Il 17 gennaio la Camera ha approvato il rinnovo delle missioni militari all’estero. Oltre al rinnovo di quelle già in atto, è stato deciso un nuovo impegno strategico in Africa, per la difesa della sicurezza degli interessi nazionali. Libia, Niger (con intervento anche in Mauritania e Benin), Tunisia, Sahara Occidentale, Repubblica Centrafricana. Questi i paesi dove saranno inviate le truppe.
Gli interessi economici sono enormi. Il più noto è certo l’uranio in Nigeria, ma anche il mercato ampio e appetibile delle ex-colonie francesi (e non solo), un mercato che ha pure una moneta unica, il franco CFA, erede e continuatore della politica coloniale francese. Dalla Tunisia inoltre passa il gasdotto che porta in Italia il gas algerino.
Gli interessi politici sono altrettanto forti. Basti pensare al ruolo politico della presenza di un numero consistente di militari italiani in Tunisia finalizzato alla costruzione di un Quartier generale NATO. In un paese come la Tunisia, dove è ancora vivo l’insegnamento dell’insurrezione vittoriosa contro Ben Ali, dove le generazioni che hanno animato la “rivoluzione interrotta” non sono state schiacciate dalla repressione come in Egitto, dove ancora esistono le organizzazioni di base di donne e giovani disoccupati, dove attualmente sono in corso grandi proteste contro il carovita, represse nel sangue, dove ancora c’è la possibilità di un rovesciamento del governo sotto la pressione delle proteste popolari, inviare delle truppe costituisce un atto politico. Il Governo Italiano con le sue truppe fa da garante al Fondo Monetario Internazionale sulla stabilità politica interna della Tunisia, la quale dovrebbe varare nuove riforme strutturali su richiesta del FMI.
Sia chiaro, mire neocoloniali e interessi italiani in Africa non sono mai finiti. L’invio delle truppe e l’avvio di una strategia militare sono però una nuova pericolosa e criminale impresa, un punto di non ritorno per una politica militare aggressiva. Anche questa volta, come nel passato monarchico e fascista, non ci sarà nessun “posto al sole”. La “salvaguardia degli interessi nazionali” non può far sperare in alcun effetto positivo diretto o indiretto per la grande maggioranza della popolazione, non ci saranno aumenti di salari, riduzioni dei canoni d’affitto o delle bollette, non ci sarà un aumento dei posti di lavoro, o dei servizi sociali e si continuerà ad andare in pensione sempre più tardi e si continuerà ad emigrare o a morire prima per colpa dei tagli alla sanità. Chi ci guadagnerà veramente, se ha fatto bene i propri calcoli, è la classe dirigente, gli industriali, i finanzieri, i generali. Se i calcoli sono sbagliati saremo comunque noi a dover pagare, con ulteriori sacrifici. Intanto le prime stime di spesa, solo per le nuove missioni africane, parlano di 118.798.581 euro. Che vanno ad aggiungersi al resto della spesa militare, per il 2017 64 milioni al giorno, per un totale di oltre 23 miliardi. A noi dunque resteranno solo tasche vuote, peggiori condizioni di vita e di lavoro e un aumento dei rischi e delle restrizioni connesse alla guerra: maggiore controllo sociale, restrizione delle libertà, militarizzazione del territorio, gerarchizzazione della società, repressione del dissenso, aumento della propaganda paranoide sul rischio terrorismo, coinvolgimento più o meno diretto nella guerra e nei suoi più tragici effetti.
Chi oggi alla Camera ha votato a favore dell’avvio delle nuove missioni, è responsabile dell’avvio ufficiale della nuova fase di ingerenza militare italiana in Africa. Ma questa deParte la guerra d’Africa: cisione non è un’improvvisata, è stata preparata negli ultimi anni, quantomeno dalla partecipazione dell’Italia alla guerra d’aggressione alla Libia nel 2011, quando il governo tenne segreto il ruolo italiano nei bombardamenti aerei sul territorio libico. Quindi non è responsabilità del solo governo Gentiloni, ma di quel blocco PD-Forza Italia che con fasi alterne ha governato il paese negli ultimi 25 anni. Le politiche di guerra che hanno dato un nuovo “protagonismo internazionale” all’Italia tra anni ‘90 e 2000, hanno avuto come fautori e sostenitori personaggi che ora si presentano alle prossime elezioni arruolati in liste “alternative”, anche se fino a ieri erano arruolati nelle file del governo. Tra questi D’Alema, oggi esponente del Movimento Democratico Progressista, è il più noto, ma vi sono anche alcuni dei relitti di Rifondazione Comunista. Chi prima ha voluto e votato la guerra contro Federazione Jugoslava nel 1999 e chi ha sostenuto poi col voto parlamentare l’occupazione dell’Afghanistan, ha contribuito a preparare la nuova avventura coloniale dell’Italia.
Il fatto che il voto parlamentare su questioni di tale rilevanza sia avvenuto con una convocazione straordinaria della Camera dopo lo scioglimento del Parlamento in vista delle elezioni di marzo, in piena campagna elettorale, mostra quanto siano illusorie le pretese di rappresentanza diretta o di potere popolare, specie all’interno di queste istituzioni. Il Movimento 5 Stelle e Liberi Uguali, che avrebbero avuto per alcuni il “merito” di ottenere che la questione venisse sottoposta al voto parlamentare, hanno utilizzato il Parlamento come semplice tribuna di campagna elettorale.
L’urgenza di oggi, ora più che mai di fronte alle nuove missioni in Africa, è quella di partire dalle situazioni di lotta, dagli organismi di base, dalle realtà autogestite e solidali in cui siamo presenti per rilanciare un intervento antimilitarista nuovo, ancorato alle più calde questioni sociali, in una prospettiva rivoluzionaria di liberazione sociale. L’urgenza è opporsi alla guerra, alle varie forme in cui essa si riproduce a livello interno, specie in termini di militarizzazione e controllo sociale, così come alle missioni di guerra all’estero di cui le nuove missioni colonialiste in Africa sono l’ultimo e più grave sviluppo.
Dario Antonelli