L’epopea di Domenico Minniti, detto Marco, uomo d’ordine con il look di Bruce Willis, è cosa che si va diffondendo come leggenda vera della croce che grava sulle spalle degli statisti di rango. E però i due decreti che sono stati battezzati col suo cognome hanno più di un papà. Infatti, il decreto legge n. 13 del 17 febbraio 2017 (recante disposizioni per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale), approvato con modifiche dal senato il 29 marzo e trasmesso alla camera dei deputati per la continuazione della procedura di conversione in legge, ha come presentatori Gentiloni Silveri (presidente del consiglio dei ministri), il nostro eroe Minniti (ministro dell’interno), Orlando (ministro della giustizia, quello buono, amato dai piddini buoni che si oppongono al monellaccio Renzi), e di concerto lo firmano anche Alfano (ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale) e Padoan (ministro dell’economia e delle finanza). Una cosa simile accade per il già famigerato, e spauracchio dei movimenti ribelli, decreto legge n. 14 del 20 febbraio 2017 (recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), approvato con modifiche dalla camera dei deputati il 16 marzo 2017 e da essa trasmesso il giorno successivo al senato, ove è in discussione: i presentatori sono i succitati Gentiloni Silveri e Minniti, e di concerto firmano anche l’Orlando pacioso e Costa (il piccolo Carneade che fa il ministro degli affari regionali). Si tratta quindi di responsabilità diffusa, sebbene il Minniti abbia eroicamente assunto il ruolo di presentatore principe e convogliatore su di sé di lodi e di riprovazioni.
Del contenuto del decreto sull’immigrazione si sa che prevede la creazione di un CIE, seppure di dimensioni ridotte, per ogni regione: una distribuzione democratica dei campi di concentramento. Si sa anche che è stato eliminato il giudizio di appello nel caso in cui il richiedente asilo abbia ottenuto in primo grado una sentenza sfavorevole alla sua richiesta: si andrebbe direttamente in cassazione per questioni di legittimità. Scopo evidente di questa cosa è velocizzare le espulsioni, anche se, in sede di conversione, è stata attuata qualche modifica: è aumentato il numero dei tribunali dotati di sezioni speciali per tali pratiche riguardanti i richiedenti asilo, il giudice non è più monocratico ma collegiale, il richiedente asilo deve essere obbligatoriamente ascoltato dai giudici. Una piccola attenuazione dell’impatto repressivo del decreto che si affianca alle lodi unanimi che l’Italia ha ricevuto da varie agenzie umanitarie internazionali per l’approvazione definitiva della legge sull’accoglimento dei minori non accompagnati. L’Italia è quindi uno Stato buono che caccia via la gente con grande umanità e accoglie i piccoli, in ottemperanza alle norme evangeliche. E però, se si fa caso alle cose più recenti, l’obiettivo vero sarebbe quello di non fare neanche arrivare sul nostro territorio i migranti e i profughi di mille guerre e di mille carestie: prova ne sia l’accordo firmato sabato 1 aprile dallo stesso eroico Minniti con i capitribù del deserto libico. In forza di questo accordo, i migranti dell’Africa subsahariana dovrebbero essere inchiodati ai confini orientali e meridionali della Libia, in modo da evitarci pure l’incomodo di accoglierli nei nuovi lager e di istruire frettolosi processi per accelerare le pratiche della loro espulsione. Tutto a posto: da un lato la “civiltà” giuridica europea che, in bella forma, stabilisce chi è degno di stare dalle nostre parti, e dall’altro lato la virile e selvaggia forza delle tribù del deserto che fungono da nostri sbirri di confine e, in caso di necessità, magari anche da killer prezzolati.
Passiamo ora al decreto sulla sicurezza urbana, quello che si apre con i buoni propositi che qui, per comodità di lettura, riportiamo tra virgolette: “ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre strumenti volti a rafforzare la sicurezza delle città e la vivibilità dei territori e di promuovere interventi volti al mantenimento del decoro urbano.” Decoro è una bellissima parola: sembra tirata fuori da una bella poesia crepuscolare (ma, in tal caso, si sarebbe trattato di una presa in giro nello stile leggiadro di cui il poeta-avvocato Guido Gozzano fu maestro notevole).
Partiamo dal finale, quello bello, e poi vediamo il resto: soldi, qualche miliardata versata anno per anno, per il recupero delle periferie. Promettono soldi per le periferie: per fare che cosa non è chiaro, ma si vedrà…
Risaliamo ora, costruendo un breve elenco, alle cose che potrebbero contribuire alla riduzione degli spazi di libertà dei cittadini, peraltro già così abituati a consimili restrizioni, da non farci gran caso o, addirittura, da lodare lo sceriffo che promette ordine e sicurezza.
