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La politica nelle organizzazioni operaie

La politica nelle organizzazioni operaie

di Luigi Fabbri (tratto da: L’organizzazione operaia e l’anarchia)

Le divisioni, le discordie che dividono e suddividono oggi l’organizzazione operaia, dovunque la politica di parte riesce a penetrare nel suo seno, ci impensieriscono oltremodo. Sappiamo che soltanto la solidarietà operaia giungerà presto o tardi a spezzare l’anello di ferro di tutte le oppressioni politiche, economiche e morali che ci avvincono allo scoglio della miseria e della schiavitù; ed ecco perché tutto ciò che tende a menomare questa solidarietà ci appare come una specie di complice dei nemici della classe operaia e perciò ci addolora immensamente.

E ci addolora non tanto perché tale stato di cose urti con i metodi di lotta a noi più cari. Qui parliamo non in nome della speciale ed esclusiva nostra opinione politica, per quanto questa anche su tale argomento guidi la nostra intelligenza. Parliamo in nome dell’interesse nostro e delle nostre organizzazioni, per combattere non gli uomini, ma i sistemi sbagliati che questi uomini — in buona fede, non vogliamo dubitarne — hanno introdotto in mezzo alle nostre file, un vero cavallo di Troia che vi ha seminato la confusione e la discordia.

Donde deriva la discordia?

La discordia è originata da un concetto errato che molti lavoratori hanno del principio di organizzazione per la resistenza contro il capitale sfruttatore.

In genere si crede che le Camere del Lavoro e le Leghe di resistenza siano organismi da adoperarsi, come tutti gli organismi politici, a raggiungere uno speciale fine di partito. E cosi i partiti autoritari di qualunque scuola, coloro che tendono alla conquista dei pubblici poteri, perché credono (a torto, secondo noi) con essi emancipare il popolo, guardano alle amministrazioni delle associazioni operaie come a pubblici poteri che bisogna conquistare e piegare ai propri fini di parte. Non tutti confessano apertamente questo scopo, nessuno lo dice pubblicamente; ma questo silenzio e questa dissimulazione non nasconde la verità — silenzio e dissimulazione adoperati solo per la necessità di raccogliere attorno a sé il maggior numero di adesioni, anche dei più incoscienti, anche di coloro che vi si rifiuterebbero, se sapessero decisamente il perché di certi speciali metodi.

A questo proposito molto volentieri si gioca sull’equivoco. Quelli che per una ragione o per l’altra si sentono forti dell’adesione della maggioranza operaia, dicono apertamente che anche nelle associazioni operaie bisogna fare della politica, perché un’organizzazione di classe ha come tale anche ed in gran parte interessi politici da far valere. E questa ragione, in certo modo vera, serve loro poi a trascinare gli operai a fare non tanto la propria politica di classe, quanto la politica speciale e determinata di un dato partito con uomini esclusivamente iscritti a questo partito, nella persona dei quali si muove alla conquista delle amministrazioni delle società di resistenza.

Gli altri, (come han fatto spesso i repubblicani) se più deboli, si oppongono ai primi dicendo che non bisogna far della politica, ma riescono per un altro verso a farla lo stesso impersonando l’opposizione loro in uomini del proprio esclusivo partito; oppure (come fanno i riformisti) riducendo l’organizzazione operaia, su un concetto di antiquato e nocivo corporativismo, ad un organo amorfo e senza spina dorsale, quasi che il non fare della politica significhi poi disinteressarsi da parte delle organizzazioni operaie anche di quella politica di opposizione a tutte le tirannie, senza di cui non avrebbero ragione d’esistere le associazioni di resistenza. E giungono cosi a negare perfino il vero scopo per cui queste sono sorte; la lotta di classe.

Né gli uni, né gli altri hanno ragione. Le organizzazioni operaie devono fare la loro politica; ma questa non sia la politica speciale di un determinato partito, e i suoi metodi di lotta non siano i metodi esclusivi di questa o quella frazione popolare. Diremo anche di più: le organizzazioni operaie devono avere un carattere socialista; non però nel senso di adesione incondizionata a questa o a quella scuola del socialismo ma nel senso di opposizione costante al capitalismo considerato come nemico che bisogna annientare, e non come vorrebbe qualcuno, come avversario in un contratto, col quale si ha interesse di mettersi d’accordo: nel senso cioè della lotta di classe combattuta con lo scopo della integrale emancipazione economica della classe operaia.

Su questo terreno è possibile, è necessario che tutti gli operai siano d’accordo; ma l’accordo si può ottenere solo quando ciascuno rinunci a far prevalere in seno all’organizzazione operaia i metodi e le idee speciali del proprio partito politico, metodi ed idee che metterebbero una parte della classe operaia — minoranza o maggioranza, poco importa — nella dura alternativa, o di divenire incoerente alle proprie opinioni, diverse da quelle imposte dai primi, o di rompere la compagine operaia.

