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L’imbroglio neocoloniale dell’idrogeno. Una proposta di lettura del PNRR.

L’imbroglio neocoloniale dell’idrogeno. Una proposta di lettura del PNRR.

Il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza PNRR[1] ha attivato interessi trasversali legati alla portata e all’impatto economico che produrranno i 220 miliardi di finanziamenti previsti per i prossimi dieci anni. Ci sembra però che nel dibattito odierno sfugga tanto la mole delle riforme – 48 in tutto – quanto il loro portato, che dovranno essere messe in campo affinché venga garantita la continuità dei flussi di denaro che da Bruxelles finiranno, in ultima istanza, nelle casse dei grandi gruppi industriali nazionali ed europei.

Queste riforme (molte delle quali sono “orizzontali”, cioè interesseranno tutti i settori del piano, e “abilitanti”, ossia necessarie all’attuazione del PNRR) devono garantire, a detta del Governo Draghi, un processo di “sburocratizzazione” che permetterà l’approvazione dei progetti in maniera più rapida e senza dispersioni di tempo e risorse, proprio come ha sempre richiesto il comando capitalistico. Una batteria impressionante di dispositivi che interessano tutti i settori della pubblica amministrazione a partire dallo snellimento e dalla rimodulazione dei contratti pubblici, per finire alle “semplificazioni in materia ambientale”. Queste ultime – come è facile intuire – divengono necessarie per non avere intoppi lungo l’iter approvativo di progetti relativi alle grandi opere.

Nulla di nuovo diranno i più; è la solita frenesia capitalistica per allentare lacci e lacciuoli e passare più rapidamente all’incasso. Sicuramente è così ma oggi la necessità di allentare la morsa dei vincoli ambientali viene dal mondo della ricerca energetica e, nella fattispecie, dal comparto che spinge per le nuove sperimentazioni con l’idrogeno, tant’è che un ruolo rilevante nella terza linea progettuale del PNRR è ricoperto proprio da questo elemento chimico nelle sue svariate “tonalità cromatiche” che vanno dal verde al viola giungendo a quelle più tetre del grigio e del marrone. Mentre i movimenti ambientalisti di mezza Europa disquisiscono su quale di queste tonalità possa garantire una più appropriata assonanza cromatica con le loro rivendicazioni ecosostenibili, l’Europa già da un pezzo è al lavoro per tracciare i contenuti – alcuni dei quali già approvati – della cosiddetta Strategia europea sull’idrogeno e del Piano d’azione di Hydrogen Europe.

L’Italia, attraverso il PNRR, intende perseguire quota-parte degli obiettivi contenuti nei piani strategici europei attraverso la produzione e l’utilizzo di idrogeno muovendosi su quattro assi strategici:

1) sviluppando progetti flagship per l’utilizzo di idrogeno nei settori industriali hard-to-abate, a partire dalla siderurgia; 2) favorendo la creazione di “hydrogen valleys”, facendo leva in particolare su aree con siti industriali dismessi; 3) abilitando – tramite stazioni di ricarica – l’utilizzo dell’idrogeno nel trasporto pesante e in selezionate tratte ferroviarie non elettrificabili; 4) supportando la ricerca e sviluppo e completando tutte le riforme e regolamenti necessari a consentire l’utilizzo, il trasporto e la distribuzione di idrogeno.

La strategia contenuta nel PNRR appare chiara: “trasformare aree industriali dismesse e siti produttivi abbandonati in aree industriali con economia basata sull’idrogeno, hydrogen valleys per l’appunto. La maggior parte delle aree sono situate in una posizione strategica per contribuire a costruire una rete idrogeno più fitta sia in termini di produzione che di distribuzione alle PMI vicine. Il progetto si pone l’obiettivo di promuovere la produzione locale e l’uso di idrogeno nell’industria e nel trasporto locale. (…) Per contenere i costi verranno utilizzate aree dismesse già collegate alla rete elettrica, per installare in una prima fase elettrolizzatori per la produzione di idrogeno mediante sovra-generazione FER o produzione FER dedicata nell’area. Si prevede in una prima fase il trasporto dell’idrogeno alle industrie locali o su camion o, nel caso in cui l’area abbandonata sia già allacciata alla rete del gas, su dedicate condotte esistenti in miscela con gas metano. In aggiunta, per aumentare la domanda, si prevede la possibilità di effettuare rifornimento con idrogeno nelle stazioni per camion o trasporto pubblico locale. (…) Le condotte esistenti possono trasportare senza alcun intervento H2 in una miscela di metano al 2 per cento.”[2]

