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Lotte, analisi e cronaca della situazione attuale

Lotte, analisi e cronaca della situazione attuale

Premessa: le interviste ai compagni lombardi, toscani ed emiliani sono state fatte Domenica 15 novembre 2020: preambolo necessario vista la situazione in continua evoluzione (NdR).

Umanità Nova – d’ora in po UN: Parlateci prima un po’ di come è nata l’Unione Sindacale Italiana del settore Sanità.

Gianni dell’USI Sanità – d’ora in poi GU: L’USI Sanità è nata nel 1991, quando in vari ospedali lombardi si erano creati vari Collettivi e Comitati che vi operavano all’interno e questi, per poter continuare ad operare date le nuove normative, hanno deciso di aderire all’USI. Poi, con l’adesione di altri gruppi operanti in ospedali ed ASL di altre regioni, si è costituita l’USI settore Sanità a livello nazionale. All’inizio si era molto estesa perché i collettivi e comitati preesistenti erano molto estesi, in quanto c’era un forte dissenso verso la politica dei sindacati confederali e molti lavoratori si rivolgevano a noi. In questo periodo, dove si era presenti, assai spesso l’USI Sanità è arrivata ad essere il primo o secondo sindacato alle elezioni interne. Siamo riusciti perciò ad organizzare iniziative e scioperi molto partecipati, nonostante il restringimento che già allora iniziava degli spazi di agibilità per il sindacalismo di base. Avevamo anche un’alta percentuale di presenze nei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e sicuramente eravamo tra i più attivi in questo campo: siamo riusciti in molti casi ad attivare gli organi ispettivi ed a risolvere molti casi, ad esempio, la presenza di strutture amantifere in molti ospedali, la gran parte costruiti o ristrutturati negli anni sessanta, che siamo riusciti a far rimuovere. Abbiamo agito anche su molte altre questioni, con un forte consenso da parte di molti lavoratori che apprezzavano il nostro modo di agire e, di conseguenza, eravamo punto di riferimento in molte situazioni.

UN: Cosa sapete della situazione attuale? Che notizie avete direttamente o che comunque vi arrivano dai compagni attivi nelle strutture sanitarie?

GU: Sulla pandemia da COVI-19 occorre partire da lontano: in questi ultimi decenni, soprattutto negli ultimi venti anni, hanno sempre più distrutto la sanità pubblica, sia quella ospedaliera sia quella territoriale. La cosa è stata fatta sia dai governi nazionali sia dai governi regionali, fatto che ha portato ad avere poco personale all’interno delle varie strutture, poche risorse sia in termini di materiali sanitari sia di materiali di dispositivi di protezione collettivi ed individuali. Questo sfascio è stato sempre maggiore nel corso degli anni ed in questo modo si è giunti alla deficitaria situazione attuale, sotto gli occhi di tutti. Per esempio a Milano volevano chiudere, nonostante la evidente diminuzione delle strutture, anche gli Ospedali San Carlo e San Paolo: volevano chiuderli per costruirne uno nuovo, il quale però avrebbe ridotto quasi della metà – da 1300 a 700 – i posti letto. Non solo: il luogo dove doveva essere costruito si è scoperto che era fortemente inquinato da rifiuti tossici…

UN: Quindi se oggi si può contare su questi ospedali, altrimenti la situazione sarebbe ancora peggiore, lo si deve alle lotte che avete fatto per non farli chiudere, giusto?

GU: Infatti. Dal 2015 ci siamo opposti ad ogni prospettiva di chiusura, mettendo in atto varie iniziative, creando vari comitati popolari, ecc. e siamo riusciti a mantenerli operativi, anche se con le difficoltà che abbiamo evidenziato prima. Tra l’altro, il nuovo ospedale sarebbe dovuto essere per metà privato e vi sarebbero stati trasferiti i lavoratori dei due ospedali che intendeva chiudere – un bel regalo al settore privato, oltre alla ulteriore diminuzione della quantità e della qualità del servizio sanitario.

