In un mondo sempre meno stabile e dove le tradizionali alleanze geopolitiche sono sempre più messe in discussione, la Russia sta giocando in medio oriente ed in Africa una partita che potrebbe rilevarsi decisiva nel disegnare, quanto meno nel medio periodo, nuovi equilibri. Per comprendere le ragioni di fondo della strategia di Mosca bisogna partire da un dato, a mio avviso, fondamentale: quello economico.
L’economia russa dipende in modo sostanziale dall’andamento del comparto energetico. La Russia si è sempre più caratterizzata come monocultura industriale nella quale il petrolio ed il gas costituiscono i pilastri di sostegno di tutta l’impalcatura economica. È opinione comune che i picchi dei prezzi energetici, specie petroliferi, ante crisi globale del 2008, non saranno mai più raggiunti. In una economia, come quella russa, largamente dipendente dal settore Oil & Gas, il contributo di questi comparti sono assolutamente decisivi (rappresentano il 44% della produzione industriale) ma, allo stesso tempo, legano in modo indissolubile l’andamento economico del paese ad una volatilità dei prezzi che diventa sempre più problematica gestire e che impedisce qualsiasi programmazione economica di medio/lungo periodo.
Si impone per la Russia un cambio decisivo di rotta nelle scelte di politica industriale: non solo le previsioni non esaltanti del mercato energetico ma anche la riduzione della spesa pubblica nell’anno corrente inducono a cercare il volano della crescita in altri settori. Due sono sostanzialmente i comparti che possono giocare un ruolo competitivo nel mercato internazionale: quello degli armamenti e del nucleare civile. Tra i primi provvedimenti che Putin adottò, all’indomani della sua elezione del 2000, fu quello di riorganizzare il settore della difesa. Le diverse aziende private vennero riunite in un unico soggetto statale, Rosoboronexport. Il provvedimento non fu solo la risultanza di una scelta economica ma anche e soprattutto di una visione strategica. Il controllo statale del colosso Rosoboronexport, fu lo strumento per un ritorno della Russia sul palcoscenico della geopolitica globale specie in Medio Oriente ed in Africa.
L’export degli armamenti aveva, ed ha a maggior ragione oggi, un duplice scopo: diversificare l’economia e stabilire relazioni con i partner acquirenti. La diplomazia delle armi è stato, ed è, lo strumento principale di penetrazione geopolitica della Russia nello scacchiere geopolitico intercontinentale. La “diplomazia armata” è stata particolarmente efficace in Medio Oriente, grazie anche ai legami storici dell’era sovietica dove si erano stabilite consolidate relazioni commerciali e diplomatiche con importanti attori regionali, come ad esempio la Siria, l’Iraq, lo Yemen, l’Algeria.
Il paese che ha contribuito maggiormente a spingere la Russia di nuovo in primo piano sulla scena mediorientale è stato l’Egitto e, ancora una volta, la diplomazia delle armi è stata decisiva. Mosca ed Al Sisi hanno sviluppato i vecchi legami che da tempo l’Unione Sovietica aveva stabilito facendo dell’Egitto un suo fedele alleato. I due paesi nel settembre del 2014 firmarono un contratto per la fornitura di armi russe pari a 3,5 miliardi di USA Dollari, al quale si aggiunse l’anno dopo un accordo tra il colosso dell’energia nucleare russa Rosatom ed il governo egiziano per la costruzione della centrale nucleare di Al-Dabaa. La centrale rappresenta, dopo la diga di Assuan, il più grande progetto infrastrutturale russo in Egitto.