Come la decarbonizzazione sia soltanto l’ennesimo ritrovato del sistema per garantire ai tradizionali settori strategici della produzione una “transizione green con guadagno” è abbastanza chiaro. Il settore chimico, del gas e quello petrolifero – ma anche del cemento, del vetro e dell’acciaio – i settori appunto hard-to-abate, avranno l’opportunità irripetibile di uscire dalle black list ambientaliste e attestarsi su un piano di produzione “sostenibile”.

L’idrogeno può quindi aiutare a decarbonizzare quei settori caratterizzati da un’alta intensità energetica e privi di opzioni di elettrificazione scalabili. Due esempi di questi sono l’industria chimica e della raffinazione del petrolio, nelle quali l’idrogeno è già utilizzato nella produzione di prodotti sintetici di base, come ammoniaca o metanolo e in una serie di processi di raffinazione. Ad oggi l’idrogeno è principalmente prodotto in loco nella sua forma “grigia”, cioè dal gas naturale, ma questo processo non è privo di emissioni: le emissioni per kg di idrogeno grigio prodotto sono nell’ordine di 7-9 kg CO2/kg H. La produzione attuale di idrogeno nelle raffinerie è di circa 0,5 Mton H2/anno (una penetrazione di circa l’1 per cento sugli usi finali), rappresentando quindi uno dei settori più promettenti per iniziare a utilizzare l’idrogeno verde e sviluppare il mercato.

La transizione verso l’idrogeno viene sdoganata come rimedio alle annose problematiche legate alle emissioni mortifere delle acciaierie italiane, Ilva in testa: (…) l’acciaio è uno dei più grossi settori hard-to-abate’ dove l’idrogeno può assumere un ruolo rilevante in prospettiva di progressiva decarbonizzazione. Un ciclo dell’acciaio basato sulla produzione di DRI con metano e fusione in un forno elettrico genera circa il 30 per cento in meno di emissioni di CO2 rispetto al ciclo integrale, e il successivo sviluppo con idrogeno verde aumenta l’abbattimento delle emissioni al circa 90 per cento. Essendo l’Italia uno dei più grandi produttori di acciaio, secondo solo alla Germania in Europa, questo intervento mira quindi anche alla progressiva decarbonizzazione del processo produttivo dell’acciaio attraverso il crescente utilizzo dell’idrogeno, tenendo conto delle specificità dell’industria siderurgica italiana.

Un piano così ambizioso non poteva non prevedere un’adeguata voce di investimento legata alla ricerca e allo sviluppo. Storicamente le più grandi fasi di ristrutturazione hanno fatto leva strategicamente sull’uso capitalistico della scienza e della tecnologia, con lo Stato che si fa carico di investire nei settori di ricerca e sviluppo più “utili”, finanziando il know-how scientifico adeguato alle necessità industriali. Programmi di ricerca, investimenti mirati al finanziamento di partnership pubblico-private e tutto un carnet di operazioni e strumenti che orientano di fatto la ricerca a tutti i livelli, fornendo personale qualificato immediatamente spendibile nell’organizzazione della catena del valore (produzione, trasporto e stoccaggio).

Il progetto mira a migliorare la conoscenza delle tecnologie legate all’idrogeno in tutte le fasi: produzione, stoccaggio e distribuzione. La sperimentazione nei principali segmenti e la realizzazione di prototipi per la fase di industrializzazione è finalizzata ad aumentare la competitività del settore tramite progressiva riduzione dei costi. L’obiettivo del progetto è di sviluppare un vero network sull’idrogeno per testare diverse tecnologie e strategie operative, nonché fornire servizi di ricerca e sviluppo e ingegneria per gli attori industriali che necessitano di una convalida su larga scala dei loro prodotti (in collaborazione con il MIUR e la missione M4 del PNRR).