Corrado dell’USI Sanità – d’ora in poi CU: Nel corso degli anni, insieme a molte altre realtà del sindacalismo di base, abbiamo denunciato sin dall’inizio il processo di smantellamento del servizio sanitario nazionale; non solo denunciato ma anche messo in atto momenti di lotta, ovunque il radicamento tra i lavoratori ce lo permetteva – come USI Sanità, in particolare in regioni come Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna. Abbiamo sempre dato vita e partecipato a Comitati di Cittadini contro lo sfascio della Sanità Pubblica, fatto scioperi, manifestazioni, presidi, interpellanze di ogni genere. A parte la Lombardia di cui ha già detto Gianni, in Toscana c’è stato un Coordinamento dei Comitati e dei Sindacati di Base che è stata un’esperienza molto importante. Purtroppo, anche qui c’è stata, da parte della maggioranza della popolazione, una sottovalutazione del problema e la “gente” se ne sta accorgendo solo adesso; sfortunatamente all’inizio c’è stata generalmente una diffidenza nei nostri confronti, l’idea che come diceva Gianni, stavamo esagerando, eravamo i soliti estremisti, ecc. In realtà stavamo parlando di un taglio di decine di miliardi al sistema sanitario nazionale, che significa un taglio notevole sia di strutture sia di personale, cosa avvenuta in concerto tra i governi nazionali e quelli regionali. Abbiamo fatto anche qui in Toscana molte mobilitazioni, come dicevo, ad esempio scioperi significativi su Careggi e su Massa Carrara; forse non siamo stati capaci di coinvolgere la cittadinanza nel modo giusto, forse non siamo stati capaci di raggiungere un buon livello di unitarietà e coordinamento ma, al momento attuale, stiamo pagando il prezzo tutti – anche quelli che non ci davano ascolto e magari erano anche d’accordo, vittime della propaganda a favore del privato. In ogni caso non ci siamo mai fermati nel portare avanti le nostre giuste rivendicazioni.

Fabio dell’USI Sanità – d’ora in poi FU: A Parma l’USI, sostanzialmente, si è formata da poco e solo negli ultimi anni ha avuto una crescita numerica significativa, in quanto molti lavoratori hanno iniziato ad apprezzare la nostra forma di azione e di organizzazione sindacale radicata direttamente sui bisogni dei lavoratori sul posto di lavoro rispetto a triplice e simili. In ogni caso sia noi sia le altre realtà USI emiliane abbiamo seguito ed appoggiato gli scioperi nazionali ed anche le iniziative contro lo sfascio della Sanità Pubblica. Uno sfascio che solo ora le persone cominciano a comprendere, cominciano a capire tutto quello che ci hanno tolto. Purtroppo alcune di queste lotte, a mio avviso, sono state condotte anche un po’ male, vista la presenza in essa dei “soliti noti” che hanno da tempo una politica filogovernativa e filopadronale, creando una diffidenza dei lavoratori verso qualunque loro iniziativa. Un peccato, perché le lotte contro la chiusura od il demansionamento dei “piccoli ospedali” ci sono state ed avrebbero meritato sorte migliore; in ogni caso è una battaglia che non abbiamo mai interrotto. Infatti, per esempio, anche all’interno della nostra piattaforma sindacale nazionale per il prossimo contratto c’è la richiesta dell’abbandono delle politiche di privatizzazione della Sanità ed il rafforzamento di quella pubblica. Un punto enormemente importante perché, date le condizioni attuali dello sfruttamento capitalistico del pianeta, non è affatto detto che questa pandemia sia l’ultima ed anche che non sia tra le peggiori che ci possono capitare.