Se i legami storici, di stampo sovietico, sono sopravvissuti, anzi si sono consolidati, nell’area mediorientale si sono aggiunti altri clienti che tradizionalmente erano schierati nel lato opposto del quadro geopolitico, tra questi i paesi del Golfo e l’Arabia Saudita in particolare. Da fonti del Servizio Federale per la corporazione tecnico-militare della Federazione Russa, attualmente il 20% delle armi russe viene esportato in Medio Oriente fornendo un contributo alla casse statali pari a 2 miliardi di Dollari Usa. Da non trascurare che non solo la “qualità” dell’armamento russo è internazionalmente riconosciuto ma i “test” sul campo, ci riferiamo al travagliato teatro di guerra siriano dove sono attivi gli armamenti russi, hanno dato una dimostrazione pratica dell’efficacia della tecnologia militare russa.
Il successo commerciale degli armamenti ha permesso una penetrazione economica e geopolitica in parti del Medio Oriente che storicamente erano al di fuori della storica influenza sovietica. Significativo che nel novembre del 2019 gli Emirati Arabi Uniti, che dal 1986 ospitano una tra le più prestigiose mostre internazionali aerospaziale, la Dubai Airshow, ha visto il successo commerciale dell’armamento russo e soprattutto la nascita di partenariati industriali militari. Elicotteri di Russia decise di vendere il 50% della società VR-Technologies alla società degli Emirati Arabi Uniti Tawazun. VR-Technologies per lo sviluppo di elicotteri e velivoli senza equipaggio (UAV). A seguito della rassegna Dubai Airshow i media diffusero la notizia che Arabia Saudita e Russia stavano concordando una partecipazione per lo sviluppo del sistema di difesa aerea nazionale saudita.
La notizia non era comunque una novità assoluta considerato che l’Arabia Saudita nel 2017 acquistò il sistema di difesa aerea S-400. È facile intuire come tale scelta commerciale fu del tutto in controtendenza al rapporto storico tra Arabia Saudita ed USA. Capitolo a parte è quello dei rapporti tra Russia ed Israele, rapporti che generalmente vengono percepiti solo come riflesso negativo della politica sovietica (il pan-arabismo sovietico fu attivo dall’inizio della rivoluzione d’ottobre sino all’implosione dell’U.R.S.S.) e un lascito dell’era della guerra fredda. Dalla caduta del muro in poi, è avvenuto un cambiamento significativo nei rapporti tra israeliani e russi ed il fattore decisivo è stata l’immigrazione russa nei territori ebraici e palestinesi. A partire dal 1991 furono centinaia di miglia gli ebrei russi che emigrano nello stato ebraico: il flusso fu così imponente che ad oggi il 20% della popolazione ebraica ha origine russe, in pratica un cittadino israeliano su cinque.
Si tratta di una migrazione comunque particolare. La maggioranza dei russofoni israeliani ha mantenuto un forte legame con la terra d’origine, favorito anche dalla propaganda mediatica di Mosca che intenzionalmente alimenta il sentimento nazionalista. Il risultato è che una quota significativa della popolazione israeliana ha una “doppia identità”, una religiosa che la lega allo stato ebraico, l’altra etnico-culturale il cui sentimento è profondamente slavofilo e russofono. Israele d’altra parte coltiva, a fine elettorali, tale ambivalenza, considerato che la quasi totalità degli ebrei russi è di tendenza politica ultra conservatrice.
In altre parole un quinto degli ebrei aventi diritto al voto appartiene a questa “doppia identità” ed il peso elettorale di questa particolare componente etnico-linguistica-religiosa diventa pertanto decisivo negli equilibri politici israeliani. È comunque doveroso ricordare che la Russia non può, per altrettanti motivi etnico-religiosi, trascurare il legame storico politico che l’U.R.S.S. aveva instaurato con il mondo islamico mediorientale, se non altro per non “irritare” il 14% dei cittadini russi di fede musulmana, percentuale che è destinata ad incrementarsi nel corso dei prossimi anni.