Prima cosa: integrare le polizie, che sono numerose (con le loro svariate divise multicolori) e che annoverano pure quelle locali, delle quali si vogliono espandere i compiti. E poi: l’istituzione di patti per la sicurezza urbana tra prefetti e sindaci, la creazione di comitati metropolitani (la creazione di nuovi organismi risolutivi è tipico espediente di chi non sa far funzionare gli organismi esistenti), ordinanze dei sindaci riguardo alla vendita di alcolici in determinate zone (ma non ne fanno già?), ordinanze dei sindaci per l’allontanamento di coloro che impediscono l’accessibilità di alcuni luoghi pubblici (alle stazioni, e agli altri luoghi già previsti, in sede di conversione si sono aggiunte le scuole), ordine dei questori di allontanamento fino a sei mesi (o da sei mesi a due anni per chi è pregiudicato per alcuni reati), daspo ordinato dal questore per i pregiudicati per spaccio in modo che questi siano allontanati da alcuni luoghi per periodi da un anno a cinque anni, ordini di comparizione o di firma in casi analoghi, potere di ordinanza dei sindaci in svariati casi in cui già hanno in passato adoperato questi strumenti resi ora meno controversi da una norma di legge precisa (contro lo sfruttamento della prostituzione, contro l’accattonaggio con impiego di minori e di disabili, contro l’occupazione di spazi pubblici), la possibilità di arresto in flagranza differita in caso di manifestazioni pubbliche (entro le 48 ore, con prove oggettive rilevabili tramite filmati registrati), la possibilità per i giudici di subordinare la sospensione condizionale della sanzione penale destinata ai writer al fatto che questi ripuliscano le pareti insozzate o paghino le spese per la ripulitura o svolgano altre attività non retribuite a favore della comunità, la definizione prefettizia delle priorità riguardo agli sgomberi di immobili occupati illecitamente.
In sede di conversione, ancora incompleta (poiché il decreto deve ancora essere votato in senato), si sono fatti alcuni correttivi, per così dire, sociali: per esempio, il coinvolgimento di reti di volontari nelle attività di prevenzione e del privato sociale per il recupero, non si sa come, degli individui marginali (un tocco di buon cuore non guasta mai); si è stabilito inoltre che le spese per la videosorveglianza possono essere collocate al di fuori dei limiti di bilancio degli enti che volessero affrontarle.
Il sunto è forse eccessivamente breve, e però di tali contenuti si è scritto abbondantemente nei giornali e si è parlato anche in televisione, magari in modo non molto preciso. È poi sempre possibile, ammesso di averne il fegato (visto lo stile affaticato degli scrittori), leggere direttamente i testi dei decreti nei siti delle nostre istituzioni parlamentari. Resta inoltre da vedere come tali decreti usciranno trasformati in via definitiva dall’approvazione finale delle leggi di conversione e quali saranno poi le linee di attuazione suggerite per via amministrativa come completamento della normazione astratta. Vedremo.
Per ora sembra utile fare qualche considerazione finale.
La prima questione rilevante è l’enfasi sulla prevenzione: prevenire reati e disagi, colpendo persone sospette, è il criterio prevalente. La seconda questione da sottolineare è il passaggio di alcun competenze relative all’ordine pubblico ed alla repressione dagli organi giudiziari agli organi amministrativi: il cosiddetto Stato di diritto, feticcio preferito anche da una parte abbondante della sinistra nostrana, ne potrebbe risultare un pochino danneggiato; ma, visto che si tratta di mito, forse può sopravvivere ugualmente nelle menti dei suoi fedeli adoratori. La terza questione da sottolineare è il singolare concentramento di sforzi riguardo all’eliminazione di comportamenti e di reati che potremmo definire “dei poveri”: l’ordine pubblico, la produzione normativa, l’esercizio dell’attività giurisdizionale sono influenzati da sempre da un classismo agente, nonostante la predicazione diffusa riguardo alla fine delle classi sociali.
Il ministro Domenico Minniti, detto Marco, si è posto sulla scena come principale artefice di questa ulteriore svolta d’ordine, che egli afferma non essere assolutamente in contrasto con le politiche di una sinistra moderna. Facendo caso che alcuni considerano di sinistra persino Stalin, potremmo quasi dare ragione all’uomo d’ordine di Reggio Calabria. Sarebbe comunque bene non personalizzare eventi che hanno una portata generale e sono conseguenza di molteplici fattori economici, sociali e politici. È vero che Minniti ha fondato nel 2009, con l’ex Presidente Cossiga, l’Intelligence Culture and Strategic Analysis (ICSA) (ora presieduto dall’ex generale dell’aeronautica Tricarico), è vero che Minniti ha avuto diversi parenti nelle forze armate (padre e zii), è vero che ha sempre bazzicato la NATO e gli ambienti dell’intelligence, e però non si può immaginare che un individuo da solo possa essere determinante nel definire le politiche di sicurezza di un certo Paese.
Verrebbe anche da assimilare la figura di Minniti a quella di famosi (e un po’ dimenticati) politici meridionali del passato: Francesco Crispi, Giovanni Nicotera, Antonio Starabba marchese di Rudinì, tutti uomini d’ordine di governi dell’Italia monarchica, tutti uomini che in gioventù furono esponenti della sinistra dell’epoca (mazziniani, garibaldini, combattenti di guerriglia e di barricata). Si potrebbe dire che, come al solito, si nasce incendiari e si finisce pompieri. Ma, in realtà, il nostro Minniti incendiario non lo fu mai: sempre nelle schiere del PCI, prudente e astuto, al servizio di un partito che ha avuto i suoi “meriti” nella normalizzazione delle situazioni preinsurrezionali degli anni settanta del secolo scorso; un partito-Stato in seconda battuta: quando la DC non funzionava, ecco il PCI a supplire efficacemente. Quindi no: Minniti non è mai stato un rivoluzionario e non è diventato all’improvviso un uomo d’ordine. E lo sa benissimo il buon popolo che, nei sondaggi attualmente correnti, lo mette in prima posizione tra i ministri quanto a gradimento del suo operato.
Minniti non è solo un uomo: è anche l’espressione vivente delle paure piccolo borghesi che affliggono altresì i proletari, è l’oscuro e scialbo burocrate che interpreta i tempi e compie azioni che chiunque, al suo posto, avrebbe compiuto.
Dom Argiropulo di Zab.