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(Davvero) oltre il colonialismo

(Davvero) oltre il colonialismo

SILVERBERG, Robert, Mutazione, Prima Traduzione Italiana Milano, Nord (Cosmo. Collana di Fantascienza), 1979.

K. LE GUIN, Ursula, Il Mondo della Foresta, Prima Traduzione Italiana Milano, Nord (Cosmo. Collana di Fantascienza), 1977.

I due romanzi che qui discutiamo escono a pochi anni di distanza – il primo nel 1969, il secondo nel 1972:[1] come evidente, si tratta di due autori statunitensi che scrivono nel pieno della guerra del Vietnam la quale, a sua volta, si inscrive nella fase terminale del cosiddetto processo di “decolonizzazione”[2] che, trasposto nell’immaginario fantascientifico, è proprio il tema dei due romanzi. Un tema che però vedremo sviluppato in maniera diversa, Avvertiamo i lettori che, per mostrare e ragionare su quest’aspetto, saremo costretti allo spoiler di entrambi i romanzi…

Partiamo dal testo di Silverberg. Diciamo innanzitutto che la storia si ispira esplicitamente al romanzo Cuore di Tenebra (1899) di Joseph Conrad,[3] al punto tale che l’antagonista del protagonista ha lo stesso nome dell’equivalente antagonista del romanzo di Conrad : Kurtz. Siamo in un pianeta che è stato un ex colonia dei terrestri come “Mondo di Holman” e già il nome ricorda la pratica di dare ad enormi territori colonizzati il nome di singoli individui a capo degli eserciti conquistatori – in pratica il riferimento neanche tanto velato è la Rhodesia, l’attuale Zimbabwe, che prendeva il nome da Cecil Rhodes.[4] Per decenni le risorse del pianeta sono state saccheggiate dai terrestri, sfruttando il lavoro delle due razze senzienti: gli erbivori Nildor, simili ad elefanti e i Sulidoror, onnivori antropomorfi ma molto più alti e massicci dei terrestri. Queste razze autoctone, soprattutto i Nildor, venivano impiegati soprattutto per il veleno estratto da alcuni enormi vermi, dal quale si ricava una medicina capace di rigenerare i tessuti ma che, di per sé, è anche una potente droga.

L’indipendenza del pianeta non è stata ottenuta grazie ad una rivolta di una od entrambe le razze autoctone, bensì in virtù di una presa di coscienza politica anticolonialista che è diventata maggioritaria sulla Terra. Il protagonista della storia è Edmund Gundersen, a lungo l’amministratore del pianeta che aveva abbandonato all’atto della sua indipendenza ma che, otto anni dopo, decide di ritornare sul pianeta, ora chiamato con il nome indigeno, Belzagor. La decisione di Edmund è causata da forti sensi di colpa per aver trattato le popolazioni locali con il senso di superiorità tipico del colonizzatore: ora comincia a capire che le specie senzienti del pianeta hanno una loro cultura, niente affatto disprezzabile.

In particolare i Nildoror più volte nel corso della loro vita intraprendono un viaggio in un luogo del pianeta – la “zona delle nebbie” – dove sono soggetti ad un misterioso rito di passaggio dal quale escono trasformati, una rinascita vera e propria. In particolare Edmund si tormenta per aver impedito, quando era amministratore, a sette Nildoror di partecipare al rito, costringendoli invece a lavorare per riparare gravi danni alle installazioni terrestri. Ottenuta l’autorizzazione da parte di uno dei più anziani e stimati Nildoror – Vol’himyor – Edmund decide di partecipare ad una cerimonia di rinascita come espiazione. L’autorizzazione è sottoposta ad una condizione: ritrovare Cedric Cullen, un terrestre ricercato dai Nildoror e nascostosi tra i Sulidoror nella zona delle nebbie. Edmund è costretto ad accettare ma riesce a porre alcune riserve: non costringerà Cedric a seguirlo e, qualora questi accetti, i Nildoror non dovranno fargli alcun male.

