Giovanni Passannante nato in Basilicata, a Salvia di Lucania, fu un anarchico che attentò alla vita di Re Umberto I di Savoia il 17 novembre 1878. Per questo gesto sconterà una durissima repressione: ad un primo tentativo di regicidio non dovevano seguirne altri. Condannato dapprima alla pena capitale, verrà poi incarcerato all’ergastolo e morirà in un manicomio criminale il 14 febbraio del 1910.
Fin dal suo arresto sorsero molte testimonianze di canti, da quelli popolari fino a quelli contemporanei.
1 CRANCHI – IL CUOCO ANARCHICO
2 TÊTES DE BOIS – LA CANZONE DI GIOVANNI PASSANNANTE
3 CARLO GHIRARDATO – ODE A PASSANNANTE
1 CRANCHI – IL CUOCO ANARCHICO
Ne “Il cuoco anarchico” Cranchi ci incanta immedesimandosi nel mancato regicida lucano. “Vennero dieci soldati / con le sciabole a fianchi / e vennero quattro dottori / con il bisturi e camici bianchi. / Restarono solo / la mia berretta e un poeta, / un poeta romagnolo, / e la mia berretta da cuoco”. Un testo che inizia con queste parole ci proietta in un contesto drammatico e simil-fiabesco che potrebbe risultare nonsense. Il cantautore mantovano spesso sfoggia strofe nelle quali l’ascoltatore rischia di perdersi. Molti personaggi, scene e riferimenti non sono semplici da intuire o dedurre. Non si tratta dunque di testi che si possano interpretare troppo liberamente. Se il “cuoco anarchico” è Passannante, “i soldati” sono gli sgherri sabaudi che lo arrestarono e custodirono per poi consegnarlo agli alienisti lombrosiani. Per quanto indiretti molti suoi testi, con le cornici storiche assestate a dovere, celano protagonisti e fatti molto concreti.
Successivamente invece si fa riferimento ai versi superstiti dell’“Ode a Passannante” declamata da Giovanni Pascoli. Il “poeta romagnolo” pagherà con la detenzione questo gesto e gli ultimi versi, tramandati oralmente, recitavano infatti: “Con la berretta d’un cuoco / faremo una bandiera!”.
Passannante verrà incarcerato in indicibili condizioni sull’Isola d’Elba dove impazzirà, sarà poi trasferito nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Raccontando della pseudo scienza lombrosiana emerge lo stretto rapporto tra potere politico e psichiatria. “Venne un boia con la faccia da cane / a vedere se ero già morto, / o se finalmente ero pazzo davvero / e che misure aveva il mio corpo, / mi aprirono il cranio / e sezionarono il cervello, / ma non trovarono che una bandiera / ricavata da un cappello”. La testa dell’attentatore venne esposta al museo criminologico di Roma. A complicare le cose c’è il sovrapporsi dei piani temporali. Gli avvenimenti non appaiono nella canzone in perfetta successione, un po’ come se fossimo sulle ginocchia del nonno che racconta le sue storie come gli vengono in mente, senza un ordine preciso, perché tanto sono tutte collegate ma chi ascolta lo sa e lo capisce. Solo ora si arriva al momento dell’attentato: l’arma, la dinamica, le motivazioni. “Io alto uno e sessanta con un coltellino da tasca. / buono soltanto per sbucciare le mele arrivai senza giacca. / Giovanni se ne esce dalla folla per colpire con forza, / per colpire con forza da solo un intero sistema”. Passannante aveva infatti barattato la sua giacca per ottenere il temperino. Oltre alle angherie patite nelle sabaude galere, Giovanni accenna ad Umberto I, dipingendolo in un modo che svela sconcertanti verità lombrosiane: “… tutto questo per avere attentato alla vita di uno coi baffi da scemo, / con occhi da trota / e i baffi da scemo”. Quella di Cranchi è una forma cantautorale dove le parole assumono potenza tramite ciò che dicono.
