto dell’energia ha registrato una crescita tendenziale del 2,5 per cento, mentre come detto l’indice generale è cresciuto del 6,7 per cento. Ipotizzando che il tasso di inflazione al netto dell’energia non salga in misura molto significativa rispetto al livello raggiunto a febbraio, i futuri aumenti delle retribuzioni dovrebbero risultare più elevati rispetto agli anni scorsi, ma relativamente moderati e compatibili con un tasso di inflazione intorno al 2 per cento nel medio termine. I lavoratori dipendenti recupereranno potere d’acquisto quando i prezzi dell’energia scenderanno e il tasso di inflazione totale scenderà al di sotto del tasso al netto degli energetici.”

In maniera meno brutale che in Ucraina, anche il governo Draghi si schiera con i capitalisti, che possono aumentare a piacimento i prezzi dei loro prodotti e servizi, lasciando al palo i redditi delle classi sfruttate che, a fronte di un misero aumento nominale, vedono ridurre drasticamente il prezzo della forza-lavoro al di sotto del suo valore.

Il documento del Governo fa riferimento a quanto stabilito dal famigerato “Patto per la fabbrica”, siglato da CGIL, CISL, UIL e Confindustria nel 2018, durante il governo Gentiloni. L’accordo interconfederale sostituisce il precedente, del 2009, firmato solo da CISL e UIL con l’opposizione della CGIL; l’accordo del 2009 ha introdotto l’IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell’Unione Europea, elaborato da Eurostat) come base per il calcolo degli aumenti contrattuali. Dal 1993 veniva usato il tasso di inflazione programmato dal governo e, sulla base di quel metodo, è stato calcolato che nei 10 anni precedenti il 2009 i salari avevano perso 10 punti di PIL. L’IPCA esclude dal calcolo dell’inflazione i prezzi dei beni energetici: è chiaro quindi che in una situazione come quella attuale, in cui la crisi del dollaro ha spinto alle stelle i prezzi delle materie prime e non solo di quelle energetiche, dove l’accodamento del governo Draghi all’espansionismo USA in Europa Orientale porta a rifornirsi di beni energetici più cari e con costi di trasporto più alti, usare l’indice IPCA per l’adeguamento dei minimi contrattuali significa ridurre di due terzi la base contrattuale.

Ci troviamo di fronte a qualcosa di peggio di un blocco dei salari: l’inflazione rappresenta una costante rapina a danno di chi vive di un reddito fisso, è l’inflazione che provoca l’impoverimento crescente delle lavoratrici e dei lavoratori. L’atteggiamento del governo nei confronti dell’aumento dei prezzi dell’energia è evidente nel Documento di Economia e Finanza: non solo tale aumento di prezzo sarebbe giustificato da circostanze eccezionali ma il governo accetta anche che in tale aumento siano comprese componenti speculative, là dove, parlando del rischio di interruzione dei flussi di gas dalla Russia, si afferma che “questo rischio sia già parzialmente incorporato negli attuali prezzi del gas e del petrolio”.

Bisogna essere coscienti invece che non sono gli aumenti dei prezzi dell’energia a provocare l’inflazione, ma piuttosto è la crisi del dollaro a provocare l’inflazione, a provocare l’aumento del prezzo delle materie prime, alimentari e non alimentari. È la stratosferica spesa per gli armamenti degli Stati Uniti, è la corsa alla guerra dell’amministrazione USA che provoca la crisi del dollaro. Quasi il 40% della spesa mondiale per armamenti è originata dall’amministrazione Biden.

Occorre quindi una battaglia unita contro la guerra e per la redistribuzione del reddito a vantaggio dei ceti salariati. Che cosa hanno da aspettarsi la classe operaia, i pensionati, i disoccupati? Il governo ha parlato chiaro: ha ribadito il 2,5% come base di discussione per gli aumenti contrattuali, ha ribadito che ha scelto la riduzione del potere di acquisto dei ceti popolari.

In questo i sindacati che cosa fanno? La CISL e la CGIL, in modo diverso, hanno posto la questione di andare oltre l’IPCA, però non hanno posto la questione di aumenti salariali che consentano la redistribuzione del reddito a vantaggio dei ceti meno abbienti, che intacchino i profitti e i redditi dei manager. Non hanno posto la questione del legame tra lotta salariale e lotta contro l’impegno militare dell’Italia, non hanno posto la questione della lotta politica contro il governo, lotta da fare nelle piazze, come unico strumento per cambiare la politica antioperaia.

L’assemblea dei sindacati di base, invece, chiama la classe operaia e i ceti popolari ad un’importante azione di lotta per il 20 maggio: sciopero generale per fermare la guerra, l’economia di guerra e il governo della guerra. L’assemblea ha visto la partecipazione, a fianco dei sindacati base, di realtà antimilitariste, pacifiste, ambientaliste, politiche e sociali, che hanno espresso la loro adesione alla mobilitazione e alla giornata di lotta. Di fronte alle menzogne del governo, ai furti degli speculatori coperti dallo stesso governo, ai balbettii di CISL, UIL e CGIL, i lavoratori hanno la possibilità di far sentire la propria voce, hanno la possibilità, attraverso le giornate del 25 aprile e del Primo Maggio, di costruire un vasto movimento di lotta verso il 20 maggio e oltre.

Il movimento anarchico non può che vedere con favore questa mobilitazione, questo sciopero generale. Innanzi tutto perché dà l’occasione alla classe operaia di prendere coscienza che esiste una via alternativa alla lotta elettorale, la quale ha portato al disfacimento i partiti operai che hanno tentato di percorrerla; inoltre perché questa stessa classe può rendersi conto che l’unico limite alle rapine e alle violenze del Governo, alla minaccia di guerra è la paura che la classe operaia e i ceti popolari possono mettere al Governo e alle classi privilegiate; infine perché nella lotta si comincino a costruire quegli organismi, sindacati, consigli, comitati di base, che formino i nuclei della nuova società, che metta fine alla lunga agonia del capitalismo e del sistema politico che lo sostiene. Per sostituire finalmente alla società del dominio la società della libertà e del mutuo appoggio. Cominciamo dal 20 maggio.

Tiziano Antonelli

Articoli correlati