Luglio 1894: le leggi anti-anarchiche

Il 1894 è uno degli anni più tragici nella storia dell’Italia post-unitaria. È in pieno svolgimento l’agitazione dei Fasci siciliani, associazioni di operai, lavoratori delle solfatare e braccianti con ampia presenza socialista e anarchica, che chiedono migliori condizioni di lavoro. Lo Stato risponde con il pugno di ferro. Dopo che tra il 10 dicembre 1893 e il 5 gennaio 1894 erano stati uccisi ben 92 dimostranti, il 13 gennaio viene proclamato lo stato d’assedio in tutta l’isola. Le associazioni operaie vengono sciolte, la stampa imbavagliata, la repressione affidata ai tribunali militari che comminano decine di anni di carcere, migliaia di “sovversivi” vengono inviati al domicilio coatto.

Di fonte all’introduzione dello stato d’assedio in Sicilia, viene proclamato uno sciopero generale di solidarietà a Carrara, che ben presto assume spontaneamente toni insurrezionali. Anche qui la repressione è del tutto sproporzionata ai fatti: stato d’assedio, tribunali militari e condanne pesantissime. Clamoroso è il caso dell’anarchico mantovano Luigi Molinari, condannato a 23 anni di reclusione in quanto presunto “capo” del moto, mentre la sua presenza a Carrara si era limitata ad alcune conferenze tenute nel dicembre precedente.

Questo pesante clima repressivo ispira il fallito attentato dell’anarchico Paolo Lega contro il presidente del consiglio Francesco Crispi (16 giugno), quasi in contemporanea (24 giugno) abbiamo l’uccisione del presidente della repubblica francese Sadi Carnot da parte di Sante Caserio.

Il gesto di Caserio provoca una vera e propria ondata di isterismo internazionale abilmente alimentato dai diversi governi per approvare misure repressive. In prima fila Crispi che, il 1° luglio, presenta in parlamento tre leggi esplicitamente definite “anti-anarchiche”

La legge 314 colpiva severamente tutti i reati compiuti con esplosivi, la detenzione e l’apologia. La legge passò con scarsissima opposizione (praticamente solo da parte dei radicali di Bovio, Imbriani e Felice Cavallotti) nonostante lasciasse alla polizia ampie possibilità di prefabbricare prove, dato che era sufficiente trovare in casa del presunto “anarchico” qualche sostanza adatta a fabbricare esplosivi.

La legge 315 inaspriva le pene per i reati di istigazione a delinquere, apologia di reato ed eccitamento all’odio di classe se commessi a mezzo stampa. Veniva anche introdotta una nuova pena per l’istigazione dei militari alla disobbedienza. In questo caso nell’opposizione ai radicali si unirono anche i socialisti.

La legge 316 inaspriva le norme del domicilio coatto (una misura preventiva di origine borbonica, poi rinverdita dallo Stato unitario nella lotta contro il “brigantaggio” meridionale). La legge consentiva di assegnare al domicilio coatto da uno a cinque anni le persone sospette secondo la legge di pubblica sicurezza e quelle condannate per reati con materie esplodenti (art. 1). Coloro che avessero “manifestato il deliberato proposito di commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali” (art.3) potevano essere inviate al domicilio coatto fino a tre anni (si colpiva così un semplice reato di opinione). La legge vietava poi le adunanze e le associazioni che avessero come scopo il “sovvertimento per le vie di fatto degli ordinamenti sociali” (art. 5) e comminava il domicilio coatto fino a sei mesi ai contravventori. Anche in questo caso la legge venne approvata con scarsa opposizione parlamentare.

Ne segue una repressione violentissima, con la soppressione di tutti periodici e associazioni anarchiche e lo scioglimento persino del Partito Socialista, una spirale che vedrà poi il culmine nelle cannonate di Bava Beccaris del 1898, contro la folla che protestava per la mancanza di pane.

L’anniversario (1894-2024) delle leggi anti-anarchiche ci consente di riflettere oggi sulla “continuità” della legislazione repressiva nello Stato italiano liberale-fascista-democratico.

Misure amministrative come avviso orale, foglio di via, sorveglianza speciale oggi ampiamente usate contro attivisti, militanti No Tav e sindacalisti di base, impropriamente definite “norme fasciste”, risalgono in realtà alla legge di pubblica sicurezza del 1899 voluta proprio da Francesco Crispi.

Lo Stato repubblicano non ha abolito nessuna di queste norme ma ci ha aggiunto ampiamente del suo. A parte le leggi “anti-terrorismo” degli anni Settanta con cui un’intera generazione è finita in carcere o nella tomba, con la legge Turco-Napolitano del 1998 (voluta dalla “democratica” Europa) si è creato un meccanismo di detenzione amministrativa riservato ai cittadini “extracomunitari” che consente di incarcerare per mesi senza alcuna garanzia persone che non hanno commesso alcun reato. Ma pensiamo ai vari DASPO, ai DPCM con cui durante la pandemia sono stati sospesi i più elementari diritti costituzionali, al reato di “devastazione e saccheggio” ormai usato per colpire anche reati minori di danneggiamento, al regime di carcerazione 41 bis trasformato in vero e proprio strumento di tortura, ecc.

Al di là della finzione della “Costituzione più bella del mondo” il Potere mostra (ieri come oggi) il suo vero volto e la funzione della legge si rivela per quello che è: tutela degli interessi delle classi dominanti.

Per un approfondimento: Mauro De Agostini, Franco Schirone, Il popolo tiranni più non vuole. Leggi eccezionali e domicilio coatto nell’Italia di fine Ottocento, Zeroincondotta, 2024.

Mauro De Agostini19

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