Alfonso dell’USI Sanità – d’ora in poi AU: Io lavoro nella sanità milanese, partirò dalle cose che conosco meglio per allargarmi alla Regione e dirò solo le ultime cose perché gli altri hanno già detto di altro. Il caso della “Sacra Famiglia” è interessante perché si sta cercando di imporre ai lavoratori un cambio di contratto assai sfavorevole, che li ridurrebbe grosso modo ai livelli di dipendenti di una cooperativa esterna, il tutto approfittando già della prima pandemia e delle difficoltà organizzative che questa comportava per dei lavoratori altrimenti dimostratisi molto combattivi. Sulla questione sono al momento in atto alcune cause giudiziarie, dal momento che a determinate procedure di conciliazione il padronato ha fatto orecchie da mercante, di cui una relativa alla truffaldinità di un referendum con cui i lavoratori avrebbero approvato il cambio di contratto. In questa lotta l’USI Sanità – che è nella fondazione il sindacato con il maggior numero di iscritti – ha trovato solo l’appoggio concreto dei Cobas Scuola ed Università, contro triplice e compagnia. Andando poi alla questione COVID-19, sin dal 4 aprile abbiamo messo in piedi un Comitato COVID dove partecipiamo sia in qualità di RSU sia di RLS ed abbiamo fatto numerose richieste, tutte inevase con le conseguenze che magari dirò dopo. Appena possibile dobbiamo riprendere le lotte contro la privatizzazione della Sanità e per rendere pubblico ciò che oggi è privato: infatti, non dimentichiamoci come le logiche del privato tendano a tirare il più possibile sui costi – ad esempio assumendo le imprese di pulizie esterne che si offrono a meno, in altre parole che offrono il servizio peggiore ed hanno meccanismi di protezione meno efficaci.

UN: Dal resto d’Italia che notizie vi arrivano?

GU: Disastrose: il taglio di personale e strutture è avvenuto in tutta Italia, le scene che si vedono in TV sono un po’ generalizzate, grazie alle politiche di privatizzazione di cui si diceva prima. Col legge 502 del 1992, ad esempio, le strutture sanitarie sono diventate aziende, non più Enti Ospedalieri, ecc.: fu il primo segnale inequivocabile dell’impianto ideologico e pratico a favore di una logica di privatizzazione complessiva del sistema. Un obiettivo che è stato perseguito ogni anno di più e si è giunti alla disastrosa situazione attuale, presente in tutta la penisola. I fondi sono stati sempre più dirottati verso le strutture private, le quali, per loro stessa natura, si sono dimostrate incapaci di affrontare la pandemia: il recente contratto della Sanità Privata prevede, ad esempio, che le Regioni finanzino il 50% delle spese e già le varie Regioni hanno iniziato a staccare assegni milionari a loro favore. Dal 2021, poi, l’intervento regionale a favore delle strutture private aumenterà ancora, sempre più si delegheranno funzioni al privato che riceverà ancora più fondi. Tutto questo a livello nazionale, dato che è stato il governo centrale a supportare questo genere di accordo, in cui si tolgono sempre più competenze al pubblico per darli al settore privato. Dopo di che un’altra cosa che hanno fatto è stata quella di aprire strutture, ad esempio a Milano, dove hanno aperto una struttura della Fondazione Policlinico – metà privata metà pubblica – e stanno spostando il personale sanitario pubblico a questa struttura, per cui gli ospedali pubblici dovranno diminuire i loro servizi: sono tante piccole cose come queste che danno il senso di quello che sta succedendo. Per fortuna non senza opposizioni: ad esempio gli anestesisti si stanno opponendo a questa dinamica…