Edmund si unisce allora a un gruppo di Nildoror diretti nella zona delle nebbie e gli fa da scorta un Nildoror di nome Srin’gahar. In una struttura abbandonata dagli ex coloni terrestri trova un uomo ed una donna infestati da un parassita che li ha ridotti a larve umane che gli chiedono di ucciderli. Nel prosieguo del viaggio incontra una sua vecchia amante, Seena, che vive isolata con un robot e con il suo nuovo compagno, Jeff Kurtz, che aveva anch’esso deciso di prendere parte alla rinascita e che per questo si ritrova col corpo orrendamente mutato.

Nonostante ciò che ha visto della fine di Kurtz ed il tentativo di Seena di dissuaderlo, Edmund non cambia la sua decisione di sottoporsi al rito: è convinto che la rinascita produca effetti diversi da individuo a individuo, per cui gli esiti spaventosi della mutazione di Kurtz sono dovuti ai tanti e spaventosi “peccati” da lui commessi nei confronti dei Nildoror: in particolare Kurtz aveva diffuso la droga dei vermi tra i Nildoror, impedendogli la rinascita.

Giunto nella zona delle nebbie in un villaggio dei Sulidoror Edmund ritrova Cedric Cullen, ammalato di un tumore all’ultimo stadio, accudito dagli alieni e scopre la cosa di cui è accusato dai Nildoror; Cedric ha involontariamente assistito ad un decisamente sanguinario rito di purificazione dai peccati cui i Nildoror dovevano sottoporsi dopo essersi intossicati dalla droga dei vermi offertagli da Kurtz. Cedric è ricercato dai Nildoror perché ne vogliono cancellare i ricordi ed egli non vuole, temendo che la cancellazione dei ricordi potrebbe distruggergli la personalità. Mentre Edmund cerca una soluzione, Cedric muore ed Edmund riprende il viaggio con Srin’gahar ma si smarrisce: ciononostante riesce comunque a raggiungere una grotta dove avviene il rito di rinascita, scoprendo che le due razze senzienti di Belzagor sono in realtà la stessa specie in quanto ad ogni rinascita i Nildoror si trasformano in Sulidoror e viceversa, ringiovanendo.

Edmund, nonostante i timori, decide di affrontare il rischio e si sottopone al rito, che si fonda sull’assunzione del veleno dei vermi variamente lavorato. Al termine del rito si ritrova diverso, non però nel corpo ma nell’animo, avendo acquisito nuovi poteri: è in contatto con l’intero universo senziente e decide di usare i poteri che derivano da questo suo nuovo modo di essere a vantaggio dell’intero vivente a partire dalla cura di Kurtz. In pratica, si è trasformato in una sorta di Messia, giunto per la salvezza non della sola umanità ma del senziente in generale.

La storia narrata dalla Le Guin è invece questa: anche qui si tratta di un pianeta alieno – detto New Tahiti, anche qui un nome imposto dai terrestri, mentre il vero nome è Athshe – ma nel pieno della colonizzazione da parte di una compagnia terrestre. Il pianeta è ricoperto da una densa foresta ed abitato da una razza umanoide, dal colore verde evolutosi per mimetizzarsi al meglio nella foresta ma non è questo ciò che la caratterizza. Gli Ashtiani non dormono mai ma in questo loro stato di veglia continua sognano sempre: è questo carattere a dominare la loro vita e la loro cultura – ad esempio, perché compaia qualcosa di nuovo qualcuno la deve avere sognata e solo dopo introdotta nella comunità, infatti nella lingua degli Ashtiani la parola “Dio”, “Creatore”, ha la stessa radice di “Sognatore”.