Il terreno su cui rimanere tutti d’accordo è larghissimo, ed il programma che tutti insieme si potrebbe attuare è tanto vasto da non bastarne il tempo e la volontà ad esaurirlo. Fra operai, in seno alle organizzazioni, ce n’è abbastanza da discutere sui movimenti di classe, sul modo di condurre le battaglie contro il capitale, sugli scioperi e su tutto ciò che riguarda le questioni economiche più vitali di salari, di orari di lavoro, di miglioramenti in genere, per non perderci a litigare fra noi per la prevalenza, spesso del tutto formale e personale, di questo o quel partito.

Tutti i partiti in genere sono d’accordo che insieme all’azione speciale politica di ciascuno c’è un’azione generale di resistenza diretta da spiegare, per mezzo della pressione popolare, della propaganda e della formazione delle coscienze, della educazione alla solidarietà, dell’affermazione del diritto di tutti a sempre un maggior benessere e una maggiore libertà. Ecco un terreno su cui non finiremmo mai di lavorare, se volessimo, d’amore e d’accordo; ciascuno proseguendo in altra sede, nel suo rispettivo partito, la sua azione speciale, quella consigliata dalle personali opinioni politiche.

Posta così la questione, è facile risolverla. Ogni operaio, magari il più lontano da noi, se sente la spinta del suo materiale interesse più urgente ed immediato, volente o nolente, si unirà alla falange degli operai organizzati, per finire, com’è naturale, presto o tardi col divenire un milite della emancipazione sociale; ciò che non avverrà se ci vedrà divisi e quindi se vedrà diminuito il proprio interesse di unirsi a noi.

Contro il capitalismo e i suoi sostegni più energici — per esempio, in questo momento, il clericalismo ed il militarismo — tutti gli operai potrebbero trovarsi d’accordo in una azione comune; proseguendo questo accordo anche quando sia esaurito, ed è difficile esaurirlo, il possibile programma di azione comune, col colpire ciascuno, con i propri metodi speciali, il nemico di tutti.

Tutti gli operai hanno bisogno di vivere, di guadagnare, di migliorare le proprie condizioni. Se l’organizzazione operaia persegue questo scopo, ogni discordia di parte non ha ragione di esistere in mezzo a loro. Potrà darsi fra essi un disparere momentaneo, non una guerra intestina.

E siccome l’organizzazione operaia non ha in fin de’ conti altro scopo che migliorare le condizioni dei lavoratori, fino a dar loro col socialismo il maximum di libertà e di benessere, anche questa è una ragione per cui bisogna lasciare la parola agli interessi, più che alle rivalità politiche degli operai. Conserviamo la solidarietà operaia, e facciamo in modo che questa conquisti sempre più miglioramenti di ogni sorta politici ed economici; verrà il giorno in cui — se la solidarietà operaia sarà stata educata rivoluzionariamente e libertariamente — tutti i lavoratori combatteranno per il socialismo, per l’anarchia e per la rivoluzione.

La propaganda di idee, il movimento politico speciale di parte e la discussione sui problemi che dividono le coscienze moderne, sui metodi più o meno acconci a rovesciare il presente ordine di cose, e sul modo migliore di organizzare la società socialista, non debbono certamente essere trascurate; ma sono funzioni che spettano ai singoli partiti politici di compiere. L’organizzazione operaia ha, nel campo della educazione morale, lo scopo di condurre i lavoratori alla rivoluzione non per mezzo della persuasione dottrinaria, ma per mezzo della persuasione empirica dei fatti, della costatazione dei bisogni, delle necessità giorno per giorno più impellenti. Così ha la missione pratica, per dir cosi, di far toccare con mano ai lavoratori che è necessario per il loro interesse e per la forza delle cose e dei tempi passare per la via della rivoluzione e del socialismo.

Ma per ottenere che tutti gli operai possano direttamente e personalmente sentire su se stessi l’influenza di tutte queste determinanti storiche ed economiche, bisogna che partecipino come elementi integranti alla vita storica ed economica della società. E nel medesimo modo occorre che, per partecipare come organismo vitale alla evoluzione universale, essi, non ancora e non tutti e non completamente conquistati dalla propaganda teorica, sentano tutti i giorni la spinta a stare organizzati, il bisogno della solidarietà. Ecco la necessità, oltre che per il resto, della organizzazione operaia di ottenere per mezzo di mai interrotte battaglie sempre nuove migliorie di condizioni di vita, perché i lavoratori sempre più imparino ciò che l’unione può far loro ottenere e perché mangiando venga ad essi un sempre maggiore appetito.