Anche nel comparto logistico e in quello dei trasporti la filosofia green è messa in risalto grazie all’uso ridondante del termine “decarbonizzazione”. Anche in questi casi, è quasi inutile sottolinearlo, l’obiettivo è rendere più veloce ed efficace il sistema dei trasporti merci su gomma e su ferro, soprattutto nelle aree strategiche di confine o i grandi corridoi nazionali ed europei:

La realizzazione di questa rete sarà in linea con la direttiva 2014/94/UE del 22 ottobre 2014 per le Infrastrutture per Combustibili Alternativi finalizzata alla realizzazione di Corridoi Verdi alimentati a idrogeno per autocarri pesanti. (…) Il rafforzamento della tecnologia delle celle a combustibile e l’incremento degli investimenti nelle infrastrutture pertinenti come stazioni di rifornimento sono i principali fattori abilitanti chiave per sostenere una simile crescita di mercato. Attraverso questi investimenti, sarà possibile sviluppare circa 40 stazioni di rifornimento, dando priorità alle aree strategiche per i trasporti stradali pesanti quali le zone prossime a terminal interni e le rotte più densamente attraversate da camion a lungo raggio (es. Corridoio Green and Digital del Brennero, progetto cross-border, corridoio Ovest – Est da Torino a Trieste).

Sul versante del trasporto ferroviario l’intervento prevede la sostituzione dei vettori diesel con nuovi treni a idrogeno, soprattutto lì dove l’elettrificazione non risulta “tecnicamente fattibile” o “non competitiva” economicamente. E dove l’elettrificazione non è competitiva economicamente? Nelle regioni economicamente depresse del Centro e del Sud: Puglia, Sicilia, Abruzzo, Calabria, Umbria e Basilicata, ma anche alcune aree interne della Lombardia. La Val Camonica, ad ogni modo, sarà il cuore della sperimentazione integrata di produzione, distribuzione e acquisito di treni a idrogeno anche se non mancherebbero affatto nel Mezzogiorno aree industriali dismesse o siti produttivi mai decollati dove poter avviare la produzione di questi treni.

Le semplificazioni amministrative relative all’idrogeno riportate nel PNRR sono quelle necessarie alla riduzione degli “ostacoli normativi alla diffusione dell’idrogeno”; si tratta, dunque, di una riforma volta a snellire l’iter autorizzativo per la costruzione di impianti per la produzione di idrogeno, senza tralasciare misure di stimolo alla produzione e al consumo dello stesso. Tradotto in soldoni: incentivi fiscali, revisione generale della tassazione dei prodotti energetici e misure per la diffusione del consumo di idrogeno verde nel settore dei trasporti.

Il piano nazionale per lo sviluppo e la produzione dell’idrogeno, per essere capito complessivamente, va necessariamente inquadrato nel contesto generale europeo. I due documenti di riferimento, la Strategia europea sull’idrogeno e il Piano d’azione di Hydrogen Europe,[3] puntano inequivocabilmente su un doppio binario produttivo: la metà del fabbisogno programmato di idrogeno verde o di elettricità rinnovabile sarà prodotta fuori dai confini dell’Unione Europea.

L’Hydrogen Europe è stato già approvato dalla Commissione e prevede il raddoppio della produzione degli elettrolizzatori – “2×40 GW Hydrogen Initiative” – necessari a trasformare l’energia rinnovabile del sole e del vento in idrogeno verde. Metà degli elettrolizzatori, necessari per produrre 40 GW, saranno dislocati in Ucraina e in Africa. Alla fine dei conti non è altro che la riproposizione in chiave green del rapporto coloniale che storicamente ha caratterizzato l’Europa rispetto al fabbisogno di combustibile fossile necessario per soddisfare il fabbisogno energetico interno. Un rapporto coloniale che sottende inoltre un ricorso a fonti energetiche che di rinnovabile hanno ben poco se si pensa che in Ucraina le due aziende che hanno sottoscritto un patto di collaborazione con l’UE per la produzione di idrogeno sono l’industria del gas Naftogaz e l’Energoatom, gestore di una centrale atomica. L’idrogeno in questo caso cambia colore e, da verde, diventa “rosa”: mediante il processo dell’elettrolisi (con la scissione delle molecole di acqua attraverso l’uso dell’elettricità, per intenderci) l’industria del nucleare escogita l’ennesimo tentativo di ritornare competitiva nel mercato dell’energia.