All’arrivo dei lavoratori terrestri di una compagnia gli Ashtiani si mostrano estremamente gentili ed incredibilmente remissivi: i lavoratori dipendenti perfetti agli occhi dei dirigenti dell’azienda che, pertanto, li riducono immediatamente in schiavitù e li obbligano a lavorare per loro, costringendoli a distruggere larghe parti del loro ecosistema per il profitto capitalistico. Le blande raccomandazioni del governo terrestre centrale – in qualche modo rappresentato dall’antropologo Lyubov – di non esagerare con questo brutale sfruttamento sono pallide foglie di fico. Il tutto va avanti e si sviluppa anche in una ideologia razzistica di copertura: “non provano il dolore come gli uomini. Tu pensi che colpire uno sia come colpire un bambino, più o meno. Credimi, è invece come colpire un robot, per quello che sentono. Senti, tu ti sei fatto qualcuna delle femmine e sai che ti danno l’impressione di non provare nulla, né piacere né dolore. Probabilmente hanno i nervi più primitivi di quelli dell’uomo. Come i pesci. Quando ero alla Centrale, prima di venire qui, uno dei maschi domestici mi ha attaccato, una volta. Sì, lo so, ti dicono che non lottano mai ma quello è impazzito. Sono stato costretto quasi ad ucciderlo, perché si decidesse anche solo a fermarsi” [K. LE GUIN, Ursula, Il Mondo della Foresta, Milano, Nord, 1977, pp. 8-9].

Davidson, il capo della compagnia che pronuncia queste parole, nella sua incomprensione degli esseri pensanti che ha schiavizzato non si immagina che Selver, il “creechie” che lo ha attaccato, è un dio/sognatore: dopo aver visto la propria donna violentata ed uccisa da Davidson ha fatto il sogno della ribellione. Un sogno che porterà all’interno della sua gente e le cose cambieranno rapidamente: gli ashtiani si ribelleranno, rovesceranno la situazione di schiavitù cui erano ridotti e costringeranno il governo terrestre ad intervenire per sancire la “decolonizzazione” del pianeta. Un cambiamento che gli ashtiani vivono con estrema coscienza “camusiana”: “Vedi, capitano Davidson – disse il creechie – siamo entrambi degli dei. Tu sei un dio insano e io non sono sicuro di essere sano o no. Noi ci portiamo l’un l’altro il tipo di doni che si portano gli dei. Tu mi hai fatto un dono, l’uccisione dei propri simili, l’omicidio. Ora, per quanto posso, io ti faccio il dono del mio popolo, che è quello di non uccidere. Io penso che ciascuno di noi troverà gravoso da sopportare il dono dell’altro.”[K. LE GUIN, Ursula, Il Mondo della Foresta, Milano, Nord, 1977, p. 130]

Il romanzo di Silverberg – di là delle buone intenzioni dell’autore – è paradossalmente ancora dentro l’immaginario colonialista: la decolonizzazione è avvenuta per il buon cuore dei terrestri del pianeta d’origine ed Edmund, l’ex governatore del pianeta, è lui che alla fine diventa una sorta di Messia dell’universo intero e non un Nildoror. Il romanzo della Le Guin, invece, è una stupenda metafora dei processi di ribellione delle masse, con tutte le loro potenzialità e tutti i loro limiti, dove quello che conta non è chi diventa il Messia di turno ma la società egualitaria che si mette in gioco. Il romanzo di Silverberg supera il senso di colpa dell’uomo occidentale immaginandosi un mondo dove comunque il suo ruolo resta centrale – il “Buon Pastore” della tradizione evangelica e, si sa, i pastori alla fine sgozzano i loro animali. Il mondo della foresta, dopo la ribellione, apre una strada difficile da percorrere ma davvero altra. Ursula, ci manchi davvero tanto.

Enrico Voccia

NOTE

[1] Ad essere precisi, nel 1972 esce come romanzo breve all’interno dell’antologia Again, Dangerous Visions curata da Harlan Ellison, vincendo il Premio Hugo per il miglior romanzo breve e viene candidato come tale al Premio Nebula; nel 1976 esce l’edizione ampliata che qui discutiamo.

[2] In senso stretto, il processo di decolonizzazione – in senso generale tutta una serie di movimenti politici e sociali con il quale la quasi totalità delle ex colonie/protettorati giungono all’indipendenza nazionale, sia attraverso scontri rivoluzionari sia tramite accordi con il paese (ex) colonialista – iniziò nel secondo dopoguerra, con l’indipendenza dell’India nel 1947 e terminò nel 1999, con la restituzione di Macao (rimasto l’ultimo dominio coloniale di una certa dimensione) alla Cina. Il grosso del fenomeno però si esaurì alla metà degli anni settanta.

[3] CONRAD, Joseph, Cuore di Tenebra, Milano, Feltrinelli, 1999.

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Cecil_Rhodes .

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