Ognuno vede come, l’interesse essendo la molla più forte che può spingere sulla via della rivoluzione i lavoratori tutti, occorre che questo interesse permanga e non si affievolisca mai. Invece i lavoratori non avranno più interesse ad appartenere all’organizzazione operaia, quando questa, per le scissioni nel suo seno, come ho detto sopra, sarà debole e non potrà più allettarli verso conquiste maggiori facendogli fin da oggi fare qualche passo avanti.

Messo invece sulla buona strada, il proletariato giungerà per intuizione logica a capire il concetto della vera resistenza al capitale, della necessità della espropriazione finale della proprietà per mezzo dello sciopero generale e della rivoluzione, e della possibilità infine di organizzare la produzione e il consumo per suo conto, socialisticamente e libertariamente, in seno e per mezzo delle associazioni operaie, divenute la ossatura della società avvenire. Concetti che la propaganda teorica si incarica di rendere concreti in seno ai partiti politici, man mano che gli operai dall’associazione puramente operaia sentiranno il bisogno di elevarsi a discutere con la mente le questioni più scottanti della vita moderna e del socialismo.

Non solo quindi portare la divisione di teorie e di metodi politici in mezzo alle società di resistenza è un male; ma è cosa per l’interesse della propaganda neppur necessaria. La propaganda, è naturale, da individuo a individuo, con la predicazione, la discussione, l’opuscolo, il giornale, l’esempio, si fa dappertutto, non escluse le organizzazioni operaie. Solo voglio dire che queste non devono essere tramutate in organo ufficiale di questa o quella propaganda dottrinaria speciale; ma tutte le propagande devono potervi esser fatte liberamente, quando tutte non contraddicano il concetto della resistenza al capitale, della opposizione alle oppressioni d’ogni specie, della lotta contro il capitalismo fino alla emancipazione totale dei lavoratori dalle sue ritorte. E tutto questo non è poco.

Coloro degli operai che hanno convinzioni politiche determinate non sono per questo impediti di agire come vogliono, a seconda della propria coscienza. Solo, in seno alle organizzazioni di classe, devono pensare che lì dentro non tutti condividono le loro idee e che perciò, per rispetto alle opinioni e libertà altrui, hanno il dovere di mantenere il patto per cui le organizzazioni sono sorte, lavorando attorno gli scopi comuni e senza volerle trascinare a servire scopi speciali — anche creduti buoni, ma che non corrispondono al desiderio degli altri.

Ecco perché noi anarchici deploriamo le attuali discordie in seno all’organizzazione operaia, discordie che vi si sono introdotte appunto per la mania di trasportare nei sindacati le questioni speciali di partito, come fanno specialmente i socialdemocratici [gli aderenti al PSI, ndr]. I quali si vogliono servire delle organizzazioni operaie per facilitare ai propri uomini la conquista del potere politico, dall’alto del quale poi si spera debba piovere la manna proverbiale della felicità universale.

Questo che abbiamo esposto è il concetto sindacalista dell’organizzazione di mestiere della classe operaia.

La principale caratteristica (o per lo meno una delle più note e più in contrasto con le caratteristiche speciali dei partiti politici) di questa teoria, di questo metodo e di questo movimento è: il disinteressarsi completamente da parte delle organizzazioni operaie delle lotte elettorali e parlamentari. Il sindacato non è pro né contro il parlamentarismo: non se ne occupa, semplicemente, poiché la sua funzione sta fuori dell’ambito delle funzioni parlamentari.

Questo è l’unico terreno su cui il proletariato rivoluzionario di tutte le scuole e le dottrine, può unirsi per lottare contro il capitalismo. Su questo terreno specialmente anarchici e socialisti possono ed hanno interesse di mettersi d’accordo, a patto che gli uni abbiano il coraggio di separarsi dagli individualisti e gli altri dai riformisti e dai non sindacalisti.

Ma per lavorare insieme, è chiaro, bisogna scegliere un campo in cui gli uni e gli altri possano stare a loro agio, senza urtarsi né divenire incoerenti con le vedute e il programma fondamentale dei rispettivi partiti politico-sociali, e senza lasciare adito alle discordie fratricide. Ciò è possibile solo se il sindacalismo si concepisca in senso antistatale e rivoluzionario, nell’ambito dell’organizzazione operaia e dell’azione diretta, fuori e ad esclusione completa di ogni intromissione e funzione elettorale e parlamentare. Lasciare la possibilità all’elezionismo e al parlamentarismo di entrare nel sindacato, significa aprire le porte di questo a tutte le divisioni insanabili ed aspre che dilaniano il socialismo dal 1870 in poi.

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