Chi canta sposa il gesto dell’attentatore, e non lo nasconde. Nello stesso disco de “Il cuoco anarchico” c’è anche “Gaetano” dedicata a Bresci. Cranchi vuole “…uccidere il Re / perché capissero che era solo il primo, / volevamo combattere un concetto / per vedere se moriva come un contadino”. Queste parole raccontano, e forse spiegano, il gesto di Passannante ma sono l’incipit della traccia “Anni di piombo”, omonima all’album, che invece parla degli anni ’70. Era da tanti anni che l’Italia non aveva più un Re, con altre corone e su altri troni erano arrivate nuove dinastie. Ma dal 2010 Cranchi, con la sua banda, è appostato con strumenti acustici e strofe manoscritte ad un argine del Po, cospirando un agguato ai monarchi senza tempo.
2 TÊTES DE BOIS – LA CANZONE DI GIOVANNI PASSANNANTE
Têtes de Bois vantano la discografia di un gruppo rimasto in attività per vent’anni, festeggiati nel 2012. Affondano le loro radici nelle più celebri voci della canzone francese, nel 2007 esce “Avanti Pop” libro con Cd che testimonia un tour che ripercorreva i luoghi simbolo del lavoro del nostro paese.
Con “L’innaffiatore del cervello di Passannante, l’anarchico che tentò di uccidere Umberto di Savoia” (2003) Ulderico Pesce, fece conoscere questa storia ad un vasto pubblico. Coinvolse anche Andrea Satta (cantante delle Teste di Legno) per chiedere che le spoglie dell’attentatore cessassero di essere un reperto. “La canzone di Giovanni Passannante” venne scritta come colonna sonora per il film di Sergio Colabona del 2011 che racconta dell’anarchico, anche attraverso le lotte per la sua memoria. “Piango i fiori dei limoni / e i profumi del sud, / piango per Nicola e Bart / cui nessuno pensa più”. I soprusi subiti da Passannante qualche decennio dopo non risparmieranno i due anarchici d’origini italiane giustiziati da innocenti negli Usa. “Se non hai per me amore, / se non hai di me memoria, / se non hai per noi passione / sei un uomo senza storia”. Il giovane anarchico repubblicano si era formato leggendo la Bibbia, Mazzini e Garibaldi, «Evviva la Repubblica Universale!» gridò prima di avventarsi sul monarca. “Mi chiamo Giovanni, / sono un semplice cafone, / torturato come un Cristo / senza la resurrezione”.
Nel 2007 il cranio e il cervello di Passannante vennero finalmente sepolte in Basilicata. “Piango per i Re aguzzini / e i politici corrotti, / piango per i Re assassini / e i borghesi un po’ distratti”. Ma altre battaglie simboliche restano da affrontare, perché ancora oggi, con la Repubblica e i Savoia liberi di scorrazzare, Salvia di Lucania si chiama ancora “Savoia”. Deve ancora espiare la colpa di aver dato i natali a Passannante.
3 CARLO GHIRARDATO – ODE A PASSANNANTE
Ha un titolo di pascoliana memoria il brano che Carlo Ghirardato ha dedicato a Passannante. “Una giacca di velluto / per otto soldi hai venduto, / per accattà quel coltello / mezza lira, e fare lo sfregio / al Re Umberto: primo di che?”. È un pezzo con molti riferimenti, che non ripudia inflessioni meridionali, figli di una precisa documentazione. Proveniente dalla fiorente scena New Wave, Ghirardato ha inoltre reinterpretato il repertorio di De Andrè. Da buon cantastorie Ghirardato riporta fedelmente la storia di Giovanni, senza sembrare oggettivo, in un brano che si prende i tempi e i vizi di chi sa suonare. “Poi arrivò la grazia / non più la morte / ma sepolto vivo / sotto una torre, / sotto il livello del mare, / dove brucia nel sale / la grazia regale”. Esiste un video della canzone con le illustrazioni di Tommaso Vidus Rosin sul canale YouTube della “Pro Loco Salviamo”, pubblicato esattamente il 19 di febbraio, compleanno di Passannante.
Il finale consola Giovanni, raccontandogli dell’avvento di Bresci, mettendo in italiano i versi di una antica filastrocca pugliese. “Passannante no, / non pianger più / che il Re non regna più”.
En.Ri-ot