Mauro De Agostini-Franco Schirone, Il popolo tiranni più non vuole. Leggi eccezionali e domicilio coatto nell’Italia di fine Ottocento, ZiC, Milano, 2024
Mauro De Agostini e Franco Schirone ci conducono attraverso la storia delle leggi eccezionali e del domicilio coatto nell’Italia di fine Ottocento con una attenta analisi che intende offrire elementi di conoscenza storica ma anche strumenti di critica del potere politico contemporaneo. Al di là delle caratteristiche specifiche della “torsione autoritaria” dell’Italia degli anni Novanta dell’Ottocento, quel che emerge è infatti la continuità di mezzi cosiddetti “eccezionali” utilizzati via via dallo Stato italiano nell’esercizio del governo. In altri termini, esso ricorre, in più ondate, a leggi emergenziali, frutto di una visione del diritto come “diritto penale del nemico”, che torcono in senso autoritario la cosiddetta legalità democratica: succede a fine Ottocento, con il fascismo, con la legge Reale del 1975, con la legge Cossiga del 1980, ancora con la legge 401 del 1989 che introduce i Daspo, con quella Turco-Napolitano del 1998 che istituisce i Centri di permanenza temporanea (oggi Centri di permanenza per il rimpatrio), quindi con la legge Pisanu del 2005, con il Pacchetto sicurezza Maroni del 2008, con il decreto Minniti-Orlando del 2017, con i due decreti Salvini del 2018 e 2019 (Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica) e infine, ultimo in ordine di tempo, con il decreto legge Meloni-Salvini 1660.
Certo ci sono gradazioni diverse, il confino fascista, istituito nel 1926, non è la stessa cosa di un Daspo del 1989, ma ci sono anche fattori evidenti di continuità: di fondo rimane la stessa visione, a volte latente, più spesso esplicita, cioè un’idea del governo come dominio e del diritto come strumento di cui servirsi per rafforzare il privilegio di pochi. Con il risultato che la legislazione cosiddetta d’emergenza si accumula, decennio dopo decennio, e gli spazi di libertà di espressione di restringono, fino a farci vivere in una gabbia, che si è chiusa intorno a noi passo passo, decreto dopo decreto, un giro di vite dopo l’altro.
Questa triste storia prende l’avvio dal 1862, a un anno dall’unità d’Italia, quando viene decretato lo stato d’assedio per permettere l’intervento dell’esercito e fermare la spedizione garibaldina che intendeva liberare Roma dal giogo papale. Lo stato d’assedio viene poi prorogato al fine di reprimere, da parte di centomila soldati, quell’insorgenza popolare del sud Italia passata alla storia col termine brigantaggio e nel 1863 la legge Pica istituisce il domicilio coatto, il cui utilizzo cresce poi esponenzialmente fino a fine secolo. È il governo di Francesco Crispi, ex mazziniano e sovversivo, a sancire un salto di qualità nella repressione del dissenso, con il rinnovato utilizzo dello stato d’assedio per stroncare il movimento dei Fasci dei lavoratori in Sicilia e in Lunigiana, con le tre leggi antianarchiche del 1894 e con la legge di pubblica sicurezza del 1899, che prevede una serie di misure preventive come l’ammonizione, il rimpatrio obbligatorio, la sorveglianza speciale e, appunto, il domicilio coatto – in parte sopravvissuti fino a oggi.
Il testo analizza quindi il contesto storico in cui si affermano le leggi eccezionali e il domicilio coatto e descrive le condizioni di prigionia, ma anche le lotte, nelle isole di Ustica, Lipari, Pantelleria, Ponza, Favignana, Lampedusa, Tremiti (dove nel 1896, nel corso di una rivolta, viene ucciso l’anarchico Argante Salucci), Ventotene e la Rocca di Port’Ercole, presentando vari documenti e testimonianze, tra cui quelle di Roberto D’Angiò, Niccolò Converti, Errico Malatesta, Oreste Ristori, Ettore Croce, Adamo Mancini, Luigi Fabbri, Ugo Lambertini, Pietro Calcagno, oltre a uno studio storico di Olindo De Napoli sul domicilio coatto istituito ad Assab, in territorio africano.
Nella postfazione Natale Musarra evidenzia ulteriori aspetti interessanti. Innanzitutto il fatto che il domicilio coatto prima e il confino poi costituirono due fasi in cui i sovversivi trovarono coesione e affiatamento al di là della divisione in scuole o tendenze, rafforzando legami solidali. In secondo luogo lo storico siciliano sottolinea che queste istituzioni non spensero la volontà degli anarchici, ma ne rafforzarono lo spirito di rivolta e che è proprio in entrambe queste fasi che i libertari elaborarono nuovi spunti di riflessione politica, in grado di far ripartire su basi rinnovate la propria attività militante, una volta ottenuta la libertà. Ad esempio è proprio sulla scorta del dibattito tra i ristretti al domicilio coatto, organizzatori e antiorganizzatori, che si sviluppa a inizio Novecento quel programma della Federazione socialista anarchica del Lazio, riferimento anche per organizzazioni successive come la stessa Unione anarchica italiana prima e Federazione anarchica italiana poi, che “pur propugnando l’organizzazione contiene importanti aperture al pluralismo e all’autonomia dei gruppi e degli individui”, riconoscendo “la libertà di iniziativa di ogni singolo suo componente” (p. 205).
A. Soto
Il testo (17 euro) si può richiedere a zic@zeroincondotta.org