Viste anche le distanze che ci separano dal Nordafrica, è evidente che le strategie di Hydrogen Europe poggiano su un’architettura economico-finanziaria che fa leva su megaprogetti di produzione e soprattutto di trasporto di energia: Per Africa ed Europa sarebbe molto interessante sbloccare il potenziale di esportazione di energia rinnovabile in Nordafrica: i paesi nordafricani potrebbero convertire in idrogeno questa elettricità e trasportare l’energia in Europa tramite gasdotti. Una parte della rete del gas naturale si potrebbe riconvertire per ospitare l’idrogeno. (…) E inoltre, la costruzione di nuovi idrogenodotti diventerebbe un’opzione economicamente competitiva”.

La stessa Snam S.p.A. in un recente position paper, condotto con il supporto analitico di McKinsey, multinazionale di consulenza strategica, sul ruolo potenziale dell’idrogeno nel sistema energetico italiano, ha evidenziato come l’Italia possa effettivamente rappresentare un mercato molto attrattivo per lo sviluppo dell’idrogeno. Questo grazie alla presenza diffusa di energia rinnovabile e di una rete capillare per il trasporto di gas, inclusi i collegamenti con il Nord Africa. Con un certo filo di ironia il paper continua affermando che l’Italia potrebbe importare idrogeno dal Nord Africa, ad un costo inferiore del 14% rispetto alla produzione domestica. Potrebbero essere disposti pannelli solari nei paesi dell’Africa settentrionale (“dove il sole splende sempre”) e poi importare idrogeno in Sicilia attraverso i tubi esistenti. Questo potrebbe incentivare anche le esportazioni di idrogeno in altri paesi europei attraverso l’Italia.

Ma chi sono oggi gli attori principali pro-idrogeno? Sicuramente le multinazionali del gas che spingono i governi dell’UE a una “riconversione” hydrogen based, spacciando per pulito l’idrogeno: in realtà, è una “materia prima seconda”, visto che quasi l’80% di esso deriva da gas fossile, in particolare metano, gas notoriamente climalterante. Sulle tecniche di estrazione e trasporto di questo gas e sugli “effetti collaterali” che questi hanno sulle comunità locali e gli ecosistemi ne sappiamo abbastanza. Mentre la società civile discute alacremente del rapporto costo-benefici dell’idrogeno e si angustia per la recente impennata del caro energia, le grandi multinazionali del gas hanno da tempo iniziato a predisporre tutto l’occorrente per essere competitivi in questa nuova frazione di mercato. Nell’aprile del 2019 la Snam S.p.A., prima in Europa, ha sperimentato l’immissione di un mix di idrogeno (5%) e gas metano in un tratto della propria rete di trasmissione nei pressi di Contursi Terme, in Campania. Sei mesi dopo ha innalzato il mix al 10% confermando che questo nuovo vettore potrebbe viaggiare attraverso le reti esistenti del gas. Sulla base di questi primi test la Snam ha chiesto al RINA di certificare il trasporto dell’idrogeno tramite gli oltre 33 mila km di tubatura di sua proprietà. D’altronde, la stessa American Society of Mechanical Engineers sostiene che il trasporto tramite le reti già esistenti di un max del 10% di idrogeno sia possibile senza apportare nessuna modifica sostanziale alle condotte. L’utilizzo in futuro di acciai speciali può portare la frazione di idrogeno al 100% regolando opportunamente la pressione d’esercizio. Anche qui importanti competenze tecnico-scientifiche sono piegate dal capitale al solo scopo di rendere possibili nuovi e floridi processi di accumulazione.

Le cose in fondo sono abbastanza chiare: l’Hydrogen Europe, è una lobbying platform composta da 195 attori provenienti dal settore industriale e 83 organizzazioni che si occupano di ricerca scientifica. Il ruolo dei vari governi come al solito è subalterno agli interessi industriali. La Hydrogen Europe, infatti, è una classica partnership pubblico-privata (la FCH JU, Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking) voluta e creata dalla Commissione Europea che, paradossalmente, fa attività di lobbying per conto della grande industria privata sul soggetto creatore, l’UE appunto. Il segretario generale di Hydrogen Europe è il tedesco Jorgo Chatzimarkakis l’ex eurodeputato del Ökologisch-Demokratische Partei (un partito ecologista e conservatore); nel consiglio direttivo siedono moltissimi pesi massima dell’industria dell’energia, della chimica e dell’automotive come Michelin, Equinor, Net Hydrogen, Iveco, H2Energy, Latvian Hydrogen Association, Gasunie, Vattenfall, Toyota, German Hydrogen Association, Sunfire, ecc.