CU: Io lavoro all’Ospedale di Careggi e credo la situazione non sia molto diversa da quello che succede nel resto del paese, specie nelle zone rosse: si stanno riempendo rapidamente le terapie intensive, si è costretti a trasformare molti reparti in reparti COVID-19 togliendo posti alla cura di molte altre malattie, sospendendo molti interventi chirurgici non considerati urgenti, ecc. Inoltre stiamo registrando sempre più infezioni tra il personale sanitario, altra cosa che rende difficile la situazione. Tenendo presente questa, comunque abbiamo fatto decine di lettere alle varie autorità per cercare di risolvere, per quanto possibile, determinate situazioni ma senza grandi risultati. Il livello organizzativo sindacale è ai minimi termini, perché il personale sanitario è impegnato in maniera massiccia nella cura dei malati e poi, date le normative ultime, non possiamo dire molte cose perché il livello repressivo è aumentato. Di conseguenza, c’è complessivamente un notevole sconforto da parte delle persone e di conseguenza in questo momento siamo fermi dal punto di vista delle lotte. A pandemia passata, però, le lotte dovranno ripartire seriamente, perché il rischio è che le varie normative “di emergenza” le lascino stare anche ad emergenza passata, con un peggioramento delle condizioni dei lavoratori e dell’utenza. Già adesso ci sono moltissimi episodi repressivi, dove i lavoratori vengono attaccati dalle commissioni disciplinari, ad esempio all’ASL di Firenze un delegato sindacale è stato licenziato in tronco per aver denunciato la disorganizzazione del suo luogo di lavoro. Al momento stiamo subendo un po’ tutti noi sindacalisti con un minimo di combattività la faccenda e dovremo riorganizzarci: il lavoro di pura segnalazione che stiamo facendo ora, soprattutto in concerto con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, può bastare ora ma non certo dopo. Occorre un processo di riorganizzazione a livello locale e nazionale, se vogliamo condizioni di lavoro dignitose per noi e di cura per i pazienti.

FU: Io lavoro a Parma e qui stiamo vivendo la “seconda ondata” come un po’ in tutto il resto d’Italia. Per mia/nostra fortuna al momento siamo un po’ più sereni nell’affrontare la pandemia, in quanto Parma – sempre al momento – vede un numero di contagi sicuramente alto ma più limitato rispetto al resto della Regione Emiliana Romagna: i punti di difficoltà in questa fase sono sicuramente Modena, Bologna, Reggio Emilia, Piacenza ed alcuni paesi di minore entità numerica. Al momento, perciò, qui da me al momento l’organizzazione regge ed anzi riusciamo a prenderci cura anche di pazienti fuori dal nostro tradizionale bacino di utenza che non trovano posto negli ospedali del resto della Regione, dove la situazione è decisamente peggiore ed i posti letto scarseggiano; ovviamente non posso parlare del futuro, posso solo sperare bene per la mia città e per tutta l’Italia.