Se questo è il panorama del posizionamento russo nel Medio Oriente, negli ultimi anni si è assistito ad una significativa espansione russa in Africa. La Russia sta conquistando un ruolo di primo piano nel Continente Nero. La presenza Russa ha una radice storica, un legame instauratosi nell’era sovietica: l’U.R.S.S. non solo sosteneva militarmente gran parte dei numerosi movimenti di liberazione, dal Sudafrica al Mozambico, dall’Angola allo Zimbabwe, collaborando al contempo con diversi stati tra cui Madagascar, Benin, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo (Rdc), Guinea e Ghana ma, soprattutto, formava nelle università moscovite i futuri quadri dirigenti africani.
La scomparsa dell’Unione Sovietica ha allentato sino quasi ad annullare i rapporti tra Mosca e l’Africa. Le ragioni del ritorno della Russia nel continente ricalcano quelle descritte all’inizio dell’articolo, in altri termini assicurare alla Russia nuovi mercati nei quali “la diplomazia armata” e l’energia nucleare possono essere l’offerta commerciale che apre poi successivamente le porte alla geopolitica. In tale contesto non meraviglia che figura di rilievo russa in Africa non sia un politico da un uomo d’affari ovvero Evgenij Prigozin. Imprenditore vicino a Vladimir Putin, è la pedina vincente russa nella scacchiere africano. Prigozin è il prototipo della classe dirigente russa, legata ad un triplo filo all’oligarchia della quale Putin ne rappresenta l’indiscusso vertice. Significativo che Prigozin sia ritenuto il direttore dell’Internet Research Agency, struttura mediale che diffonde la propaganda russa. Inoltre è legato a società minerarie e di sicurezza private, tra le quali il noto Gruppo Wagner che fornisce mercenari in tutti i teatri di guerra e guerriglia africani. Le società riconducibili a Progozin sono attive in dieci paesi africani con i quali l’apparato bellico russo ha stretti rapporti di collaborazione: Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Libia, Madagascar, Angola, Guinea, Guinea-Bissau, Mozambico, Zimbabwe e Repubblica Centro Africana. La diplomazia militare russa è sempre più attiva nel continente africano dove erano già stati sottoscritti con Mosca contratti di forniture belliche con alcuni paesi, soprattutto della fascia orientale e nel Sahel. Gli accordi hanno interessato Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo e Mahli.
Alla diplomazia delle armi si affianca il settore minerario. Il gruppo Minerario Russo Alrosa, di assoluto rilievo internazionale, è già attivo nei giacimenti di diamanti in Angola e Botswana e da poco opera anche in Zimbabwe in un giacimento di platino. La diplomazia delle armi e gli interessi minerari non possono che fare da traino ed anticipare gli interessi politici e la geopolitica. Non è un caso che nel 2019 Mosca ha partecipato all’organizzazione di un “dialogo nazionale” centroafricano sotto la direzione Dell’Unione Africana in Sudan. Lo scopo geopolitico più immediato è quello, nel breve periodo, di “mettere i bastoni tra le ruote” alla Francia, con la sua tradizionale presenza nel Sahel e centro Africa, sfruttando i sempre più crescenti sentimenti antifrancesi presenti in tutto il continente soprattutto in queste due specifiche aree.
L’attivismo di Mosca è oltretutto ben accetto dai paesi africani anche per la necessità di diversificare i propri partner commerciali al fine di mantenere una maggiore indipendenza economica e, di conseguenza, politica. In conclusione la presenza Russa nel Medio Oriente ed in Africa contribuisce a configurare un disegno geopolitico nel quale la presenza russa diventa importante, se non decisiva, in un area che dal Mediterraneo passa al Medio Oriente per scendere al golfo Persico, tramite l’alleanza con il regime teocratico iraniano e trova poi un sostegno, tramite la diplomazia delle armi, con i paesi del golfo per poi attraversare l’Africa nella sua parte centrale. Un cerchio nel quale sono racchiusi le più importanti aree di riserve energetiche mondiali e dove si stanno giocando, vedi il Mediterraneo, le nuove partite geopolitiche globali. Al tavolo del gioco la Russia, ora diventa un giocatore importante e talvolta è lei che dà le carte e stabilisce le regole.
Daniele Ratti