L’altra lobby dell’idrogeno e senza alcun dubbio l’Hydrogen Council. Sul loro sito si può leggere che l’Hydrogen Council è un’iniziativa globale guidata dal CEO di aziende leader con una visione unitaria e un’ambizione a lungo termine: che l’idrogeno promuova la transizione verso l’energia pulita per un futuro migliore e più resiliente.

Qui la composizione del gruppo è esclusivamente privata, con 92 società tra le più grandi multinazionali di petrolio e gas, più i maggiori produttori dei settori energetico, aereo e automobilistico: Hydrogen Energy di Air Liquide, Toyota Motor Europe, Hyundai, Honda, Kawasaki, McKinsey, Linde, ecc. Nel suo ultimo rapporto dal titolo “Hydrogen Insights 2021: A Perspective on Hydrogen Investment, Deployment and Cost Competitiveness” la portata degli investimenti e la capacità di lobbying è veramente impressionante. Sono stati annunciati oltre 200 progetti su larga scala lungo la catena del valore del GAS, per un importo totale superiore a 300 miliardi di dollari puntando sui circa 30 paesi che hanno già in atto strategie nazionali sull’idrogeno attraverso il finanziamento pubblico. Meccanismo ormai collaudato, basato su spesa pubblica, profitto privato: socializziamo il debito e capitalizziamo gli utili.

In conclusione, ciò che appare chiara è la strategia “di distrazione” dell’industria del gas attraverso la costruzione di un’impalcatura mediatica ed economico-finanziaria talmente imponente da far credere che l’unico processo di decarbonizzazione reale possa passare attraverso la produzione e l’uso di idrogeno, “dimenticando” però di sottolineare che lo stesso idrogeno non potrà mai garantire la quantità necessaria a sostituire il fabbisogno energetico oggi garantito dalle fonti fossili. Una diversificazione degli asset industriali attraverso una pennellata di green. Una messa in scena, dunque, che attraverso l’uso delle parole come compatibilità, resilienza, decarbonizzazione e transizione ecologica, garantisce, con l’azione dello Stato, il consolidamento dello status quo di un modello energetico fondato sostanzialmente sul tradizionale schema della produzione e del controllo centralizzato, reso efficiente da mega opere infrastrutturali di impronta neocoloniale che garantiscono la stabilizzazione delle aree economiche privilegiate. Questi privilegi assumono la forma delle guerre, del depauperamento di interi territori e recentemente anche quella delle migliaia di imbarcazioni di “rifugiati climatici” che bussano costantemente alle porte dell’Europa.

Senza alcun dubbio è l’attuale sistema di produzione che ha dato prova di essere veramente “resiliente” con una capacità straordinaria di sapersi continuamente reinventare per superare le crisi. Se è vero allora che le future crisi del capitalismo saranno non soltanto economiche ma anche ecologiche, allora sta a noi stabilire il legame inscindibile che oggi esiste tra ecologia, la sua crisi e la critica del modo di produzione capitalistico. Una risposta oggi, all’altezza della fase, non può che essere quella di demolire il trittico formato dal capitalismo, dalla natura e dallo Stato, e impedire che quest’ultimo operi a favore degli interessi del capitale.

Redazione Malanova

NOTE

[1] Il Piano nazionale di rilancio e resilienza (Pnrr) può essere visionato al seguente link: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf

[2] Le schede dettagliate delle riforme e dei progetti inseriti nel Pnrr sono consultabili ai seguenti link: https://www.agricolae.eu/wp-content/uploads/2021/05/1-FALDONE-PNRR-INVIATO-A-COMMISSIONE-UE-E-ALLEGATI-1-1112.pdf e https://www.agricolae.eu/wp-content/uploads/2021/05/2-FALDONE-PNRR-INVIATO-A-COMMISSIONE-UE-E-ALLEGATI-1112-2487.pdf

[3] I documenti europei citati nel testo possono essere scaricati al seguente link: https://www.hydrogeneurope.eu/publications/

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