AU: Parlo sempre partendo dal mio posto di lavoro. Durante la “prima ondata”, tutto sommato, ce l’eravamo cavata relativamente a buon mercato, con pochi positivi tra il personale e relativamente pochi ammalati e morti – tra il personale poi la maggior parte non aveva avuto grosse problematiche – adesso la situazione è molto più pesante, con focolai un po’ ovunque nei reparti, nei centri diurni e nei laboratori e numeri decisamente maggiori e problematiche più gravi, così che molti operatori sono passati al ruolo di pazienti. Il tutto anche perché si è sottovalutato il rischio della “seconda ondata” e non c’è stata una seria politica di prevenzione, a partire dagli strumenti individuali di protezione che sono stati all’inizio e tuttora molto generici e di scarsa efficacia. Un altro aspetto della faccenda: dove esistevano all’interno delle strutture sanitarie Centri di Formazione, i tirocinanti sono stati spediti direttamente in corsia e si tratta, come è ovvio, di personale inesperto, anche nel gestire le minime forme di protezione individuale. Tra l’altro, se all’inizio lo spostamento sui reparti COVID era su base volontaria, ora, dato il basso numero di volontari, l’hanno reso obbligatorio. Cosa pensavano, che uno rischiasse la pelle volontariamente per pochi spiccioli e nemmeno un extra in termini di incentivo economico? Così stanno prendendo personale un po’ qui e là, dai reparti ritenuti meno importanti e le cui prestazioni possono essere differite. Intorno a tutti noi operatori i colleghi si ammalano a ripetizione e, tornando alla questione prevenzione, il tampone non è che lo fanno a scadenza fissa e regolare ma solo quando ci ammaliamo, il che peggiora la situazione. Anche gli spogliatoi non sono separati seconda che uno lavori in reparti COVID o meno. La situazione di difficoltà è abbastanza generalizzata: non sono riusciti a contenere i danni nemmeno al Pio Albergo Trivulzio che sapevano sarebbe stato sotto i riflettori dei media. Comunque credo che la situazione di difficoltà di cui parlo sia un po’ la stessa a livello nazionale; la situazione lombarda è però paradossale, in quanto in teoria veniva propagandata come la migliore a livello nazionale – in realtà era “migliore” solo secondo i parametri della privatizzazione, in altre parole dello sfascio della Sanità Pubblica. Non hanno avuto nemmeno la decenza di tapparsi la bocca dopo la “prima ondata” e, alle prime avvisaglie della seconda, hanno affermato che erano solo stati presi di sorpresa e che ora sarebbe andato tutto molto meglio. Dieci giorni ed eravamo peggio di prima… In tutto ciò, terrorismo a tutto spiano: appena uno apre bocca, commissione disciplinare – solo tra i tesserati USI che seguo personalmente sono circa una decina le commissioni in corso, talvolta con accuse oggettivamente ridicole. Proprio ieri (sabato 14 novembre 2020, NdR) mi è arrivata una mail del Coordinamento Sanità della Lombardia che parlava di due delegati sindacali sospesi per trenta giorni a causa di un’intervista rilasciata ad un giornale: da due mesi a questa parte le commissioni disciplinari sono state quattrocento all’incirca.

UN: Volete dire ancora qualcosa sulle lotte che avete messo in atto in questi anni contro lo sfascio della Sanità Pubblica.

GU: Certo. In tutti questi anni abbiamo fatto scioperi, manifestazioni, presidi, insomma abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare:[1] siamo stati promotori negli ultimi 15 anni del coordinamento lavoratori sanità Milano e del comitato lavoratori e cittadini per la difesa salute pubblica le cui riunioni sono fatte nelle sedi sindacali ospedaliere di USI Sanità attualmente attivi con assemblee, volantinaggi e presidi nella città. Inoltre durante la pandemia di Marzo abbiamo attuato uno sportello di solidarietà in presso la sede USI Sanità in via Torricelli 19 insieme al centro sociale cox18 con la distribuzione di pacchi alimentari per la popolazione ed uno sportello sindacale. Purtroppo all’epoca non c’è stata una risposta sufficiente, perché la maggior parte delle persone non comprendevano le conseguenze di questa situazione, pensavano magari che stavamo esagerando per motivi ideologici: solo ora, con la pandemia, la cosa è divenuta evidente alla maggioranza della popolazione. Anche perché si è visto come nei paesi dove questa dinamica è stata contenuta, ad esempio la Germania, il livello di letalità della malattia è inferiore e la si affronta con maggiore capacità. Se posso aggiungere un altro aspetto ancora, in Francia hanno ottenuto con la lotta un contratto che ha visto un aumento medio della retribuzione di circa 180 euro; qui il contratto è scaduto da un po’ e, se mai verrà rinnovato, con un po’ di calcoli sulle risorse che vogliono impegnarci, avremo forse un sesto dell’aumento salariale francese. Su questo, contro la repressione, per l’assunzione di personale e sulla richiesta di fare marcia indietro sulle politiche di sfascio della sanità pubblica come USI Sanità abbiamo indetto uno sciopero per il 14 dicembre prossimo.

Intervista Redazionale

NOTE

[1] https://vimeo.com/55226614?ref=em-share

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